Business and soups - affari e minestre
Capitolo quinto - Le gemelle: Carola e Santuzza

 

“Le gemelline non sono belle, ma simpatiche“
Questo era quanto si ripeteva nel salotto di Alfonsa quando, nel tardo pomeriggio, invitava le sue cugine Giustolisi a prendere il tè, e si parlava immancabilmente delle proprie figlie.
Le gemelline, così chiamate da tutti e mai per nome, non erano belle come Addolorata, ma nel loro piccolo non erano nemmeno da scartare.
Sul metro e settanta scarso, portavano i capelli castani, sempre corti, a caschetto.
Carola aveva gli occhi neri, mentre quelli di Santuzza, a guardarli bene da vicino, erano di un nocciola scuro.
Entrambe avevano un visino grazioso, e un animo candido come la neve.
Si dice in giro che i gemelli - soprattutto i monozigoti - pensano, sentono e provano spesso le stesse cose, avvertono le medesime sensazioni.
E così doveva essere anche per Carola e Santuzza perché chi le ha conosciute e frequentate, giura che anche loro erano unite negli umori, pensavano quasi nello stesso istante la medesima cosa, e concepivano la vita con lo stesso spirito, vedendo solo il bello e il buono in tutto quello che la stessa riservava loro.
Crebbero in perfetta simbiosi fino alla pubertà, poi Carola si discostò dalla sorella acquisendo una personalità tutta sua, tendendo ad assomigliare, nel carattere, di più al padre.
Certe qualità, o ce le hai, o non ce le hai, fin dalla nascita.
Le tieni dentro, inconsapevolmente, poi, un giorno esplodono, perché sono nella natura delle cose, degli uomini ( e delle donne).
Sono nel DNA di ognuno, e in quello di Carola c’era molto, ma molto, del padre.
La sensibilità prima di tutto, ma anche la furbizia e quel senso pratico nelle cose, negli affari.
La prontezza di riflessi, la spontaneità e, altra dote del padre, il saper prendere delle decisioni, magari anche decisamente crudeli.
Ma negli affari si deve essere crudeli.
Non ci deve essere spazio per i sentimentalismi.
E anche nella vita bisogna essere crudeli, non sempre, ma a volte sì perché come si dice “Mors tua vita mea”.
Santuzza, invece, rimase quasi sempre immobile e assente nel suo mondo dorato, cercando di evitare tutto ciò che poteva evitare, che le potesse arrecare fastidio, e, soprattutto, fatica.
Faticava anche di pensare a cambiarsi d’abito, ed è detto tutto.
Per lei prendere una decisione poteva essere in qualche maniera scomodo, ingombrante.
Per la sua testolina nata stanca che si rifiutava di tormentarsi anche semplicemente nel dire un semplice sì, o un liberatorio no.
Così fin da piccina la nostra Santuzza trovò assai più comodo appoggiarsi sempre di più alla sorella in quanto le tornava più facile che ci fosse lei, la gemella, a prendere posizione e decisioni, per entrambe.
Qualunque cosa dicesse, o facesse Carola, a lei andava bene. Era come avessero un solo cervello in due.
E quando furono in età di piacere ai ragazzi, lasciava che fosse Carola la prima a fare la scelta.
Santuzza preferiva restare nel mucchio, anonima, lasciando che fossero gli altri a fare la fatica di cogliere fra i due fiorellini:
“Questa mi piace (Carola), questa non mi piace(Santuzza), ma va bene per dopo……..”
E quando un ragazzo le si avvicinava per chiedere di ballare, lei, prima di accettare, cercava con lo sguardo la sorella. come per chiederle il parere se accogliere o meno l’invito.
E se dall’occhiata della gemella intuiva che era consenziente, allora, ma solo allora, si lasciava andare.
“Sì anche a me piace lo stesso ragazzo che piace a te, ma vàcci per prima, che è meglio… Se poi non ci fai niente allora me lo passi…….!“
Così disse durante una festicciola di compleanno di una cara amica di scuola, quando entrambe avevano messo gli occhi sullo stesso ragazzo.
Era un biondino campione di basket il conteso, colui che piaceva più a Santuzza che a Carola.
Ebbene, per la cronaca, per fare capire come era fatta Santuzza, anche quella volta lasciò che fosse la adorata sorellina a fare la prima mossa.
Se a Carola fosse andato bene il ballo fatto per prima col biondino, pazienza, avrebbe aspettato il suo turno; se invece fosse andato male, nel senso che non sarebbe squillata nessuna campanella di pura libidine, sarebbe subentrata lei.
E cosi‘ accadde.
Ma chi fu presente a quella festicciola riferì che anche in quell‘approccio, con quel ragazzo che le piaceva tantissimo, la nostra Santuzza non ci mise tutto quell‘entusiasmo che una ragazza della sua età - con le papille gustative e olfattive a posto e gli ormoni a mille - avrebbe dovuto metterci.
Anche allora, così come in altre occasioni, fece di tutto perché le cose andassero avanti quasi per inerzia, per conto loro, lasciando tutto il peso di un rapporto normale a due sulla gobba di “lui”.
Alla sorella che certe cose le vedeva, e che quindi cercava di scuotere la sorella perché ci mettesse più vita quando era con un ragazzo, lei rispondeva:
“E’ una fatica limonare. Lascio l’iniziativa a lui…..che male faccio? Se sono rose fioriranno!” tra un sospiro e l’altro.
Quando poi trovava quello che si stancava della sua apatia (dato che quando ci si bacia o ci si abbraccia si aspetta dal proprio partner una certa collaborazione e trasporto di sensi - il più delle volte assenti in Santuzza -) e quindi la mandava senza mezzi termini a quel paese, lei , faceva come la nota storiella della volpe e l’uva, chiudendo l’episodio con un laconico :
“Non era per me!” e si girava dall’altra parte.
Tra le due, quindi, il comportamento anomalo di Santuzza con l’altro sesso non poteva mai essere motivo di attrito o di scontro, questo era poco, ma sicuro!
E questo non-scontro avveniva non solo nella vita sentimentale, perché la loro unione era così cementata che trovavano il giusto compromesso su ogni cosa.
In ogni cosa, però, Carola era ( e pretendeva di essere riconosciuta) la più cazzuta.
Accadeva quando voleva dire la sua nelle discussioni di affari, e in ogni occasione, e non per caso, trovava il padre perfettamente d‘accordo con il suo pensiero.
Di tutte le cinque figlie (resta fuori dal conteggio Consolata perché quella era speciale, e a un certo punto si disinteressò completamente degli affari di famiglia) Carola, più passava il tempo è più gli assomigliava.
Delle cinque rimaste, era la Santuzza la più molle, e non si capiva proprio da chi avesse preso.
“Ma come fai a vivere così” chiedevano a quest’ultima le sorelle quando facevano circolo durante le riunioni familiari “Sembra che non hai interesse per nulla!”
“Pare che tu faccia fatica anche a pensare, a prendere decisioni, e meno che meno iniziative“le diceva Maria Concetta che, in quanto la maggiore, assumeva spesso le parti della mamma.
“Sembra che ti piaccia farti cullare e portare dal tempo, e non dimostri entusiasmo per nulla!” aggiungeva Addolorata.
Ma tutti questi discorsi alla nostra Santuzza facevano lo stesso effetto che fa un rivolo d‘acqua sulla dura roccia, cioè scivola via senza scalfirla.
Solo verso i sedici anni, capì da sola che non era più il caso che uscisse di casa tenendosi per mano con la sorella Carola, e che non c’era nessun “Orco” pronto a rapirla .
Da sola capì, fortunatamente, che anche camminandole a fianco, la sorella la proteggeva e la guidava, ma che era soprattutto la presenza di Al Ventura a sconsigliare chiunque ad avere cattivi pensieri.
A scuola, come tra le mura domestiche, spesso non era facile distinguere chi fosse l’una e chi fosse l’altra tanto erano simili fisicamente.
Le sorelle più grandi le differenze fra le due le trovavano, eccome, soprattutto nelle gestualità, nel come rispondevano alle domande, o come si presentavano agli estranei: Carola sempre in modo appropriato, Santuzza molto timidamente e scontrosa.
Sta di fatto che le gemelline sulla loro somiglianza giocavano divertendosi un mondo a mescolare le carte, e a confondere le idee alle persone meno attente.
Così molto spesso accadeva che le due, quando c’era qualche materia di studio che una non aveva ripassato, si vestivano con gli stessi abiti e con gli stessi colori, in maniera tale che la confusione fosse totale.
Cosicché Santuzza, nelle ore di scuola, prendeva il posto di Carola nelle materie scientifiche, e Carola prendeva il posto della gemella in storia e geografia.
Fu dopo che presero la licenza liceale che Alfonsa con le figlie più grandi decise di dividerle per fare in modo che Santuzza continuasse gli studi, e Carola badasse alle cose di famiglia.
Tale decisione fu presa (anche e soprattutto) con l’intento che Santuzza, stando lontano da casa e dalla gemella, riuscisse a scuotersi dal suo candido torpore.
Le due, nonostante la lontananza, continuarono a tenersi in contatto scrivendosi quasi ogni giorno, e almeno una volta ogni due mesi, fecero in modo di incontrarsi a metà strada, per raccontarsi quello che avevano fatto.
In uno di questi incontri Carola seppe che ad Harvard, dove Santuzza studiava, c’era una certo Robert che le faceva la corte, e Santuzza a sua volta seppe che la gemella aveva accettato di flirtare con quell’Alfredo Caruso di cui loro padre tesseva giornalmente elogi giudicandolo un picciotto leale e onesto.
“Un picciotto che sa ascoltare e parla solo quando deve parlare!“
Le nozze di Carola e Alfredo, Santuzza e Robert furono celebrate lo stesso giorno, dello stesso mese, dello stesso anno.
Ma mentre Carola e Alfredo erano fatti della stessa pasta perché erano cresciuti all’interno della famiglia, Santuzza e Robert scoprirono, al contrario, una volta passata l’euforia della luna di miele, di essere e di appartenere a due mondi completamente diversi.
Lui proveniva da una comunissima famiglia di irlandesi trapiantati in America da due generazioni.
I genitori erano proprietari di un negozio di ferramenta nell‘ Illinois e avevano fatto una montagna di sacrifici per mandare il figlio in una università tanto famosa e prestigiosa come Harvard.
Volevano che Robert, figlio unico, si facesse strada nel mondo delle banche e della finanza, e così fu.
E il suddetto, molto ambizioso, dal carattere forte (anche troppo!),ostinato fino all‘inverosimile e, (purtroppo per chi gli stava intorno) superbo e altezzoso, non faticò ad ottenere quello che i suoi genitori desideravano ottenesse, anche sgomitando, e senza guardare in faccia nessuno.
Invaghitosi di Santuzza, si adoperò fino quasi alla fissazione perché anche lei - che non brillava certo come studentessa - ottenesse la laurea dato che nella sua famiglia non si poteva concepire che la futura sposa dell’unico figlio non avesse uno straccio di laurea.
E questa loro fissazione per la laurea ad ogni costo si radicò anche nella testa di Robert!
Anche per lui era infatti inconcepibile che una ragazza non laureata potesse far parte della sua famiglia, così tanto fece, e tanto si impegnò, che la sua Santuzza - nonostante le crisi di pianto e i momenti di sconforto che periodicamente la affliggevano prima di ogni esame - ottenesse la tanto sospirata laurea.
Forse fu proprio la vicinanza di Robert a cambiarla anche nel carattere - in peggio naturalmente - e il matrimonio ne accrebbe la sintomatologia.
Cosicché la dolce e cara Santuzza, dopo sposata, periodicamente, incominciò ad alternare momenti di estrema euforia e voglia di fare, con momenti di assoluta apatia e indolenza (comunque noti anche nella sua adolescenza).
Naturalmente Robert, che era entrato a far parte dei vertici di una famosa banca irlandese con sede a Chicago, non era a conoscenza della vera attività della famiglia di lei.
Sapeva che in New York il padre era proprietario di un ristorante abbastanza noto, ma mai e poi mai lo aveva sfiorato l’idea che dietro ci fosse dell’altro.
Oddio, il giorno del matrimonio, invero, gli era sembrato strano vedere tutti quegli uomini dall’aspetto inequivocabilmente da gangster mafiosi tirati a lucido.
Né gli parve normale che indossassero gli stessi abiti gessati, e sotto le ascelle di ciascuno di loro apparisse, simile alla fondina di una pistola, una sospetta protuberanza.
E neanche gli era piaciuta molto la figura di quel certo Al Ventura che seguiva passo dopo passo il padre della sposa, e che quando gli aveva stretto la mano lo aveva squadrato da capo a piedi come fa un becchino quando prende le misure al morto per la bara.
Ma il nostro laureato era così preso di sé, e di quel suo momento di gloria - anche se suo malgrado lo stesse condividendo con l’altra coppia Carola & Alfredo - che tutto quello che lo circondava, pur dandogli un leggero senso di fastidio, era passato in secondo piano.
Si sentiva, tra tutta quella gente così rozza, di un gradino superiore, e dunque non poteva, né doveva badare al popolino .
Grazie alla sua tenacia ed intraprendenza riuscì all’interno della banca a raggiungere ben presto una posizione di dirigente, il che comportava un immenso ufficio al penultimo piano del palazzo nel pieno centro di Chicago, con una segretaria e una decina di financial manager sotto il suo diretto controllo.
Con uno stipendio, a quei tempi, molto invidiabile, aveva affittato un lussuoso appartamento nella zona vip della città, offrendo alla moglie - che non doveva lavorare ma stare in casa - di usufruire dei servigi di ben due cameriere, e di un cuoco cinese.
A questo punto sorge spontanea la domanda:
“Ma se la moglie doveva stare in casa, a cosa era servita la laurea, e le sofferenze patite da Santuzza per ottenerla?”
A questa domanda non c’era una risposta logica; né avrebbero saputo darne una appropriata, le sorelle, o i genitori, e nemmeno la diretta interessata, la quale oltre a patire la lontananza dalla amata famiglia, passava le giornate in casa a girare i pollici non avendo altre distrazioni, né figli (che non poteva avere) da accudire.
Se poi aggiungiamo il fatto che nei fine settimana il marito - patito di golf - era immancabilmente sul green con i suoi amici banchieri, è facile immaginare come la poverina si sentisse.
Al contrario, la coppia Carola-Alfredo, ogni giorno che passava, era sempre più unita in virtù degli stessi interessi nel tempo consolidati.
Vivevano per loro stessi e per la famiglia, di cui curavano gli affari, mettendo il cuore nelle cose che facevano.
Carola era quella che più di tutte adorava il padre Don Vito.
E standogli vicino, nel tempo ne aveva acquisito lo stesso modo di affrontare gli affari, l’identico modo di vedere le cose e di ragionare, per trovare la soluzione migliore a risolvere i problemi che via via si presentavano.
Se fosse nata maschio, ecco quello sarebbe stato il perfetto erede della famiglia Gambini.
Il marito di Carola, Alfredo, era il compagno ideale, il cacio che si aggiunge ai maccheroni.
Attento, preciso, silenzioso, affabile, sempre disponibile, ma soprattutto degno della massima fiducia..
Fin da piccolo aveva nutrito una ammirazione tutta particolare per Don Vito al quale doveva eterna riconoscenza.
Trovatello, pescato per caso una mattina in una cesta nel fondo del vascone (fortunatamente asciutto) sul retro del ristorante, fu cresciuto all’interno della stessa famiglia grazie alle amorevoli cure di una sorella di Alfonsa, Carmelina, vedova e sola, per la quale, averle dato la possibilità di allevare quel bambino così spaurito e pelle ed ossa, fu come ricevere un dono di Dio.
Dai dieci anni fino ai diciotto ad Alfredo, Don Vito diede gli incarichi più disparati, come inoltrare agli affiliati messaggi contenenti le iniziative da assumere nei confronti di gangs rivali, portare in bicicletta pacchi di banconote raccolte in scatole di cartone con sopra stampate etichette Italian‘s spaghetti, o pedinare persone equivoche che tutto d’improvviso prendevano a circolare in Mulberry Street senza un preciso scopo (e questi per Don Vito erano le più pericolose in quanto - e fino a prova contraria - considerate potenzialmente nemici).
E tutto quello che gli veniva detto di fare, il nostro ragazzo, lo faceva con puntualità e con coscienza.
Portata a termine la missione, riferiva a fine giornata a Don Vito, e solo a lui.
Qualche volta anche ad Al Ventura, però solo se gli veniva richiesto.
A dodici anni dichiarò il suo amore per Carola, e come si conviene nelle antiche famiglie sicule, confessò i propri sentimenti prima al padre, chiedendo il permesso di poter corteggiare la figlia.
Don Vito, sulle prime, credette si trattasse di un semplice gioco di bambini, e disse di sì.
Ma per Alfredo quello non era un gioco, bensì l’esternazione di un vero sentimento.
Così sentendosi incoraggiato dal sì di Don Vito, si dichiarò anche a Carola (che aveva da poco compiuto i dieci anni).
La bambina rimase sorpresa di quella improvvisa e inattesa iniziativa di Alfredo che fino ad allora aveva considerato solo un fratellastro di poco conto e, pertanto, non lo prese minimamente in considerazione; anzi per tutta risposta, gli rise in faccia.
Ma Alfredo già da ragazzo era uno tosto, uno che aveva imparato sulla propria pelle che per avere qualcosa dalla vita se la doveva guadagnare, e così non si perse d’animo.
Attese in silenzio il momento opportuno per sferrare il secondo attacco, e quando anche a questo lei risposte picche non disperò.
Fu alla festa dei diciotto anni che decise di ritornare alla carica, questa volta accompagnato da un anello di brillanti acquistato con i risparmi di una vita.
E ai brillanti si sa che una donna non sempre riesce a resistere.
Il resto è storia nota: i due si sposarono lo stesso giorno, dello stesso mese, dello stesso anno in cui si unirono in matrimonio anche Santuzza con Robert.




Fine della quinta puntata (continua)

 

 

 

 

 

 

Piazza Scala - dicembre 2010