Ci si potrebbe chiedere se espressioni come "attore in ansito di cuore" (in Danzano i giorni), o immagini come la "luce che intride e dissolve il nodo degli affanni", seguita dall'umidore laicamente mistico e pacificante (in fondo, ancora un po' in odore dannunziano) dell'urna che è "inerbata di affetti e di speranza" (in L'anima che si illumina e si abbaglia), siano puro esito ispirativo, nella loro inedita efficacia e pregnanza, oppure frutto coltissimo di un ripensamento circa il presupposto visionario - quindi pure intellettuale - che sovrintende all'affilatura e all'autenticità del codice poetico. La do-manda resterebbe sospesa sul silenzio, in questo caso sublime, di un'impossibile risposta.
È difficile, infatti, stabilire dove il verso di Lorè attinge il suo respiro nuovo e scalzante, sempre alla ricerca di un ipersenso entro cui edificare l'ideale della 'comunicazione totale', se dalla sferzata immaginifica profonda sino all'utopia (utopia propria di chi scrive e si assimila al verso, e peraltro connaturata all'assoluto del linguaggio poetico), o dagli avvolgimenti culturali che accolgono, scaldano e plasmano la parola del poeta - ora, di questo poeta, magistrale rifondatore del concetto di sintesi, e capace di riversare nella sintesi il colmo dell'analisi; e muovendo questa osservazione, non escludo dal campo commentativo la scrittura di Lorè destinata all'infanzia, certo, collocabile a latere, ma non per questo lontana dalla coerenza poetica dell'autore.
La poesia può essere smontata e rimontata, vivisezionata, ma non può essere spiegata, ossia ridotta a un senso elementare di sostanza e funzione; e qui, di fronte a una raccolta come Nebbie, è dunque importante restare su un dato di fatto: Lorè ha avuto il coraggio di riconoscersi e scandirsi sulla sacrosanta necessità ermetica del linguaggio in versi, al di là di quei demagogici populismi che lungo varie - e anche recenti - fasi della nostra storia letteraria avrebbero voluto negarla; la vera poesia germina, da sempre e per sua natura, da un'imprescindibile pre-condizione ermetica, poiché nessun codice comunicativo corrente, nessun segno soltanto linguistico, potrebbe altrimenti incidere e rendere ustoria la parola tesa a esprimere le essenze inesprimibili dell'essere.

 

Rodolfo Tommasi