Business and soups - affari e minestre
Capitolo undicesimo - Robert Brady

 


Per un Capo Famiglia l’onore e il rispetto sono valori assoluti.
Per un Capo Famiglia come Don Vito valgono più del milione di dollari che era riuscito a mettere nella mani della figlia Santuzza facendo vedere ai quei poveri Battaglia e Macaluso di cosa era capace, se veniva sfruguliato.
Ma i Battaglia e i Macaluso non gli avevano mancato di rispetto.
Loro avevano cercato di fare un business a suo danno, e gli era andato male.
Negli affari, come in amore e in guerra, tutto è permesso.
Ma non si devono mai confondere i business con l’onore e il rispetto.
Chi gli aveva mancato di rispetto, e aveva colpito l’onore della famiglia era stato, purtroppo, uno che faceva parte della stessaundicesima.jpg famiglia, ed era colui che aveva sposato una sua figlia, quella più vulnerabile.
Quell’ uomo con il suo comportamento si era permesso, anche se in un momento di comprensibile ira, di chiamare la sua adorata figlia mantenuta, e aveva osato gridare ad estranei che i Gambini, tutti i Gambini, nessuno escluso, erano dei bifolchi ignoranti, e che il padre della sua sposa era solo un oste.
“Un oste mafioso ignorante venuto da una terra di mafiosi!“
Non si scherza con l’onore di un Capo Famiglia, e questo vale per tutti, anche se sei il marito di una delle figlie.
E fu così che Don Vito decise che Robert avrebbe dovuto pagare per quell’offesa, anche se non subito.
E non fu, si badi, una decisione presa alla leggera, perché molte notti passò senza dormire, rivoltandosi nel letto più volte, con quei cupi pensieri che gli martellavano dentro il cervello
Ma Robert aveva mancato di rispetto, e anche lui doveva rimangiarsi quelle parole scostumate che aveva rivolto alla famiglia
E quando Don Vito aveva preso una decisione, non c’era santo che potesse fargli cambiare idea.
Stabilì che della conseguente punizione non si sarebbe incaricato il fido Al Ventura, perché uno come lui non sarebbe passato inosservato; doveva dunque affidare la cosa ad altri, ad uno che potesse muoversi nel più completo anonimato.
Sappiamo tutti della grande passione del nostro Robert per il gioco del golf, e sappiamo anche che non c’erano sabati e domeniche che lui rinunciasse alla sua bella partita in compagnia dei soliti amici banchieri.
Il nostro era riuscito solo da un paio di anni ad entrare nell’ esclusivo Golf Club of St. Andrews grazie alle conoscenze che gli avevano facilitato anche la sua fortunata scalata all’interno della St.Andrews Bank.
Sapeva che quello era un club esclusivo e il farvi parte - anche soltanto in qualità di socio pagante - gli avrebbe consentito di ottenere un ruolo importante nella scala gerarchica della società della Chicago bene, di quella che contava.
Era a tutti noto, altresì, che il nostro buon Robert non era un grande giocatore.
Per i giocatori con la “G” maiuscola era considerato uno che al massimo sapeva impugnare il bastone, e che aveva imparato che per il tiro iniziale doveva usare il tee.
Ma della compagnia che frequentava - tutti arrivisti e narcisisti come lui - non era il solo a passeggiare sul green parlando di buche, di handicap, di fair.
Ce ne erano molti uguali a lui che calpestavano i campi solo per darsi delle arie.
Il gioco, quel gioco con annessi e connessi, a Robert costava un paio di centoni al mese; ma dobbiamo dire, in verità, che era anche l’unico svago che si concedeva dopo una settimana di intenso lavoro fatto di transazioni finanziarie per conto di una clientela assai esigente.
Robert quando giocava aveva il suo caddy -che per uno al suo livello era più di un semplice portaborse - il quale era uno che ne aveva masticato di buche, di bastoni e di palline.
Oltre ad essere un ex giocatore di buon livello, doveva possedere grande pazienza e fingere, quando il nostro non colpiva la pallina, di non aver visto (e, soprattutto, doveva trattenersi dal ridere).
Fra i tanti caddy del club quello che aveva scelto, e che gli era stato consigliato da professionisti, era fra i pochi papabili il più anziano, ma certamente, fra quei pochi, era quello con più esperienza, e che gli poteva fare da maestro.
Era uno scozzese corpulento, con barba, baffi (foltissimi entrambi) e gonnellino, oltre ad essere un ottimo maestro era, come si dice, una vecchia spugna.
Accadde così, che una bella domenica mattina di un mese di luglio caldo ed afoso, il caddy scozzese di Robert non riuscì a sollevarsi dal letto, e quindi dovette dare forfait.
Al telefono si giustificò dicendo che era stato bloccato da una noiosa e dolorosa sciatalgia; ma era una bugia, perché a tenerlo a letto fu una grossa sbornia presa la sera prima quando trovò davanti alla sua porta una cassa di ottimo whiskey (scozzese) d’annata.
Come avrebbe mai potuto rinunciare a gustare quel nettare piovuto dal cielo per mano di chissà chi?
Siccome, a caval donato non si guarda in bocca, né si fanno domande, lo scozzese si dimenticò di essere un buon caddy, e ci andò giù duro a trincare quel ben di Dio piovuto dal cielo, come manna.
Fu sostituito, per necessità, dunque, da un ragazzotto (mai visto prima) che, comunque, il segretario del club (certo La Motta) giurò essere molto bravo ed esperto dato che gli era stato raccomandato da persone di New York a lui molto vicine (amici degli amici!).
Così a prima vista, al nostro Robert, quel ragazzotto, non tanto alto, dai capelli color carota tagliati cortissimi alle tempie, e a spazzolino sulla testa, gli occhi verdi smeraldo, parve di averlo visto già da qualche parte, ma non riuscì - come gli capitava sempre più spesso negli ultimi tempi - ad associare il suo viso con il luogo dove lo aveva incontrato.
E per uno come lui, che appena qualche mese prima, durante una importante riunione di banchieri, si era fatto vanto di essere un gran fisionomista, gli parve assai strano questo suo … perdere colpi.
Pensò che la causa fosse dovuta ad un momentaneo e transitorio periodo di affaticamento, e che presto, prestissimo, sarebbe ritornato ad essere quello che era, e senza prendere medicine (come faceva la moglie per superare i suoi momenti di crisi).
Era certo, anzi certissimo, che avrebbe superato questo stato di difficoltà, e sarebbe ritornato ad essere un grande fisionomista, dote che, assieme a tante altre, la natura assai benigna gli aveva fatto dono.
Orbene, ritornando a quella domenica mattina di quel mese di luglio, Robert si era presentato sul green un’ora prima della partita perché voleva scaldare i muscoli in modo da farsi trovare pronto e caldo dai suoi compagni di gioco.
Iniziò quindi a dare i primi colpi, stupendosi di sentirsi in una forma splendida, confortato dai risultati, e dalle buche che azzeccava come mai gli era capitato.
“Ma come sono bravo, oggi” diceva dentro di sé ”Sarà forse l’influsso di questo ragazzo che mi da sempre i bastoni giusti e mi suggerisce le traettorie? Devo tenerlo presente per il futuro”
E in effetti il ragazzotto non si limitava a portare la sacca con i bastoni al nostro Robert, ma elargiva consigli a piene mani dando la sensazione, ogni volta, a chi lo ascoltava, di essere uno che ne sapeva di golf.
Così, prima che scoccasse il par (il colpo previsto) il nostro ragazzotto suggeriva come mettersi con il corpo, di studiare la potenza del tiro prima di effettuarlo, nonché di calcolare la velocità del vento.
Tutte cose che quel vecchio scozzese non si era mai sognato di dirgli.
Eppure lo pagava bene quel vecchio ubriacone!
Insieme dunque giunsero alla buca cinque, come due vecchi amici.
La buca cinque ( la più difficile) era posta in fondo al green ed era a tutti nota per le difficoltà ad avvicinarsi. Per centrare la buca, un giocatore di buon livello, impiegava tre tiri, uno come Robert - se in giornata - neanche con sette, otto colpi.
Al terzo colpo un soffio di vento improvviso aveva condotto la pallina sul lato destro del percorso dove un fascio di erba più alta nascondeva una striscia di sabbia, e più in giù - una decina di metri - il laghetto artificiale.
Dopo che il caddy suggerì a Robert quale bastone usare, e come fare ad uscire da quella situazione, il nostro si diresse a passi lenti per colpire la pallina.
Il sole non era ancora alto.
La luce trasversale faceva brillare l’acqua verde del laghetto come tanti piccoli lumini in un vetro smerigliato.
Un paio di anatre nuotavano tranquille, mentre uno scoiattolo sbirciava curioso quell’uomo alto e allampanato, con indosso un paio di pantaloni di lino bianco e una camicia di seta rossa.
In testa aveva un berrettino sempre bianco con lo stemma ben visibile del Club.
Quando giunse in prossimità della pallina Robert si mise in posizione di tiro.
Calcolò la distanza che lo divideva dalla buca (un centinaio di metri circa), misurò il vento lasciando cadere una manciata di sabbia fine, e tastò l’umidità del terreno (cosa che in quel momento non aveva la benché minima importanza ma che, comunque, dava al giocatore un tocco professionale!).
Si molleggiò sulle gambe un paio di volte - come aveva visto fare dai più bravi - e provò il colpo passando con la testa del bastone vicino alla palla senza colpirla.
Fissò l’orizzonte cercando la giusta concentrazione.
Poi, quando decise di partire con il suo swing, ecco che improvvisamente gli si accese la lampadina dei ricordi in testa, e finalmente riuscì a collocare il viso del suo caddy al posto giusto, cioè esattamente dove lo aveva già visto.
Fu al matrimonio con Santuzza, nel giardino di casa di lei, e lui ( il suo caddy) era uno dei camerieri che girava per i tavoli in gessato, con quello strano rigonfiamento sotto l’ascella sinistra.
Ma prima che Robert dicesse: “Ecco, dove ti ho visto!……” qualcosa lo colpì forte all’improvviso, da dietro alle sue spalle.
Vide, come si dice in questi casi, le stelle, e dopo essere riuscito a contarne dieci, le dieci stelline si spensero una dopo l’altra, lentamente.
Poi tutt’intorno fu buio, e per Robert fu notte fonda!
Il suo corpo fu ripescato nel laghetto a testa in giù.
Quando lo sollevarono dall’acqua, si accorsero che nella bocca del poveretto c’era infilata una pallina da golf.




Fine della undicesima puntata (continua)

 

 

 

 

 

 

Piazza Scala - agosto 2011