Quinta puntata

Diamo volentieri atto che, da circa duecento anni, con una grande accelerazione nel secolo da poco trascorso, l’archeologia ha fatto passi giganteschi e portato alla luce vestigia essenziali per comprendere l’avventura umana.
Questa scienza ha, tuttavia, un’evoluzione discontinua e sovente scoordinata, preferendo singole aree d’indagine, anziché puntare su di una visione d’insieme.
Su questa situazione pesano anche due fattori che, in certo modo, destabilizzano lo studio approfondito, globale ed obiettivo del nostro passato: da un lato un ottuso turismo di massa per lo più scarsamente informato (ed il più delle volte lasciato alla mercè di “guide” che mostrano e descrivono solo ciò che colpisce la fantasia del pubblico), dall’altro la manipolazione sistematica delle indagini che vengono per lo più spettacolarizzate, distorte e, a volte, anche falsate.
Tutto questo difficilmente porterà a soddisfare la sete di conoscenza ed il desiderio di conoscere e capire il cammino dell’uomo su questo pianeta.
In queste pagine abbiamo illustrato un'indubbiamente primaria forma di civiltà, della quale, però, si è investigato solo un 2%, vale a dire quasi nulla, mentre meriterebbe convinte e ben gestite campagne di scavo, che però sono costose, lunghe e molto complesse, sicché i governi locali e le istituzioni internazionali sono a dir poco “tiepidi” sull’argomento.
A veder bene, gli archeologi non hanno un’idea precisa ed uniforme di cosa sia stato questo luogo, che anche il direttore dell’Istituto Nazionale di Archeologia Boliviano, Oswaldo Rivero, considera antico di almeno seimila anni (vale a dire intorno al 4000 a.c.).
Verso la fine degli anni ’90 quest'istituto, per conto del governo boliviano, diede incarico ad Oscar Corvison, ingegnere ed astronomo molto stimato, di misurare gli allineamenti solari dei principali monumenti di Tiahaunaco.
I risultati del suo lavoro, protrattosi per oltre due anni, confermarono quanto ottenuto dagli studi precedenti; non solo, perché lo scienziato scoprì anche che queste antiche genti possedevano un calendario annuale, basato su di un sistema vigesimale, con mesi di venti giorni (di fatto analogo a quello dei Maya, che probabilmente lo appresero dagli Olmechi, popoli che apparvero sulla scena della storia alcuni millenni più tardi e migliaia di chilometri più a nord).
Dopo aver illustrato come probabilmente sia sorto e cosa contraddistingua questo grande ed incredibile sito archeologico, è opportuno svolgere alcune considerazioni sul problema della datazione dei reperti.
Troppo spesso, infatti, storici, archeologi e studiosi del ramo attribuiscono date alle vestigia del passato in maniera discutibile e che genera difformità d’interpretazione e rilevanti discordanze nell’assegnare l’età ai reperti, specialmente quando non sia possibile contare su documenti che supportino le conclusioni cui si arriva.
In mancanza di tali documentazioni (scritte o incise su stele che siano), il ricorso alle recenti tecniche di datazione con metodo del “Carbonio 14” e della “radioluminescenza” delle rocce risulta piuttosto complesso ed aleatorio: nel primo caso perché i resti organici possono non essere coevi al sito investigato oppure rimescolati dagli elementi nel corso del tempo, nel secondo caso perché il metodo è valido solo sul lungo periodo, cioè i milioni di anni.
Per meglio spiegare quest'affermazione relativamente al “Carbonio 14”, facciamo un esempio.
Supponiamo che nel 2001 d.c. Roma sia stata distrutta da un catastrofico evento naturale e sia stata ricoperta da uno strato di fango e pietrisco che abbia quasi cancellato la struttura urbana (e la bellezza monumentale e paesaggistica).
Se qualche millennio più tardi, esaminando le vestigia di questa grande città, gli archeologi del futuro (che, ovviamente, dovrebbero utilizzare le stesse tecniche d’indagine dei colleghi d'oggi e non sistemi ben più avanzati) riportassero alla luce il “Pantheon” ed i resti organici degli illustri italiani e dei re d’Italia, tutti deceduti a partire dal 1520 d.c. (Raffaello) ed ivi tumulati, procedendo alla datazione dei resti e, per analogia, dell’edificio, detti archeologi fisserebbero con molta probabilità la loro età e quella del sito circostante tra il 1800 ed il 2100 d.c.
Però il “Pantheon” fu costruito circa duemila anni prima; ecco perché i resti organici, molte volte, falsano la datazione e possono portare a conclusioni errate su tutta l’indagine.
Questo è quanto avviene oggi nella gran parte dei siti che sono esaminati, per molteplice sommarsi di cause, generalmente con buona fede da parte dei ricercatori, in qualche caso meno per la smania di avvalorare le loro conclusioni. Anche Tiahuanaco non è sfuggita a questa situazione, ma, nel suo caso, la datazione delle sue vestigia
non è il fattore più importante su cui fissare l’attenzione. I resti organici rinvenuti e le conclusioni degli studiosi che li sottoposero ai vari “test” portano ad attribuire al sito una datazione che varia, secondo i pareri, tra il 1500 a.c. ed il 500 d.c.; tra queste due date, probabilmente, si verificò l’evento catastrofico che distrusse la città.
Essa però, esisteva ben prima, considerate le risultanze degli studi sugli strati più profondi, oltre a quelle sugli allineamenti astronomici, sicché la più probabile data di “fondazione” è indicata intorno al 4000 a.c.
Consideriamo valida quest’ultima data, ma la risposta che dobbiamo darci è, però, un’altra.
La grande città, i suoi monumenti, le sue infrastrutture urbane e così via furono costruite da un’evoluta civiltà, in possesso di una vasta gamma di nozioni e di avanzate tecnologie che permisero a quelle genti di realizzare questo stupefacente insieme di vestigia (e noi ne conosciamo solo il 2% del totale).
Da dove e quando i costruttori di Tiahuanaco attinsero il loro sapere, forse non lo sapremo mai; tuttavia è abbastanza logico ritenere che o l’ottennero da una preistorica civiltà della quale resta solo un labile ricordo oppure lo svilupparono nel corso di secoli, ma più probabile di millenni.
Resta però l’inconfutabile presenza delle loro straordinarie opere (pur se corrose dal tempo e mutilate dagli uomini, soprattutto negli ultimi cinquecento anni, giacché le antiche popolazioni dell’altopiano hanno sempre considerato il luogo sacro ed inviolabile), alcune delle quali presentano aspetti che nemmeno oggi potremmo replicare in ambienti consimili.
Figuriamoci, poi, se sarebbe stato possibile replicare simili opere per le genti andine o della costiera peruviana d’epoche molto posteriori.
Storici ed archeologi si sono spesso arroccati sull’ortodossia del passato che – non conoscendo o quasi la cultura Tiahuanaco – faceva un “unico mazzo” di tutti questi popoli (Huari, Paracas, Chavin, Chimu, Chanchan, Nasca, Moche, ecc.), restringendone il periodo storico in un migliaio d’anni (tra il 900 a.c. ed il 200 d.c.), attribuendo loro limitate conoscenze ed arcaiche tecnologie.
Certamente questi ultimi popoli, così come gli Inca che furono l’ultima grande civiltà del Sudamerica, prima di essere distrutti dai “conquistadores” spagnoli, non raggiunsero i livelli che presenta la cultura di Tiahuanaco, tuttavia ne derivarono molte nozioni almeno in certi campi, se - come vero – riuscirono ad esprimere livelli artistici, costruttivi e d'organizzazione sociale che non poterono essere casuali.
Se poi risaliamo lungo il continente americano, troviamo i Proto-toltechi che costruirono un’altra straordinaria città, ci riferiamo a Teotihuacan, sicuramente in epoca posteriore a quella illustrata in queste pagine, ma con buona probabilità utilizzando le nozioni apprese dai superstiti di questa cultura; per non parlare, poi, degli Olmechi, dei Maya, degli Zapotechi-Mixtechi, fioriti anche loro in epoche successive, ma nelle opere dei quali troviamo l’impronta della civiltà “madre” andina.
Terminiamo questo lavoro dopo aver passato in rassegna i vari elementi che hanno caratterizzato la civiltà di Tiahuanaco, dalla quale è possibile trarre un preciso insegnamento e, cioè, che lo sviluppo civile e culturale dell’uomo è molto più complesso e ampio di quello che, comunemente, ci è stato fatto credere, oltre al fatto che la sua evoluzione è iniziata molto prima di quanto affermano gli storici più conservatori.
Da qualche decennio, ormai, si è squarciata la nebbia in cui era avvolto il nostro passato e s' incomincia a vedere oltre i limiti che erano stati fissati quasi un secolo fa.
É chiaro che siamo solo agli inizi di una più obbiettiva interpretazione della storia, che il percorso sarà lungo e difficoltoso per molteplici motivi, che molte presunte certezze non saranno facili da scalzare, tuttavia da circa trent’anni è iniziata una nuova fase nella ricerca del passato del genere umano e nella più ampia comprensione dei vari passaggi che hanno contraddistinto il suo cammino sul pianeta.

Fine quinta puntata - segue appendice "IL KALASASAYA"


 
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Piazza Scala - gennaio 2011