Sesta puntata - appendice: IL KALASASAYA

Questo ampio centro cerimoniale e d'osservazione astronomica, a pianta rettangolare, lungo 126 metri e largo 117, fu investigato per molti anni da Arthur Posnansky; il suo accesso principale presenta un grande portale costituito da tre enormi blocchi di arenaria rossa del peso di decine di tonnellate, giuntati in modo incredibile e finemente lavorati.
L’intero perimetro era scandito da una serie di pilastri monolitici di andesite, alcuni dei quali alti sette metri e del peso stimato di almeno quaranta tonnellate e, malgrado l’erosione del tempo, in alcuni di essi sono chiaramente visibili delle indentature, probabilmente destinate in passato a sostenere degli architravi.
Il nome a suo tempo attribuito al monumento è un termine in lingua aymara che significa “il luogo dei pilastri” e custodisce al suo interno alcune delle più importanti opere litiche dell’antica civiltà di Tiahuanaco.
In uno degli angoli del recinto si trova, infatti, il più noto e celebre monumento in pietra del continente americano, ci riferiamo a quella che fu chiamata “Porta del Sole”, della quale parleremo in prosieguo (angolo in alto a destra della sottostante fotografia), nonché lungo le mura la serie di pilastri, a distanze regolari, dalla cui sequenza Posnansky rilevò gli allineamenti astrali.
Tornando al Kalasasaya, è opportuno precisare che il manufatto dà la chiara indicazione di essere stato un centro cerimoniale, elevato su di un'enorme piattaforma, le cui fondamenta, i muri perimetrali, le scalinate e le arcate del portale d’ingresso sono costituite da giganteschi blocchi monolitici; un’altra sua funzione era quella d'osservatorio astronomico, poiché la costruzione segue precise linee di congiunzione con costellazioni celesti (funzione attribuitale dal Posnansky e, successivamente, confermata da altri archeologi ed astronomi).
Alla metà del secolo scorso poco opportune opere di restauro, volute dal governo boliviano, hanno stravolto l’originaria fisionomia del monumento: l’intero piazzale interno fu riempito con materiale di riporto, affinché la costruzione assumesse l’aspetto di una piramide tronca a due gradini e gli spazi tra i pilastri colmati con blocchi di calcestruzzo.
Il riempimento del piazzale interno ha avuto la poco “intelligente conseguenza” di ricoprire i resti della straordinaria pavimentazione originaria in lastre d'andesite, a suo tempo portata alla luce dal Posnansky, nonché di chiudere larga parte degli ingressi laterali.
Quanto all’enorme portale monoblocco, del peso stimato di oltre cinquanta tonnellate (ma quante potevano essere state prima della squadratura del monolito?), esso è quanto rimane di un edificio laterale al Kalasasaya, di fatto smontato in epoca coloniale per costruire una chiesa cattolica:

L’enigmatica figura antropomorfa, che si erge solitaria nell’angolo in alto a sinistra del piazzale (nel cerchietto rosso della figura a p. 13), essa pure ricavata da un unico blocco di rilevante tonnellaggio, fu denominata impropriamente “l’idolo”, ma è molto più probabile che rappresenti l’immagine degli “dei” che portarono civiltà e conoscenze sull’altopiano, considerati anche i due strani strumenti che tiene nelle mani (che non sembrano né pugnali, né bastoni di comando, ma piuttosto due strani attrezzi per un qualche uso tecnologico).
Particolare attenzione va riservata all’ingresso principale del centro cerimoniale, sia per la grandiosità del manufatto, sia per le dimensioni dei blocchi che lo compongono; specialmente i due grandi lastroni ai lati della scalinata (lunghi undici metri, alti cinque e larghi due, per un peso stimato di oltre 400 tonnellate ciascuno) ci lasciano stupefatti, al pensiero di come possano essere stati lì trasportati e posti in opera.
Forse dinnanzi a queste meraviglie i poveri frati missionari al seguito dei “conquistadores” altro non poterono pensare, se non che fossero opere del demonio.
Guardando l’ingresso, si nota sullo sfondo del portale un’altra figura, simile a quella descritta sopra per immagine e dimensioni, che il Posnansky rilevò essere un segnalatore astronomico equinoziale:

Esattamente davanti all’ingresso è stato portato alla luce un piccolo piazzale (denominato “tempio semisotterraneo”),
sprofondato di circa tre metri nel terreno e sulle cui pareti in blocchi di pietra è stata inserita una successione di quarantotto sculture per ogni lato, rappresentanti volti umani e d'animali. Nonostante la maggior parte di essi sia stata erosa dal tempo o mutilata dagli uomini, sono tuttavia riconoscibili i profili di personaggi di rango, di lama, puma e giaguaro, nonché alcune interessanti teste di pesce.
Lo scopo ed il significato di questo manufatto è del tutto ignoto ed ogni congettura fatta al riguardo è priva di fondamento.
La valenza sacrale di questo monumento è, comunque, testimoniata dalla presenza di alcune stele al centro della piazza sprofondata. La più strana rappresenta un personaggio barbuto, ritratto in posizione frontale e circondato da numerosi simboli, tra cui serpenti e giaguari (circostanza, specie quella della barba, che è riscontrabile in stele, statue ed altari olmechi e maya, culture peraltro sviluppatesi molti millenni più tardi di quella in oggetto e migliaia di chilometri più a nord in Messico e Guatemala).
Poiché le popolazioni amerindie non hanno questo particolare attributo del mento, presente in tante altre popolazioni d'altri continenti, resta un fatto inspiegabile, a meno che non torniamo ai superstiti dell’evoluta civiltà preistorica che, visti come “dei” dalle popolazioni indigene, tennero accesa in più punti del pianeta la fiaccola della civiltà, dopo l’evento disastroso avvenuto intorno al 7.500 a.c.



Non rimane ora che osservare un particolare delle mura perimetrali esterne del Kalasasaya, nelle quali sono facilmente riconoscibili i blocchi di pietra e calcestruzzo inseriti arbitrariamente nei “restauri” della metà del secolo scorso, onde permettere di riempire con materiali di riporto il piazzale interno del monumento (tale riempimento è visibile nel ridotto passaggio sulla destra del fotogramma):

Fine sesta puntata - segue appendice "LA PORTA DEL SOLE"


 
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Piazza Scala - aprile 2011