Seconda puntata

Procediamo, però, con ordine per meglio mettere a fuoco l’argomento, prendendo anzitutto in considerazione
la situazione geografica e climatica odierna di quest’ultima area:

Oggi (e, molto probabilmente, da almeno un millennio) l’altopiano andino centrale è una vasta estensione di territorio, ubicato a poco meno di 4.000 metri di quota, arido per l’assenza di piogge per tre quarti dell’anno nonostante la vicinanza alla catena andina, quasi disabitato per le difficili condizioni di vita, spazzato frequentemente da venti gelidi, con temperature che variano mediamente dai 20 gradi di giorno ai meno 10 notturni.
Il terreno produce sola erba, radi bassi arbusti e le stentate coltivazioni si riducono a poco orzo e mais, nonché ad una qualità di patata di piccole dimensioni e dal gusto amarognolo; quanto all’allevamento del bestiame, per l’alimentazione o per il trasporto, sopravvivono solo i lama e la vigogna, i quali forniscono anche pellame, lana ed ossa per fare oggetti d’uso comune, ma sono del tutto inadatti al traino di pesi rilevanti.
In quest’odierna condizione ambientale resta difficile immaginare come abbia potuto svilupparsi, sopravvivere ed erigere monumenti grandiosi, un’alta forma di civiltà quale quella che possiamo osservare nella vasta città chiamata “Tiahuanaco” (o “Tiawanaku”nella dizione americanizzata), della quale si è sino ad oggi dissepolto ed investigato poco più di un 2% del totale.
Partiamo, allora, dalla considerazione che quest’area è stata interessata a più riprese da rilevanti fenomeni sismici, sia per la presenza di una serie di vulcani attivi lungo la catena andina, sia per la prossimità della faglia che corre lungo la linea costiera dall’estremità della Terra del Fuoco sino alla Mesoamerica e poi oltre sino all’Alaska, quale conseguenza dello scontro tra le varie placche tettoniche che interessa questa porzione del pianeta.
É proprio lo scontro tra la placca tettonica di Nazca (per di più spinta dalla ben più grande placca Pacifica) e quella Sudamericana che ha dato origine nella notte dei tempi alla catena andina e che, nel suo costante ma inesorabile scorrimento, ha determinato in epoche successive sensibili sconvolgimenti dell’area in parola.
Da quanto precede deriva un aspetto molto particolare dal punto di vista geologico: l’intero altopiano andino, sul quale si è sviluppata la grande civiltà che d’ora in poi chiameremo di Tiahuanaco, è inclinato verso sud (e non di poco, ove si consideri che l’antica linea di costa del lago, chiaramente visibile, è a nord più alta di ben novanta metri, mentre a sud si abbassa gradualmente sino a meno ottantatré metri sotto l’attuale livello del Titicaca, seppur ad una distanza di oltre 500 chilometri dal lago e dalla città ). Si può quindi presumere che l’altopiano sia stato interessato, in un recente passato, da un rilevante fenomeno sismico, che abbia innescato una serie di sostanziali modifiche del territorio, mutato la situazione climatica e causato la fine di questo stupefacente insediamento umano.
Solo in questo modo si può spiegare la distanza di poco più di 20 chilometri della zona portuale nel margine sud del Titicaca - oggi per buona parte sommersa e che illustreremo nel prosieguo del lavoro - dalla grande città. Bacino lacustre che subì all’epoca un parziale svuotamento per la repentina inclinazione dell’altopiano ed il cui deflusso delle acque, brusco e catastrofico, seppellì sotto metri di limo e pietrame la predetta città ad eccezione delle zone e dei monumenti più elevati.
Che questo disastroso evento sia realmente avvenuto è comprovato non solo da quanto sopra esposto, ma anche dalla costiera peruviana che si è innalzata di oltre 60 metri rispetto all’attuale livello del mare (evento accertato geologicamente per la presenza in superficie di lunghe stratificazioni di conchiglie marine, che prosperano solo ad una profondità variante tra i 30 ed i 50 metri) e che ha dato finalmente spiegazione al fatto che moltissime canalizzazioni per usi agricoli delle acque provenienti dalla Cordigliera, specie nella piana di Nazca, anziché avere una naturale pendenza verso il mare, sono inclinate in senso opposto (la qual cosa, oltre ad essere del tutto illogica, era anche inspiegata sino a qualche decennio fa).
Questi fenomeni naturali, come detto, sono all’origine dell’attuale situazione geoclimatica dell’altopiano, un’area dal terreno argilloso e pressoché sterile, spazzato da venti gelidi, in concreto senza acqua per l’assenza di piogge per nove mesi l’anno e le cui temperature rendono la vita di piante, animali ed uomini estremamente difficile e precaria.
Eppure, in questa desolazione, nacque e si sviluppò in modo per noi stupefacente una delle più interessanti civiltà del pianeta (solo considerando la monumentalistica e le opere idrauliche, poiché altri resti su cui costruirne una precisa dimensione non sono ancora venuti alla luce nei limitatissimi scavi sin qui avvenuti).
Consideriamo, inoltre, che un insediamento umano di queste dimensioni, che si stima fosse arrivato ad avere oltre 40.000 abitanti e che ha costruito grandiose opere monumentali e di natura civile, necessitava di fonti idriche (l’acqua del lago è piuttosto salina), di terreni fertili e di un clima certamente diverso dall’attuale; situazione che fu repentinamente modificata dagli anzidetti fenomeni che interessarono l’area in un recente passato.
Da notare inoltre che le cave, da cui trarre materiali da costruzione, distano dalla città quasi un centinaio di chilometri e sono ubicate lungo i monti della “Cordillera Real”.

Fine seconda puntata - continua


 
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Piazza Scala - novembre 2010