Business and soups - affari e minestre
Capitolo decimo - L'acquisto

 

Il lavoro dunque doveva essere concluso, e al più presto.
Si doveva ancora giocare il secondo tempo della partita, e il gioco era rischioso.
Ad Alfredo fu dato l’ordine di andare avanti secondo le intese.
E vista la delicatezza del lavoro, solo ad Alfredo, solo al suo picciotto, Don Vito volle affidare la vita sua e della famiglia.
Così costui con due uomini di fiducia - i fratelli Carmine e Antonio, figli di Don Carmine Barone fedele amico del suocero da vecchissima data - finsero di essere interessati all’acquisto di una grossa partita di polverina bianca da sniffare.
Furono i due fratelli ad uscire allo scoperto, frequentando i locali dove, era stato detto loro, avrebbero potuto incontrare le persone giuste.
Si rendeva necessario, prima seminare, per poi raccogliere.
I tempi della semina furono lunghi, ma per farlo bene, bisognava procedere con cura e pazienza, onde evitare di fare drizzare le orecchie a chi era sensibile ad ogni cacatina di mosca e mettere in guardia chi conduceva le fila.
Seminare voleva dire spargere una soffiata, con discrezione, quasi sottovoce, con fare confidenziale, per non dare troppo nell’occhio.
Con discrezione ed eleganza, appunto, si inviarono le persone adatte nei luoghi dove c‘era la gente che avrebbe riferito a chi di dovere la notizia: “C‘è qualcuno che è interessato ad acquistare una grossa partita di “sniffa“……”.
C’è il detto “Chi semina bene raccoglie bene!“ che era l‘esatto contrario di quello “Chi semina vento raccoglie tempesta“.
E il nostro picciotto avendo fatto una semina giusta, non impiegò - contrariamente alle più rosee aspettative - molto tempo a raccogliere i frutti.
La notizia che ci fossero due tipi nuovi in città pronti ad acquistare una grossa partita di roba giunse alle orecchie giuste.
E le orecchie giuste parlarono con chi doveva sapere, e chi era adibito ai contatti fece in modo che quei contatti fossero avviati a tempo e luogo fissati.
Furono sempre Carmine e Antonio Barone ad uscire allo scoperto per primi, e a parlare con gli intermediari.
E una volta concordato il prezzo, fissato il giorno e il luogo dello scambio, la parte più difficile era stata superata.
Solo allora il nostro Alfredo si sarebbe mosso.
Prenotò per l’occasione una suite di un albergo di lusso, la n.444 dell‘Hilton Hotel.
All’appuntamento si fece trovare avvolto in una vestaglia da camera di seta cinese con draghi colorati che copriva un pigiama a righe . Al collo un ascot sempre di seta rosso, e ai piedi mise costosi mocassini.
Doveva far credere ai suoi visitatori di essere un facoltoso ed eccentrico americano, molto ricco, dedito allo spaccio di narcotici con cui si manteneva negli agi e nei vizi più sfrenati.
E perché non ci fossero perplessità o dubbi su chi fosse, per almeno una settimana prima dell’incontro, condusse nella suite di lusso n. 444 dell’Hilton Hotel una vita dissoluta, a base di festini, con fiumi di champagne, e donnine molto compiacenti di alto bordo.
Così chi era stato mandato da chi teneva le fila del traffico dei narcotici, vide quello che doveva vedere, e riferì che l’uomo era quello che era stato descritto come un riccone che faceva spaccio di droghe solo tra amici in ambienti altolocati .
La notte stabilita per lo scambio, si presentarono come parte venditrice, in abiti molto eleganti tanto da essere scambiati dal portiere dell’Hotel come facoltosi finanzieri, Joseph e Jim Tattaglia - uomini della gang dei Battaglia.
Erano loro quelli che avevano avuto il compito di portare la merce (ben avvolta in panetti di un chilo custoditi in due valigette eleganti).
Il prezzo era stato già convenuto - un milione di dollari in contanti - così, dopo che il nostro Alfredo ebbe verificato la bontà e purezza della polvere, provvide al pagamento ai due Tattaglia lasciando che fossero loro ad aprire la valigetta che per tutto il tempo era rimasta adagiata sul letto circolare.
I due la aprirono e contarono velocemente i bigliettoni, di medio taglio.
Finito il conteggio e avuto dai due Tattaglia un cenno d’intesa che stava a significare:
“Ok, tutto bene!” Alfredo propose che per festeggiare il buon esito dell’affare, come si conviene tra gentiluomini, sarebbe stato bello brindare a champagne e godersela un po’ con belle donne.
Così, visto che ai due l’idea non dispiaceva affatto, il nostro picciotto compose un numero telefonico (che era quello della stanza accanto dove c’erano i suoi complici e non quello del servizio bar come volle far credere) e disse con fare sicuro:
“Ci mandi tre bottiglie alla camera 444.….e il resto che sa. Grazie”
Cinque minuti dopo fecero l’ingresso nella camera 444 dell’Hilton Hotel tre magnifiche puledre elegantemente bardate, disposte a farsi domare, con tre bottiglie di champagne che tenevano in mano dietro la schiena.
Iniziò così la festicciola.
Già alla seconda bottiglia Joseph e Jim Tattaglia, certamente non abituati alle bollicine trattate con un robusta dose di narcotico, avevano perduto in lucidità.
Tolte giacca e cravatta, si stavano levando i pantaloni, nella manovra aiutati amorevolmente dalle tre signorine da un pezzo in mutandine e reggiseno.
Alla terza bottiglia, quando il sonnifero mischiato allo champagne, che il nostro buon Alfredo aveva in precedenza provveduto a fare versare con aghi sottilissimi attraverso i tappi, fece l’effetto desiderato, fu davvero un gioco da ragazzi impossessarsi della “sniffa”, e riprendersi i soldi.
Che fine abbiamo poi fatto i due Tattaglia quando il giorno dopo si svegliarono nudi e senza il loro preziosissimo carico di droga, non si può sapere, ma solo immaginare, conoscendo la assoluta mancanza di spirito e sportività dei Battaglia.
La donna delle pulizie asserì, senza alcun tentennamento, che appena entrata nella suite n. 444 dell’Hilton Hotel trovò due uomini abbracciati sul letto nudi come mamma li ha fatti, legati come salami, e con una rosa rossa infilata là dove non batte il sole.
Delle tre puledre, invece, si persero le tracce. Ma nel giro delle puttane di alto bordo si racconta che furono viste a Miami a godersela con un sacco di bigliettoni.
Alfredo con i fratelli Barone si dileguarono dall’ Hotel quando ancora albeggiava.
Solo quando rientrò in famiglia, consegnò dollari e droga a Don Vito.
Solo allora considerò esaurita la sua parte.
“Bravo ragazzo mio” gli disse il boss baciandolo sulle guance e abbracciandolo calorosamente.
“Avete fatto un buon lavoro”
“Dovere Don Vito…..dovere” rispose Alfredo tutto orgoglioso.
“So anche che te la sei spassata…. lontano da casa” poi vedendo che il suo picciotto si stava scurendo in volto, preoccupato, aggiunse con un sorriso “Ma faceva parte del gioco, e tu hai giocato…….Naturalmente Carola non sa…….quello che hai fatto, sennò il coso che hai in mezzo alle gambe tagliare te lo fa…..”
Il giorno successivo, chi era preposto a contattare i Battaglia, telefonò per comunicare che chi aveva la droga desiderava avere un appuntamento per, diciamo, sistemare gli affari in amicizia, come è giusto che sia tra gentiluomini.
Dopo una sequela di parolacce e minacce, i Battaglia risposero che l’incontro si poteva fare.
E quando fu fissato il luogo e il giorno, all’appuntamento fu mandato Al Ventura, accompagnato, anche questa volta, dai fratelli Barone.
“Se ci viene reso l’atto che avete fatto firmare con l’inganno a Santuzza Gambini, vi faremo riavere il carico di narcotici che i vostri uomini si sono persi” disse senza preamboli Al, guardando fissi negli occhi quelli della famiglia Battaglia che schiumavano di rabbia, e che avrebbero volentieri fatto a pezzi quella montagna di muscoli che avevano di fronte.
“ Se siete d’accordo, ne firmiamo un altro…..di preliminare….un nuovo documento dove diciamo che il terreno vi viene ceduto al giusto prezzo, cioè un milione di dollari, così come è, ora, senza attendere permessi e concessioni di edificabilità.
“Il mio capo sa,…… e lo sapete pure voi, che quel pezzo di terra vi serve per avere il cento per cento di tutta l’area…….. E quando avrete ottenuto i permessi dai vostri compari del Comune varrà almeno quattro volte tanto.
“Voi firmate e io firmo per conto di Santuzza Gambini che mi ha dato procura.
“Io firmo, in vostra presenza e all’istante questo nuovo documento che firmate anche voi.,…. ma voi prima mi consegnate, qua sull’unghia, i novecentomila dollari che mancano per fare un milione.
“Io li conto, anche se fra gentiluomini non si dovrebbe dubitare dell’onestà di chi ci sta di fronte, e se sono esatti, e non ho ragione di dubitare, visto che siamo tra persone d’onore, vi dico dove potete mandare i vostri uomini a prendere la merce.
“A noi Gambini quella polverina non ci interessa.
“A noi ci fa schifo, ……e ci fa schifo chi la tratta.
“Per quella non vogliamo nulla. Ve la riprendete e andiamo in pace.
“Il business finisce qua!
“Siamo intesi?“
Al Ventura parlò come avrebbe parlato un capo mafioso con le palle e contropalle, senza tradire l‘emozione del momento.
I Battaglia, a quel punto, non avrebbero potuto rifiutare la proposta visto e considerato che la partita di narcotici aveva per loro un valore altissimo.
Una volta riavuta, quel pacco di roba, era stata già piazzata - e pagata per il cinquanta per cento - a certi boss cinesi che se non avessero visto la merce promessa, avrebbero scatenato loro addosso una guerra assai violenta.
Così la carta firmata da Santuzza fu strappata in presenza di Al, e fu sostituita da un nuovo contratto che conteneva tutte la clausole volute dalla famiglia di Don Vito.



Fine della decima puntata (continua)

 

 

 

 

 

 

Piazza Scala - maggio 2011