Il maresciallo, a quel punto, ha preso il suo culo, massiccio e
prorompente, e lo ha posato sul sedile della Panda, facendola cigolare e
abbassare.
Il maresciallo è una specie di gigante. Ama dire, quando è in vena di
parlare di sé, che le persone che non lo conoscono, incontrandolo, non
hanno paura di lui se è in divisa d'ordinanza, ma, piuttosto, se è
vestito con abiti civili. Egli, infatti, ha una faccia enorme e pochi
capelli, tra l'altro radi, dietro le orecchie, il naso aquilino, e a
vederlo quando è vestito per la campagna si direbbe che abbia consumato
un pasto di carne umana pochi minuti prima. Peserà almeno centoventi
chili, ma chili di muscoli e di forza. E tuttavia è una delle persone
più gentili che abbia conosciuto, e di lui mai ho sentito dire, come
invece di altri si dice, che abbia usato maniere brusche con chi si è
trovato sulla sua strada di carabiniere. Di lui si è sempre detto: "E
veramente una persona perbene", "Fossero tutti come lui"; a questi
commenti, però, oggi spesso si aggiunge l'altro, che già conoscete: "Ma
chi glielo ha fatto fare!", oppure "Dopo tanti anni!".
Il fatto è, io penso, che il maresciallo Pavan, con quel suo culo
possente e pesante, porta e mostra il suo destino: il suo orgoglio e la
sua onestà, Il suo senso del dovere.
Se un carabiniere, per capirci, ti dice che è figlio di carabiniere,
vuol dirti con convinzione che lui non può permettersi di sbagliare, che
non può permettersi di tenere gli occhi chiusi davanti al pericolo, che
se un delitto è rimasto impunito se ne fa una colpa personale, se è
rimasto impunito quando lui non c'era è suo dovere, ora che lui c'è,
rivedere le carte e, se del caso, far di tutto per riaprire le indagini.
E se quel carabiniere è anche nipote di carabiniere, tutti questi doveri
diventano ancora più cogenti, per lui non c'è via di scampo.
Il maresciallo Nerio Primo Giovanni Pavan, detto Nevio dagli amici, come
già ho detto, oltre che figlio di carabiniere, ne è anche nipote. Suo
nonno, il primo Nerio Primo Giovanni, era di origine veneta, e chi lo
ricorda dice che era un omone enorme, tutto cuore. Era uno dei "ragazzi
del '99". Durante la Prima Guerra Mondiale era stato destinato alla
campagna di Albania, dove, ricordava spesso, era tanto difficile
arrampicarsi per le mulattiere che gli asini e i muli talvolta
precipitavano per diverse centinaia di metri portando con sé il prezioso
viatico. Quando fu ferito, per premio la convalescenza a casa. Ma subito
dopo la nuova destinazione: il Monte Grappa. Altro che premio! Tuttavia,
circa sessanta anni dopo il Presidente della Repubblica, e non il re, si
sarebbe ricordato della sua partecipazione alla Prima Guerra Mondiale
tanto da insignirlo "Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto"! Poiché,
negli anni Trenta, durante il regime, a chi aderiva all'invito del
governo a partecipare alle campagne d'Africa gli veniva riconosciuto per
due un solo anno di servizio, lui, fedele servitore dell'Arma, e padre
di cinque figli, non esitò a imbarcarsi per Mogadiscio, dove si ritrovò
bloccato dallo scoppio della Grande Guerra e dove, suo malgrado, rimase
fino al 1943. Al ritorno, trovò tutti i cinque figli cresciuti, la
moglie sempre lì ad aspettarlo. Poi la fine della guerra, e i dispiaceri
per la caduta della monarchia, per lui che del re amava dire: "Mi ha
dato sempre da mangiare".
Nel 1947 fu la volta del figlio maggiore a entrare nell'Arma. E fu degno
figlio di tanto padre. Egli, di nome Bernardo e padre di Nevio, ebbe
come prima destinazione la Sicilia. Erano i tempi del Bandito Giuliano,
e lui all'epoca era li. Li avrebbe sempre ricordato, quei tempi, e la
strage di Portella della Ginestra. Per onestà di cronaca, lui non era a
Portella, si trovava a Piazza Armerina, in tutt'altra zona, e la strage
era già avvenuta. Ma sempre di Sicilia si trattava, e stare in Sicilia
facile non era. Poi venne trasferito in Calabria dove si ammogliò, con
una rigogliosa ragazza sibarita, nel 1958, anno di concepimento del
primo figlio, cioè del nostro maresciallo, che appunto, nacque pochi
mesi dopo di me. A lui fu rigorosamente assegnato il nome del nonno
paterno per avere facilità a portarne in avanti onore e gloria.
L'appuntato scelto Bernardo Pavan non ebbe tuttavia lunga vita da
carabiniere poiché nel 1963 - non gli mancava molto alla pensione minima
- ebbe un incidente, non nell'inseguimento di un ladro o nel tentativo
di sventare un abigeato, ma semplicemente in campagna con uno dei primi
aratri a motore che si vedessero da queste partì, e, costretto al
congedo, si dedicò, aiutato dalla robusta moglie che da quel momento non
ebbe più figli dopo averne avuto tre, e tutti maschi, alla proprietà
agricola di lei. Pare che i risultati della gestione dell'azienda
agricola fossero eccellenti, specialmente allorché i figli diventarono
grandicelli e pronti a dare una mano; ed è forse proprio per questo
moti¬vo che da queste parti in molti non si ricordano dell'appuntato dei
carabinieri Bernardo Pavan: perché, intendo dire, tanto bene era
ricordato come abile agricoltore, e menomato alla gamba, che bisogno di
ricordarlo come servitore dell'Arma non c'era. Ma la tradizione era nel
sangue di Bernardo Pavan, era un obbligo morale, e quando il primogenito
fu pronto, lui rinunciò a due solide braccia da geometra per i campi,
per il dovere di destinarle al servizio diretto dello Stato.
Nerio Primo Giovanni fu subito arruolato e nel 1980 prestò giuramento, a
Roma, alla Scuola Allievi. Sempre a Roma, l'anno successivo, si distinse
per un atto coraggioso alla stazione Termini, dove, sebbene non in
servizio, inseguì e catturò da solo, con la velocità delle gambe e con
la forza delle braccia, due borsaioli. La cosa gli procurò la meritata
onorificenza ma, secondo qualcuno, anche qualche piccolo problema. Un
fatto è certo però: che da lì alla Scuola Sottufficiali il percorso fu
facile. Nacque, così, il maresciallo Pavan, onoratissimo figlio e nipote
di carabiniere. Poi il solito percorso, in giro per l'Italia, e, in
esso, l'ammogliamento e i figli, nati in tre diverse parti d'Italia. Tra
le tante sedi il Piemonte dove aveva conosciuto la moglie, una sana
tota delle Langhe, la quale, rientrando con lui in Calabria nel
1997, non aveva avuto nulla da ridire, se non che, anzi, lei si trovava
"meglio qui che lì".
Il resto è storia recente. Ma proprio questa storia mi mancava, mentre
il maresciallo si allontanava col suo deretano onorato, per potere
procedere con la narrazione.