Business and soups - affari e minestre
Capitolo quarto - Addolorata e Consolata

 

Terza di nascita fu Addolorata.
La più bella delle sei figlie.
Alta, bionda, la carnagione chiarissima come il latte, due gambe ben modellate e una voce da soprano, degna di essere ascoltata al Metropolitan.
Era delle sei, e giustamente aggiungo, la più corteggiata.
Di lei si era invaghito un certo Alfie Vitaliano piccolo gangersterucolo di quarta categoria con mille grilli per la testa.
Anche lui, come i famosi gemelli Gambino, pensò che per far parte della famiglia sarebbe stato più agevole entrare nelle grazie di quello schianto di ragazza.
Ciò sarebbe stato un buon trampolino di lancio, e un toccasana per le sue tasche sempre vuote.
Così il suo corteggiamento, prima timido ed impacciato, con il passare del tempo, si fece sempre più pressante ed ardito, ma quando oltrepassò i limiti di una certa decenza, neanche si rese subito conto che stava per inciampare sui muscoli di Al Ventura.
Ma gli andò bene, quella volta, e non per imperizia della nostra montagna muscolosa, ma solo perché Don Vito disse di dargli solo una spolverata.
Fu così che un bel giorno il nostro Alfie Vitaliano fu trovato davanti al negozio del fornaio in un sacco di farina con le gambe spezzate.
E quello fu un avvertimento che il poveretto prese nel modo dovuto.
Capì che non si giocava col fuoco, e fece in fretta e furia fagotto, per scappare, pur con le stampelle, a cercare fortuna altrove.
L’avvertimento dato ad Alfie consigliò altri eventuali pretendenti a stare alla larga dalla bella Addolorata, o, comunque, ad appropinquarsi a lei con i modi dovuti.
Così quelli che seguirono non lasciarono traccia nel cuore della ragazza.
La quale solo un paio d’anni più tardi rimase letteralmente folgorata dal fisico possente e modellato di Mark Esposito, primogenito della omonima famiglia - di origine campana - proprietari di una catena di macellerie, nonché unico e solo fornitore di carni argentine del ristorante del padre.
Fu in un giorno di agosto, di una estate torrida, quando l’aria era pesante e dal selciato si staccavano vampate di calore.
Quel caldo giorno i bambini di Mulberry Street, approfittando del fatto che molte bancarelle non avevano aperto, potevano giocare seminudi saltando tra gli zampilli d’acqua delle bocchette di soccorso smontate per l‘occasione.
Il nostro Mark aveva fermato il camion davanti all’ingresso del ristorante.
Aiutato da due garzoni, stava scaricando quarti di manzo, e vassoi di salsicce.
Per meglio sopportare quell’afa opprimente indossava solo la canottiera, e dei calzoncini corti.
Quegli indumenti così aderenti facevano risaltare un fisico muscoloso e asciutto.
Alto almeno un metro e ottanta, aveva stampato in viso un sorriso molto accattivante, di quelli contagiosi, che ti mettono di buon umore anche quando scendi dal letto con il piede sinistro, cosa che non si deve mai fare onde evitare sciagure nella giornata.
Aveva gli occhi di un blu intenso, e la carnagione, scura, quasi come quella di un nordafricano.
Mentre lavorava, canticchiava una canzone napoletana di altri tempi.
Addolorata, che fino a quel momento era in cucina a decidere con le altre donne della famiglia il menu del giorno, fu improvvisamente attratta da quella voce così intonata.
E come un’ape, fino a quel momento intenta ad operare nel suo alveare, alzò le ali per andare verso il profumo di quel fiore sconosciuto.
Lei - che studiava da soprano - non sapeva di chi fosse quella voce, né aveva mai avuto occasione di conoscere a chi appartenesse quell’ugola.
Lo sentiva canticchiare, dolce, e romantico in quella giornata di calda estate dove anche il respirare faceva sudare.
Curiosa di vedere, di sapere da dove provenisse il canto, la nostra Addolorata, letteralmente ipnotizzata, calamitata , mosse due passi verso l’uscio, quasi tremante.
E quei due passi furono sufficienti per il loro incontro, o meglio lo scontro, che avvenne proprio sulla porta della cucina.
Lei mentre stava uscendo, lui mentre stava entrando con sulle spalle robuste la cassa delle salsicce.
E da quello incontro-scontro, non ci fu più pace per il nostro ragazzone.
Addolorata, oltre al bernoccolo che le spuntò sulla fronte, fu così colpita dalla bellezza di quel garzone, che non se lo tolse più dalla mente.
Quando poi scoprì che non era un semplice garzone, bensì il figlio unico della famiglia che procurava le carni al ristorante, la cosa la trovò ancor più interessante, così prese a tampinarlo con telefonate e appostamenti.
E quando (almeno due volte alla settimana) Mark portava la carne nei frigo della cucina, lei era sempre là, ad attenderlo, sull’uscio, a strusciarcisici appena poteva (comunque lontano dagli occhi severi di Alfonsa).
Questo anomalo corteggiamento - anomalo perché solitamente (almeno a quei tempi) era l’uomo che doveva corteggiare la donna, e non viceversa - durò esattamente quattro settimane.
Poi, Mark (che sulle prime fece l’indifferente) si arrese, e accettò di soggiacere alle voglie di Addolorata, senza dispiacersene troppo!
Si fidanzarono ai primi di ottobre dell‘anno dopo.
Non si sa bene se l’atteggiamento, freddino, del ragazzo fu fatto ad arte, diciamo calcolato, viste le precedenti esperienze delle prime due figlie di Don Vito; sta di fatto che dopo sei mesi di fidanzamento anche la coppia Addolorata Gambini e Mark Esposito convolò a giuste nozze.
La luna di miele fu trascorsa a Miami ( a spese del padre di lei quale regalo di nozze), e fu per entrambi indimenticabile.
Esattamente nove mesi dopo, Addolorata mise al mondo un bel maschietto al quale si volle dare il nome di Vito Junior.
E il nonno andò, come si dice, in brodo di giuggiole.
Consolata nacque molti anni dopo l’arrivo delle gemelle Carola e Santuzza, quando ormai Don Vito e Alfonsa dormivano già da tempo in camere separate.
La causa di ciò dipese principalmente dal fatto che il nostro Don Vito, con l’età, incominciò a soffrire alla prostata.
Prese dunque - suo malgrado - ad alzarsi durante la notte almeno tre,quattro volte, per andare ad urinare.
E siccome non era capace di assolvere a questi suoi bisogni fisiologici senza accendere le luci e fare rumore - e le due cose messe insieme disturbavano il sonno della mogliettina - decisero di comune accordo di dormire uno nella camera che fu delle gemelline prima che si sposassero, l‘altra in quella matrimoniale.
E’ bene subito precisare che i due, Don Vito e Alfonsa, nonostante la separazione nelle ore notturne, continuarono ad amarsi e a desiderarsi come fin dal primo giorno.
Tra loro, anzi, con il passare degli anni, si era consolidata una intesa tale che si capivano solo guardandosi negli occhi.
Cosicché ad Alfonsa bastava scorgere una certo movimento delle sopracciglia del marito - il che avveniva subito dopo cena solitamente - per darle il segnale che avrebbe ricevuto una certa visitina durante la notte e, quindi, doveva lasciare la porta socchiusa per evitare rumori inutili
In punto, è doveroso aggiungere che, anche se il tempo passava inesorabilmente, gli occhi di Don Vito continuavano a non vedere altre donne all’infuori di Alfonsa, e il desiderio di lei era sempre quello della prima notte di matrimonio!
Ma dicevamo della piccola Consolata, che all‘epoca aveva appena compiuto i diciotto anni.
Per le altre ragazze, le sorelle intendo, già grandi, fu come avere una bambola in carne ed ossa con cui giocare.
I primi tempi facevano a gara per darle il latte con il biberon, cambiarla e farle il bagnetto.
Portarla poi a spasso con la carrozzina - sempre scortate da due uomini fidati del padre - era poi la cosa più bella.
Così tutte queste coccole, attenzioni e premure, furono considerate dalla piccolina, col passare dei giorni, come privilegi consolidati, diritti acquisiti, prerogative imprescindibili.
Onde per cui a lei, in quanto ultima della nidiata, tutti dovevano tutto.
Alla mattina si alzava all‘ora che voleva, e se le veniva voglia di non andare a scuola non c’era verso di farle cambiare idea.
A pranzo doveva essere servita per prima, e i vestiti più belli li doveva avere lei.
Addirittura nelle discussioni familiari era sempre lei a pretendere di avere l‘ultima parola.
Don Vito e la moglie, dopo aver cercato - ahimè invano - di farla crescere educata e gentile come le altre sorelle scoprirono che avevano una bella gatta da pelare.
Già al compimento dei dieci anni della piccolina si resero conto di non avere alcuna possibilità e speranza di domare quella figlia dal carattere inquieto e capriccioso, e dopo mille tentativi di raddrizzarla, si arresero, e fu una resa incondizionata.
Lasciarono che Consolata crescesse al di fuori delle regole.
Così, se mentre la famiglia era riunita a tavola a pranzare, si fosse sentita una sequela infinita di parolacce, perché quello che veniva servito non era di suo gradimento, statene certi che usciva dalla candida boccuccia della piccolina.
La quale, poi, anche fuori casa, aveva dei comportamenti dei peggiori maschiacci di strada, tant’è che non c’era giorno che qualche mamma bussasse alla porta di Alfonsa per mostrare gli occhi pesti del proprio figlio dopo che era, disgraziatamente, passato sotto le grinfie della cara Consolata.
Erano comunque, avuto ben presente sempre che era figlia di Don Vito, rimostranze controllate, come:
“Guardi signora Alfonsa come ha conciato mio figlio quella birichina della sua.
“Le dica di stare attenta in futuro.
“Certo son giochi di bambini, però……..”
Alfonsa, ogni volta, non sapeva cosa dire, e come scusarsi.
Le prime volte cercò di castigare la propria figlia con sonori scapaccioni, ma nulla.
Passò quindi alla privazione dei dolci di cui era ghiotta, anche qui senza risultato.
Infine pensò di rinchiuderla nella cameretta a doppia mandata, e a pane e acqua, nella speranza di raddrizzarle la schiena.
Ma gli esiti furono in ogni caso molto deludenti.
Così alla lunga, rendendosi conto che non c’era castigo che la potesse cambiare, lasciò che le cose andassero come dovevano andare.
Tanto quando la rinchiudeva in casa, lei, la piccolina, la indemoniata, usciva dalla finestra della sua cameretta per scivolare lungo la grondaia, e così tornare in strada a giocare come un maschiaccio con i maschiacci del quartiere.
Ci scappò anche qualche sculaccione, di quelli che fanno sbucciare le natiche e bruciare le mani, ma anche allora la dolce e cara bambina non dava segni di cedimento, e anziché piangere rideva e gridava:
“Tanto non mi fai male, vecchia balena!”
E quando a una festa di compleanno la piccolina prese a fare i capricci perché non voleva attorno al tavolo il figlio di una nipote della mamma (perché aveva le orecchie a sventola), questa provò a castigarla davanti a tutti, privandola della fetta di torta che le spettava come festeggiata, ottenendo, come risultato, di ricevere l’intera torta di panna e cioccolato in pieno viso.
Con quel gesto la mamma si convinse che la misura era colma!
Non rimaneva che chiuderla in collegio, di quelli severi, e buttare via la chiave!
Ma non ne ebbero il coraggio, dopo mille tentennamenti e notti insonni.
Così i poveri genitori decisero di non fare nulla.
Facesse un po’ quello che voleva, sperando in Dio che non si cacciasse in qualche guaio.
Comunque, per evitare che la figlia infilasse la testa in qualche cosa di irreparabile, Don Vito, con il consenso dell’intera famiglia, ma all’insaputa della moglie, pensò di affibbiare a uno dei suoi uomini più fidati e scaltri, la tutela della piccolina, raccomandandogli di sorvegliarla in tutti i suoi spostamenti, badando bene di tenersi a debita distanza per non farsi scorgere.
Ma il pedinamento non durò a lungo.
Perché Consolata - che probabilmente fu messa al mondo con la cooperazione del diavolo perché ne sapeva più del medesimo - non tardò ad accorgersi che c’era un uomo del padre che la seguiva.
Il poveretto, al quale fu dato l’increscioso incarico, si chiamava Jack detto il talpa, per la sua abilità a nascondersi.
Ma evidentemente per Consolata non fu tanto talpa, dato che ben presto, dopo averlo fatto correre per tutta New York, e averlo seminato almeno un paio di volte, fece in modo di trovarselo faccia contro faccia.
Vistosi scoperto - ormai convinto di aver perso ogni traccia di quella benedetta ragazza, e quindi rassegnato a subire la conseguente e giusta punizione - fu costretto a stringere con quel demonio un patto di collaborazione, e mutua assistenza.
“Ragionerò con te” disse quel santo giorno al poveretto”e ti farò una proposta alla quale non potrai dire di no”
Sembrava tutto suo padre quando pronunciò quelle frasi a denti stretti, fissandolo dritto negli occhi, lei, il pargoletto, con quella faccetta bianca da schiaffi, una testolina di ricci biondi, e un corpicino esile che però nascondeva un animo da duro.
E se malauguratamente per Jack non fosse stata accettata la proposta che gli veniva fatta, lei avrebbe detto la sera stessa ad Al Ventura che le aveva messo le mani sotto la gonna, e per questo suo atto il povero malcapitato avrebbe subito una giusta punizione.
Lo sciagurato già da quelle frasi capì che non avrebbe avuto altra scelta, e così, sudando peggio di un cammelliere nel deserto, accettò.
Il patto consisteva nel dirgli dove andava, ma non con chi, e lui non la avrebbe dovuta seguire….. . Mai!
Né mai avrebbe detto la verità al padre, Don Vito.
Per contro Consolata gli avrebbe mollato una ventina di dollari,ogni volta.
Con quelli il nostro Jack avrebbe potuto quindi impiegare il proprio tempo andando al cinema, o a donne per le ore che lei sarebbe stata fuori.
E ad un‘ora stabilita, di giorno in giorno, si sarebbero incontrati all’angolo di Mulberry Street, davanti alla Pizzeria da Antonio, prima di fare rientro a casa, e solo dopo che lei avesse fatto il comodo suo.
Dove andasse era lei a dirglielo, ma con chi andasse Jack non lo seppe mai, né cercò di scoprirlo.
A Don Vito ogni volta riferiva:
“Capo, tutto ok! La piccola non sta facendo nulla di male.
“Si incontra con delle amiche e va al cine……
“Capo, tutto ok!”
“Ok, Jack!” rispondeva Don Vito tirando un grande respiro di sollievo mentre si accendeva il suo sigaro.



Fine della quarta puntata (continua)

 

 

 

 

 

 

Piazza Scala - dicembre 2010