Fulvio De Giorgi - Docente di Storia dell'Educazione - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
L'approccio di una "storia di genere" per una storia culturale della nazione e dei nazionalismi europei è già stato, da tempo, segnalato e battuto da alcuni storici delle società contemporanee metodologicamente più avvertiti.
In questo contesto problematico, un plesso specifico è costituito dalle personificazioni delle patrie europee: non solo, cioè, lo stereotipo culturale della madrepatria, ma i precisi profili iconografici che, tra Sette e Ottocento, si andavano progressivamente codificando, fino a stilizzare il sesso e l'immagine delle principali nazioni (o forse, meglio, degli Stati-nazione) in Europa.
Dalla produzione artistica e da registri culturali alti, tali tipi
iconografici, nel corso dell'Ottocento, trasmigravano nella stampa
giornalistica, a taglio caricaturale e di satira politica,
contribuendo al costituirsi di un'opinione pubblica popolare con le
sue caratteristiche, in una mediazione
spesso ideologicamente orientata - tra
livelli culturali differenti, cioè tra cultura alta e cultura bassa.
In concomitanza con i sommovimenti democratici del 1848 in Europa,
anche in Italia si aveva uno
sviluppo dei giornali politici e, tra questi, della stampa
umoristico-saiirica. Compariva così un'immagine femminile
dell'Italia, spesso in abiti femminili classici (simili a quelli
dell'iconografia mariana), con in testa la corona turrita e in
atteggiamenti energici: con la frusta in mano e colpendo gli
austriaci, come in una stampa popolare del 1848
L'Italia Si
destò e infranse il giogo.
Emblematica era poi la "doppiezza"
iconografica che veniva a svilupparsi e che era evidente, per
esempio, nelle vignette di Castagnola pubblicate su «La Strega» nel
1850: in una
(Il miracolo dell'apparizione dell'Italia al Patriota)
compariva la
consueta immagine dell'Italia, con vesti classiche e corona turrita
e, sopra la corona, una piccola stella sospesa nell'aria (ulteriore
segno di un'ascendenza mariana); in un'altra
(Riuscirà la
Repubblica Italiana ad infilare questo stivale?)
l'immagine -
non della Nazione, ma della Repubblica - era evidentemente
tributaria al modello francese di Marianna, con abito di foggia
popolare e berretto frigio. In ogni caso questa allegoria femminile
compensava un universo, pressoché univocamente maschile, di
personaggi politici: quasi un risarcimento simbolico; o forse
un'eco di pulsioni inconsce.
Dopo l'Unità, nella satira politica, si produceva un'altra
"doppiezza" iconografica: l'Italia assumeva anche, talvolta, gli
abiti e le acconciature della moda borghese del tempo. Così, nel
1865, sul «Lampione» si aveva tanto una vignetta di Siila
(Il
discorso della Corona),
in cui Vittorio Emanuele II
sorreggeva, con il braccio sinistro, un'Italia turrita, ma in abiti
moderni, accasciata e abbandonata, e chiedeva l'aiuto soccorrevole
delle classi dirigenti per curarla, quanto anche una vignetta di
Mata con un'Italia turrita in abiti classici che parlava con
Garibaldi. Tra i democratici, probabilmente, era più apprezzata
l'ascendenza classica che rimandava alla Repubblica Romana. È da
notare, tra l'altro, che nella coeva vignettistica tedesca, l'Italia
era vestita in abiti tradizionali popolari, con velo e orecchini e
senza corona turrita.
L'Italia turrita, ma in ricercati e talvolta civettuoli abiti
femminili borghesi, apparve anche su «La rana», nei primi anni '80:
tra l'altro in alcune vignette vi erano pure personificazioni degli
altri Stati nazionali europei. In un caso
(Sempre
sulle sponde del Nilo:
18 agosto 1882, n. 33) insieme
all'Italia turrita vi erano quattro giovani donne: la Francia con il
berretto frigio, la Germania con la corazza e con l'elmo chiodato,
l'Austria vestita con foggia militare e mostrine, l'Inghilterra con
gonna più corta e cappellino. In un altro caso (L'uovo di Pasqua,
ovvero: facciamo la frittata - 7 aprile 1882, n. 14) Italia, Francia
e Russia erano donne, mentre Impero austriaco, Reich tedesco e
Impero britannico erano uomini. Si può cioè notare, in questi ultimi
casi, che sull'iconografia (femminile) della Nazione, prevaleva
quella (maschile) più politico-istituzionale dell'Impero.
Nella satira politica successiva alla Grande Guerra18 e fino
all'avvento della dittatura fascista nel 1925, l'immagine femminile
dell'Italia turrita era ben presente. In questo non si avevano
differenze tra i giornali di indirizzo antifascista e i giornali
fascisti: su «Barbapedana» del 24 maggio 1924 (a. V. n. 21), per
esempio, nella vignetta La Camera riparata, compariva un'Italia
turrita, con sciarpa tricolore, seduta in una macchina sportiva in
panne per una foratura; vicino ad essa, un Mussolini in abiti di
autista che gonfiava una camera d'aria a cui era stata applicata una
"nuova pezza". Più che l'Italia, una personificazione della
Giustizia compariva qualche numero dopo, sullo stesso giornale,
nella vignetta Invocazione, con evidente riferimento al delitto
Matteotti. Ma anche su «Il lunedì del Popolo d'Italia», Mario Sironi
raffigurava una statuaria Italia, con corona turrita e stella, che
offriva il braccio ad un fascista in camicia nera e fez, nella
vignetta fascismo: cavaliere della Patria, del 31 luglio 1922.
L'allegoria femminile nazionale non ricorreva invece molto spesso
nella stampa socialista (forse per una certa idiosincrasia rispetto
agli stereotipi nazionalisti). Il 24 dicembre 1920, Giuseppe
Scalarmi pubblicava sull'«Avanti!» una vignetta antifascista: vi
compariva una personificazione, ma non dell'Italia bensì della
Guerra, simile all'iconografia classica della Morte e avvolta nella
bandiera italiana. Nel 1948 lo stesso Scalarini così avrebbe
descritto il suo disegno:
Ecco la guerra, avvolta nel drappo tricolore della bandiera, con la
medaglia, i grimaldelli, la corona del rosario e gli sproni, che
stringe tra le braccia il figlioletto fascista, con la camicia nera,
la rivoltella e il bastone.
Ma con l'avvento del totalitarismo fascista l'Italia turrita
pressoché scomparve dalle vignette della stampa umoristica.
Emblematicamente Aldo Mazza, in il «Perseo» del 1 novembre 1931,
nell'ambito di una polemica (contro la corrente figurativa di
Novecento, pubblicava una vignetta «dove l'Italia, una grossolana
figura turrita coperta da una povera tunica, è rappresentata secondo
i tipici modi sironiani mentre poggia l'enorme piede sulla tavolozza
nell'atto di scrivere l'undicesimo anno dell'era fascista: era il
momento di smettere, secondo Mazza, d'imbrattare muri e giornali con
i suoi segni primitivi». Era cioè il momento di congedarsi dallo
stile di Sironi, ma anche dalle raffigurazioni comico-umoristiche
dell'Italia.
Del resto, da una parte il fascismo sviluppava un immaginario
virilista e maschilista e, dall'altra, con la soppressione della
libertà di stampa faceva cessare la satira politica. La stampa
umoristica - con testate di un certo successo come «Bertoldo» o
«Settebello» - si depoliticizzava, diventava satira di costume,
piena di donnine, secondo stilemi funzionali ad un immaginario
volitivo e conquistatore, più o meno lascivo, inconsciamente
stupratore. Così si devitalizzava la creatività satirica dei
disegnatori:
Il
fascismo aveva disabituato gli sterilizzati caricaturisti del suo
tempo a quel genere elevatissimo di polemica che ebbe nell'Italia
risorgimentale e postrisorgimentale una nobile tradizione. Nello
squallido ventennio, i disegnatori si erano gingillati con motivetti
prefabbricati: donne crisi, coppie sterili, vitaioli, grassi
borghesi. Gli unici monotoni argomenti politici concessi erano gli
eterni fuorusciti, i massoni e i nemici di turno, secondo la
digestione di Palazzo Venezia.
In effetti, la satira politica poteva in qualche modo vivacchiare
nella politica estera e così si aveva la permanenza di una
personificazione femminile per la Francia, con l'immancabile
berretto frigio. Il 15 dicembre 1933 essa appariva su «Il Selvaggio»
magra, seminuda, truccata e con capelli corti, con un movimento
incerto, tra il flessuoso e il traballante: in ogni caso alludente a
una prostituta sfasciata. «Il Settebello» invece la presentava
grassa, in qualche caso brutta e arrabbiata (come nella vignetta in
cui metteva le mani su Suez, Gibuti e Tunisi), qualche altra volta
invece belloccia, con sigaretta e lungo bocchino, pantofole piumate
e gote rosse, mentre riceveva dal postino un pacco con le
"rivendicazioni italiane", stando sull'uscio di una casa che (a
giudicare dalla sigla in alto) sembrerebbe rappresentare la
Repubblica Francese, ma che faceva pensare a un bordello.
Ma proprio dallo stereotipo caricaturale femminile della Francia si
realizzava un significativo slittamento semantico: la donna
rappresentava non solo una nazione ma anche la Democrazia, anzi -
come nella vignetta di «Il Settebello» Malavita28 - M.lle Democratie,
una sorta di prostituta marsigliese in sottana, con la sigaretta in
bocca e i capelli corti, grassa e brutta, abbandonata dal malavitoso
Stalin che diceva: «Costi troppo e non sai far niente: ti pianto».
Insomma la stampa fascista ammetteva, sia pure con tono
denigratorio, che se il Fascismo era maschio, la Democrazia era
femmina. E come la Democrazia, anche la Pace, una sorta di angelo
donna con le ali: che nella vignetta Sedotta e abbandonata
(«Bertoldo», 25 settembre 1936), nel clima della guerra etiopica e
delle sanzioni, usciva dalla sede della Società delle Nazioni,
discinta e sfatta dal vizio (dicendo: «E pensare che prima di
entrare qui ero una ragazza ingenua che credeva agli uomini!»),
mentre sulla stessa testata, il 4 ottobre 1938 (nella vignetta
Passaporto per l'Europa), dopo il Patto di Monaco, appariva dritta,
giovane, luminosa e pura, dichiarando la nazionalità italiana.
Nel secondo dopoguerra si realizzava un importante e rivoluzionario
cambiamento: crollato l'universo mediatico-immaginifico fascista,
improntato, come si è visto, a un pesante maschilismo, l'atmosfera
civile della giovane Repubblica Italiana, in cui per la prima volta
votavano le donne, si colorava di rosa e si imponeva un immaginario
collettivo al femminile. La prova migliore era data da una testata
satirica come «Candido» di Guareschi, veramente emblematica e
probante sia per Il suo successo popolare sia per il suo ideale
ricollegarsi al «Bertoldo» sia, infine, per essere la più lontana
dai partiti antifascisti e dagli ideali repubblicani. In essa,
peraltro riemergevano quelle diverse "doppiezze" che si sono viste
presenti nel periodo risorgimentale.
La figura femminile, naturalmente con caratteristiche (anche
somatiche) differenti, dominava dunque il campo: sia come
personificazione dell'Italia-Nazione sia come personificazione dell'Italia-Repubblica
sia come personificazione della Democrazia Cristiana.
L'Italia-Nazione era, ovviamente, l'Italia con corona turrilta e
stella e in abiti classici. Bella e giovane: talvolta triste, se
guardava l'alluvione del Po (2 dicembre 1951), talvolta severa, se
si rivolgeva a un inglese (22 luglio 1951) o a uno scimmione
rappresentante il comunismo titino (6 aprile 1952), che in modi
diversi tentavano di strapparle Trieste, o se chiedeva agli elettori
di non disperdere i voti (1° febbraio 1953, ma anche con il sorriso
il 3 maggio 1953). Un omino-Guareschi (nel numero del 27 gennaio del
1952) le si rivolgeva, scappellandosi, con queste parole: «Signora!
Trentadue pagine di Candido sono ai vostri ordini!». Nel 1953 si
aveva poi una svolta in senso esplicitamente filomonarchico: il 10
maggio, nella vignetta "Stanca di moda russa inglese o americana,
vorrebbe ora vestirsi un poco all'italiana", una bella e giovane
Italia turrito-stellata, con manto lungo e braccia allargate
(secondo un'iconografia ancora una volta di ascendenza mariana),
esibiva sul corpetto lo scudo crociato dell'emblema di Casa Savoia;
in un'altra illustrazione, del 7 giugno 1953 - giorno delle elezioni
politiche, con la cosiddetta "legge truffa" -, un'Italia avvenente e
procace, che aveva lo stemma sabaudo sul busto e in mano l'urna
elettorale, diceva: «Non disperdete voti: dateli a me!». In entrambi
i casi - e in modo chiaramente esibito nella seconda vignetta - il
volto di questa Italia era quello di Gina Lollobrigida.
La Repubblica Italiana, per contrasto, era piccola e brutta, in
foggia sanculotta e col berretto frigio, ma con gli occhialini e con
un muso che ricordava alla lontana Gonella (16 marzo 1952). In un
altro caso (19 ottobre 1952) era raffigurata in una statua
femminile, sempre col berretto frigio ma con una corazza da amazzone
classica, in atto di corsa e con la torcia in mano. Due borghesi
guardavano il monumento. Uno diceva: «Che brava! Sa stare in piedi
con una gamba sola!», e l'altro: «Le ha insegnato Romita». Si
alludeva (come in altre vignette) ai risultati, ritenuti dubbi, del
referendum istituzionale e alle presunte "pastette" di Romita.
La Democrazia Cristiana, che spesso compariva accanto all'Italia-Nazione
(sostanzialmente per traviarla), aveva anch'essa la bruttezza di una
grassa zia di provincia, con doppio mento e occhialini, naturalmente
zitella, con abiti goffi e lunghi, fuori moda, con collettoni sul
petto, che talvolta potevano assumere la forma dello scudo crociato.
In qualche caso sembrava a metà tra una nerboruta popolana e la
bassa e grassa direttrice, signora Geltrude, del Giornalino di Gian
Burrasca di Vamba.
Tra queste personificazioni al femminile emergevano evidenti
tensioni. Così avveniva tra la DC massaia-virago e gli "ideali
nazionali". Emblematiche in questo senso due vignette del 24 maggio
(si noti la data) 1953: in una la DC si mostrava infastidita, mentre
affiggeva manifesti elettorali, da un bambino piangente
rappresentante Trieste; nell'altra, in cui anche graficamente
emergeva il
contrasto, la DC, con un ferro da stiro a forma di scudo crociato,
stirava e appiattiva una povera e malinconica Italia turrita. Ma, al
di là dei partiti, un contrasto emergeva pure tra l'Italia e la
Repubblica: così, in una vignetta del 22 giugno 1952, Furore
politico, la snella e elegante Italia turrita, in abito a maniche
lunghe e scarpe con tacchi, offriva a una grassa e spettinata
Repubblica Italiana, con cappello frigio, veste a maniche corte,
calzettoni a strisce e ciabatte, una pizza con i colori del
tricolore e lo stemma sabaudo al centro della banda bianca. Con
sguardo torvo e pugni chiusi, la donnona rispondeva: «No! Piuttosto
che la pizza alla napoletana preferisco l'insalata russa!».
Questa raffigurazione della Repubblica Italiana più che all'Italia-Nazione
era, dunque, somigliante alla Repubblica Jugoslava di una vignetta
del 31 agosto 1952: lo stesso volto, qualche differenza nel vestito
(cappello militare al posto del cappello frigio, piedi nudi,
cinturone con pistola ai fianchi). Tra l'altro questa illustrazione
(Soluzione di compromesso) era significativa della diversificazione
nella personificazione di genere. L'Italia turrita, con in braccio
una bambina rappresentante Trieste, reclamandone la maternità, e la
Repubblica Jugoslava erano ai piedi del banco di un giudice: non si
trattava di un unico Salomone, ma di due uomini in cilindro
(rispettivamente con la bandiera britannica e con quella
statunitense), che rispondevano all'Italia: «Comprendiamo, ma non
sia troppo intransigente: gliene dia un pezzo!».
Insomma nell'Italia del secondo dopoguerra a dominare il campo
civile era l'immagine femminile, nel bene e nel male (anche per la
raffigurazione stregonesca della demagogia partitocratica che
preparava un veleno all'Italia Biancaneve turrita'3). Nonostante i
maggiori leader politici fossero uomini, non si produceva, dunque,
un immaginario a egemonia maschile: De Gasperi, Gonella, Scelba,
Dossetti, tutti buoni cattolici, non evocavano un virilismo
sfrontato e cripto-adulterino, come negli anni littori. Nella
vignetta del 5 agosto 1951, Dopo la crisi (cioè dopo la crisi di
governo), che raffigurava il bivio tra democrazia e partitocrazia,
mentre l'Italia turrita - avviata sulla strada della democrazia - si
sgolava in un richiamo da lontano, preoccupata, la solita grassa DC
spingeva sulla strada della partitocrazia un timido e quasi
renitente De Gasperi: demistificazione preventiva di ogni virilismo,
vittoria simbolica - certo di carta, ma non per questo storicamente
non significativa - del ruolo femminile.