|
E siamo alla seconda prova di Giovanni Lorè: ad "Ali di pietra" segue un nuovo
germoglio.
fl poeta approda ad un modulo lirico lontano dalla realtà, della quale conserva
tuttavia le affinità radicali:
"Schiara la luce falba della luna / le ombre molli della notte, / ma non il
cuore sperso nella selva / aspra di silenzi".
Ora sono i silenzi a dare l'affanno:
"Interminabile l'attesa di rinnovellati ardori / e ansia d'albe".
Il lettore avverte immediatamente la congeniale e sostanziale continuità di tono
e andamento lirico tra le due prove: stessi paesaggi interiori, stessa misura
stilnovistica con una particolare tensione a cogliere magico-arcano, la
sacralità arcaica del pensiero. La creatività viene risolta in linguaggio che ha
il fascino della cosmicità.
E la memoria ricanta, ricostruisce, ricrea, rinnovella melodie, cadenze, rivive
le visioni degli scenari evocati dai poeti, confronta le emozioni, gli stupori,
le celesti meraviglie delle scoperte infantili, dei colori, degli indugi
contemplativi ormai quasi cancellati dall'abitudine adulta a sopravvalutare ciò
che può offrire occasioni di fruizioni più corpose e immediate.
È a partire dalla quiescenza la ripresa di Lorè, il quale non sapeva che il
nuovo modo di vita lo avrebbe costretto a fare i conti col risveglio di una
sensibilità nuova e tenace, temprata da una forza interiore capace di rinnovare
e ricreare.
Sotto il velame modulare della scrittura, apparentemente descrittiva, la parola
è ricerca di espressione essenziale di situazioni intime, non solo momento di
sintesi del pensiero del poeta ma anche visività, splendore di significanza,
metafora e simbolo.
Lorè sembra avere smarrito il senso dello spazio ed essersi ridotto a pensare,
quasi esclusivamente, a un altrove dell'anima, raggiungibile con la fede in Dio,
attraverso il sogno, l'immagine e la valorizzazione della vita, concepita come
luogo di consuetudine poetico-amorosa.
Forse per questo il "locus" della poesia di Lorè è contemplato ed exornato delle
cose più belle e più intimamente coerenti e coese. Alle origini di questo
risentimento lirico non pare irragionevole pensare che ci sia una sorta di
scossone traumatico e una volontà di ritrovarsi, di riscoprirsi, di riproporsi,
una presa di coscienza capace di percepire la portata di un rivolgimento
interiore, potenzialmente in grado di aprire nuove e più personalizzate
prospettive. Si intravede nella poesia di Lorè e si fa motivo dominante, una
turba inviolabile, una deserta volontà d'amare, l'ansia di un ricupero
impossibile, una speranza che si traduce in "voluntas e voluptas" tutta
lucreziana di creare, di perpetuare uno "status" di pathos, di ricominciare da
capo, di scoprire affinità elettive insospettate, di natura fantastico-emotiva.
Ripenso a una nota del "Mestiere di vivere" di Cesare Pavese: "5 aprile 1945.
Vivere in un ambiente è bello quando l'anima è altrove. In città quando si sogna
la campagna, in campagna quando si sogna la città. Dappertutto quando si sogna
il mare" che, aggiungiamo noi, è il simbolo di un infinito desiderio di spazi
liberi. "Si valuta la realtà - prosegue la nota di Pavese - soltanto
filtrandola, attraverso un'altra realtà e quando trapassa in un'altra. Ecco
perché l'essenza della poesia è l'immagine."
Ed ecco perché Giovanni Lorè si è ritrovato poeta quasi senza volerlo, perché è
passato dalla scrittura-gioco alla scrittura-ricerca di sé, filtramento di
sensazioni preziose, tradotte in ritmi e metafore di vita interiore, di valori
che attraverso il filtro dell'anima si purificano e si potenziano al punto di
apparire realtà sensibili e necessarie.
Del resto è lo stesso Pavese che in un'altra nota del citato "Mestiere di
vivere" conclude la sua riflessione: "6 aprile 1945. Che cosa significherebbe un
valore oggettivo, ma non sentito?". E ancora una volta, ecco perché l'essenza
della poesia è l'immagine anche secondo Lorè.
Quando siamo assorbiti in un impegno d'arte, inconsciamente, pretendiamo dare il
senso del bello, dell'altrove, dell'evasione verso l'indefinito leopardiano o
no, e verso l'infinito tanto da fingerlo nel pensiero e da naufragare in questo
mare. Il superamento del nostro mondo singolo e particolare, corrispon-de alla
struttura del nostro spirito e del nostro conoscere "poietico" categoriale, è la
riprova dell'adattamento dell'immagine al pensiero, della sua omnipervasività,
di questo felice gioco di spec-l In nel quale ogni immagine rimanda a un'altra,
in un crescendo continuo.
La raffigurazione che noi ne facciamo è intima impronta o fatto descrittivo,
comunque è sempre simbolo, spiraglio, spia di qualcosa che sia oltre o spinta ad
uscire da sé e ad aprirsi all'infinito.
E ci soccorre la parola di Baudelaire quando nei "Fiori del male" il afferma che
il poeta avanza in una foresta di simboli a lui familiari che lo rimandano a
realtà più profonde.
E' un'immagine tesa, a momenti, irrompe e attraversa il paesaggio interiore del
poeta riconducibile a una remotissima figura di donna concreta e viva, reale se
non proprio a una diffusa mitica simbologia femminina che il tempo ha trasmutato
in soffio, in ala, in faro.
L'icona di lei vagante nella memoria, onnipresente nelle atmosfere del canto,
apre parentesi di luce tenera aurorale, sostiene l'impegno del poeta per una
poesia di idillio e di fratture esistenziali, ora che Lorè fa i suoi primi
tentativi di acquerellista e il suo linguaggio lirico si fa più vellutato e
melodico, penetrante, introspettivo, spaziale, magico, levitante, talvolta
arcanamente arcaico, pur rigorosamente stilistico, più adeguato alla sua verità,
più consapevolmente vibrante e colloquiale in una lingua più prona alle sue
intenzioni d'arte con una pronuncia lirica più intensa e rivelatrice.
La poesia di Lorè è il luogo e il tempo dove la parola muta ali e appare più
tenera e disinvolta, più tremula e pudicamente composta. E' l'occasione di
trovare il nesso tra eventi umani e il gioco interpretativo della coscienza e i
riverberi della sensibilità accesa di pathos, di slanci e raffigurazioni di
memorie archetipe diffuse nel mondo dell'arte e della cultura. Il vulnus
insopportabile dell'ingiustizia non è cicatrizzabile. Il sentimento dell'assenza
ha tregue di dormiveglia ma dà segni di improvvisi sussulti donde sgorgano, come
da sorgiva, amore e poesia.
Sirio Guerrieri | |
|