Rossella Coarelli
Biblioteca nazionale Braidense - Milano


Nel 1931 con il «Marc'Aurelio» inizia quella che l'illustratore Gec (Enrico Gianeri) chiama "una rivoluzione satirica", ossia una satira nuova, di buon livello, fatta di allusioni, tutta da leggere tra le righe, la quale caratterizza gli anni Trenta, quando la fascistizzazione della stampa viene a coincidere con un'opera di fiancheggiamento alle imprese belliche del regime. Si scopre un'ironia frontale, immediata, sia per il tratto schiettamente caricaturato, sia per le didascalie facilmente interpretabili, creando una "vis comica" bella ma elementare al tempo stesso, che fa presa sugli italiani dell'Impero di Mussolini.
Lo stile di vita borghese è il bersaglio principale. Occorre ridicolizzare le "maniere" delle signore di città, sia per arginare il malumore dei ceti popolari urbani sottoposti a disagi sempre maggiori, sia per sostenere l'imponente opera di propaganda svolta dal regime a favore del ruralismo, diretta in particolar modo alle contadine.
Dalle Monografìe di famiglie agricole compilate dall'Istituto Nazionale di economia agraria durante gli anni Trenta emerge infatti che, pur nelle differenze geografiche, nelle campagne le donne svolgono un ruolo determinante all'interno della famiglia poiché è attraverso le loro mani che passa e viene gestito il bilancio dell'economia domestica.
La figura della casalinga presentata come esempio di vita urbano diventa sempre più estraneo alle donne rurali le quali, andando a vendere nei mercati di città i prodotti agricoli entrano in contatto con nuovi modelli di consumo e, viene ammesso nelle Monografie, guardano con desiderio e a volte comprano scarpe di vernice, calze di seta, tappeti per la casa. Le battaglie autarchiche accrescono l'importanza del ruolo femminile. In nome dell'autarchia si affermano le più varie esasperazioni: si parla di autarchia della lingua e, dopo le leggi razziali, si definisce il razzismo "autarchia della stirpe".
La discriminazione razziale nei confronti delle popolazioni nere vieta i matrimoni misti. Su «Donna italiana» si incitano le Italiane a trasferirsi nelle nuove terre perchè la razza non sia contaminata da unioni con «femmine nere dai magnifici corpi e dalle facce bestiali».
Una satira graffiante bersaglia le "differenze", tanto più se sono differenze fisiche, visibili, su cui le matite dei caricaturisti possono meglio forzare il tratto; e «Il Selvaggio» nel 1935 ammonisce in rime titolate: Bianco e nero

Fra innamorati il conto delle corna
se non son quattro è un conto che non torna
tu me l'hai fatte bianche, o trista Erminia,
io te le vo' far nere in Abissinia.


Lo stesso giornale, peraltro, con l'articolo Faccette bianche segnala nel 1936 il «dilagare di nudi neri» da parte di illustratori e caricaturisti e domanda di «ristabilire l'equilibrio, [...], in omaggio [anche] a imprescindibili principi di razza e di prestigio».
I giornali umoristici ricevono direttive dal Ministero della Stampa e Propaganda. Far «apparire come inferiori fisicamente e moralmente le razze di colore» è una delle richieste fatte dal Ministro Dino Alfieri nel gennaio 1937 ai direttori dei periodici per ribadire la necessità che la satira accresca il suo sostegno alla politica del regime, e sia attenta ad evitare un'ironia troppo disinvolta nei confronti di questo, come avviene sulle pagine di «Bertoldo». Questo ironizza, tra l'altro, sull'italianizzazione di vocaboli stranieri (Filmo e nuovi vocaboli: lei: «Io ti lovio, o mio darlingo, ma non posso rimanere fuori dalla mia homa fino a tardi» lui: «Al rigto, mia littla: ci rivedremo domani sera alla primiera del filmo "il mistero del vatercloso"»).
Nella riunione con i direttori delle principali testate: «Bertoldo», «Settebello», «420», «Marc'Aurelio», «Guerin Meschino», «Il Travaso delle idee», Alfieri affida alla satira compiti ben precisi: evitare di raggiungere effetti comici ricorrendo a personaggi della storia come Colombo, Cavour, Dante ecc; colpire il bolscevismo, il liberalismo, il societarismo, il parlamentarismo; come già detto, evitare l'ironia su certe categorie di professionisti, nello
stesso tempo «prendersela con alcuni ambienti mondani che vivono in contrasto con l'etica fascista». Quest'ultimo punto è una nota che pervade tutto l'umorismo del ventennio, e si accentua dagli anni Trenta in poi quando agli italiani vengono richiesti sacrifici che sono del tutto incompatibili con il lusso dei salotti borghesi. La figura femminile è il soggetto centrale su cui fa perno la satira poiché è alle donne che si richiedono maggiore parsimonia e sacrifici: l'aristocratico monocolo10, gli abiti da sera, gioielli e pellicce divengono simboli di uno stile di vita e di una classe sociale che vanno derisi e bersagliati (Usanze mondane, disegnatore W. Molino, «Bertoldo», n. 98, 1938).
Si intensifica la campagna demografica: il duce vuole donne feconde, famiglie numerose per dare all'Italia un potente esercito.
Da allora, fino al conflitto mondiale, prosegue una stucchevole retorica sulla figura materna prolifica, connotata da abnegazione, coraggio, sacrificio. Di contro, con getto incessante sulle riviste umoristiche di intrattenimento fioriscono vignette cariche di allusioni sessuali, alcune delle quali inevitabilmente scadono nella volgarità. D'altro canto non va dimenticato che la campagna de-mografica deve far presa sui ceti più bassi, sul popolo che, pur mangiando meno, deve moltiplicarsi.
Dopo la nascita nel 1936 del «Bertoldo», a Milano nel 1939 viene trasferita una testata già sorta a Roma nel 1933: «Ecco Settebello», (già «Settebello») edita da Mondadori. Tra i giornali umoristici rivolti alla piccola e media borghesia dei centri urbani questa è certamente tra le riviste a maggior diffusione, data la notevole ricchezza di barzellette, moltissime delle quali a grandi dimensioni, firmate da noti disegnatori: su tutti predomina Boccasile. La testata, formato quotidiano, è interamente a colori, in prevalenza arancio. Con la matita di Manzi e Albertarelli essa presenta una realtà deformata che richiama alla mente i giornalini per ragazzi: attraverso le sue pagine la guerra nel 1940 sembra quasi un gioco.
Agli umoristi è affidato il compito di ironizzare e sorridere sui disagi ancor più gravi a cui è sottoposta la popolazione. Il razionamento dei viveri, il tesseramento del burro e dell'olio, la sofisticazione dell'aceto sono i temi insistenti che affollano i fogli satirici. Fasciate da abiti attillati, le donne usano il loro corpo per trarre vantaggi materiali. Superficiali e sciocche le donne del nemico, ma tutte, anche le italiane, furbe e ingannatrici, mettono in atto la loro astuzia facendo la cresta sulla spesa autarchica o tradiscono il marito al fronte. Fame e sessualità si rincorrono da una vignetta all'altra, dipingendo le donne a caccia di zucchero e caffè, o intente a nascondere i loro amanti sotto il letto nuziale. I bombardamenti restano sullo sfondo degli amoreggiamenti nati in cantina: ambiente che i disegnatori amano ritrarre fin dalla prima guerra mondiale come luogo di ritrovo per signore e fidanzati («Guerin Meschino», 27.2.1916, senza titolo, disegnatore Mazza, didascalia: - S'anco l'aeroplan non s'avvicina il five o' clock lo si farà in cantina).
È dunque un umorismo che delinea una figura femminile ignara ed estranea agli eventi bellici, assorta unicamente nella materialità della sopravvivenza. Mentre si conferma l'uso strumentale della figura femminile per rappresentare allegoricamente il clero, la borghesia, le Potenze mondiali, la pace, la guerra (in altre parole: il bene e il male), secondo la tradizione dei fogli satirici del secolo precedente, allo stesso tempo si rimuove l'immagine della donna disperata di fronte alla sciagura della guerra. Le vignette contro il conflitto bellico sul tono di quelle pubblicate nel primo dopoguerra sull' «Avanti» firmate Scalarmi14 o quelle uscite su «L'Asino» (n. 14, 1922 - Maledizione alla guerra!) sono bandite in quanto segnale di disfatta. Viene concessa un'ironia mordace sulla povertà delle mense (- V'informiamo, un po' in sordina per la troppa commozione, ch'oggi avremo a colazione una mezza patatina), o sulle pretese ottimistiche dei bollettini di guerra (- Ed al pubblico fedele, ricoprendolo di rose, ripetiamo che le cose vanno sempre a gonfie vele).
Quanto alla donna, appare una figura turbata, o meglio distratta mentre è alle prese con specchi e guardaroba, colta in un atteggiamento che è tra la sorpresa e l'indifferenza.