I MAYA: UN POPOLO DALLE ROBUSTE RADICI
di Giorgio Nobis

 
    seconda puntata: la scrittura e i codici   
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Dopo il 950 d.C. e sino all’arrivo dei “conquistadores” spagnoli, abbiamo il terzo periodo, o “postclassico”, nel quale popolazioni tolteche provenienti dal Messico centrale estendono in breve tempo la loro egemonia sullo Yucatàn e negli altopiani del Guatemala, mentre nei bassipiani centrali resta una popolazione rurale maya molto esigua. In seguito e dopo la graduale fusione delle due distinte popolazioni in un’unica etnia, denominata dei Maya-Toltechi, si assiste al rifiorire della civiltà nel nord e nella costa orientale della penisola yucateca, mentre le residue popolazioni maya dei bassipiani centrali e dell’area guatemalteca, pur riconquistando la loro autonomia, non riusciranno più a sviluppare ulteriormente la loro cultura, peraltro mantenendola sino ai giorni nostri integra e sostanzialmente poco intaccata dagli influssi culturali provenienti dall’occidente europeo e più di recente dal Nordamerica.
Esaminiamo ora com’era strutturata la civiltà Maya e quali aspetti eclatanti l’hanno contraddistinta.

Anzitutto si può affermare che essa è l’unica civiltà precolombiana che abbia lasciato un numero
rilevante d’estese iscrizioni, con una scrittura logosillabica/ideografica, nella quale ogni simbolo

poteva rappresentare una parola o comunque avere un significato a sè stante. La maggior parte di
queste iscrizioni è incisa su stele di pietra o su facciate d’edifici e contiene riferimenti ai principali
accadimenti della loro storia.
La scrittura è stata un passaggio fondamentale nello sviluppo della civiltà maya, ma la sua comprensione era riservata alla casta sacerdotale ed a quella politica dominante.
Erano scritti libri su lunghi fogli di carta, ripiegati a fisarmonica ed ottenuti dalle fibre della pianta
dell’agave o dalla corteccia di ficus o da pelli, ma questa fonte diretta di notizie è stata volutamente distrutta dalla furia iconoclasta dei religiosi spagnoli, tant’è che solo tre codici sono stati salvati.

 

Il CODEX DRESDENSIS, che consiste di 78 pagine ed è il più prezioso reperto giunto fino a noi,
risale probabilmente all’XI o XII secolo della nostra era e appartiene alla biblioteca di Dresda dal 1739 (vds.l’immagine a destra). Tratta particolarmente di astronomia (elenca le eclissi e la rivoluzione sinodica del pianeta Venere) ma contiene anche numerosi oroscopi ed alcune indicazioni sui riti religiosi e civili. Proprio grazie a questo documento, Ernest Fostermann è riuscito a decifrare la struttura interna del calendario e del conto lungo maya (o, come si definisce in linguaggio tecnico-
archeologico, Lungo Computo).


Il CODEX TROCORTESIANUS (che contiene ben 112 pagine e risale probabilmente al XV secolo) è custodito dalla Biblioteca Nazionale di Storia ed Archeologia di Madrid ed è in sostanza un libro di divinazione, una sorta di promemoria usato dai sacerdoti indovini.

 

Esiste infine il CODEX PERESIANUS, incompleto ed in pessimo stato di conservazione (conta solo 22 pagine e risale anch’esso al XV secolo), appartiene alla Biblioteca Nazionale di Parigi e tratta delle divinità dei vari Katun e delle cerimonie concernenti la successione nel tempo di undici di tali Katun. Malgrado l’epoca abbastanza recente, dal punto di vista dello stile si ricollega ai rilievi litici di Quirigà e di Piedras Negras (due antichi siti del periodo classico).

 

Recentemente è stato scoperto un quarto codice, al momento ancora in fase di studio.

 

(continua)

 

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Piazza Scala - marzo 2013