SI PARTE
Appuntamento all’aeroporto di Punta Raisi ( allora si
chiamava così) la mattina del giorno 5 . In
coincidenza con i viaggiatori provenienti da Milano
e Verona ( i bresciani) - più quelli di Palermo -
alle ore 11,30 un DC9 dell’ATI era pronto sulla
pista per il trasferimento a Lampedusa. Arrivo 12,10.
I “catanesi” , invece, con due capienti auto ( si
vedrà poi il perché) , si erano imbarcati la sera
prima a Porto Empedocle sul solito traghetto.
PRIMO GIORNO
Arrivo. Soliti convenevoli ( esagerati ! come è
costume di noi siciliani) e conta dei presenti.
Eravamo 21. Undici uomini e dieci donne. Niente
bambini.
Il Direttore prese subito in pugno la situazione .
Confermò, nei ruoli chiave (già descritti nella prima
parte cioè: acquisti , pulizie , preparazione e
cottura del pesce etc. ) gli stessi elementi di
sempre . Si affrettò a insediare in cucina, con pieni
poteri, Franca e Giovanna , cuoche esperte, addette
soprattutto alla preparazione dei primi piatti:
condimenti , intingoli, salse e contorni a base
di specialità siciliane, spesso verdure.
Assegnò alle singole ”famiglie” le “villette” dove
soggiornare . Cinque in tutto, attigue. La tipologia è
descritta nella prima parte.
Poiché si sarebbero dovuti rispettare tempi e ruoli
per lo svolgimento delle varie attività legate
soprattutto alla balneazione e ai
“ servizi “, ( cioè lavoro) , con l’accordo di tutti ,
si stabilì che caso per caso il Direttore avrebbe
preso la decisione giusta. ( Si sperava). Ordine del
giorno: il pasto principale si preparava la sera. Al
mattino colazione al bar ( da veri signori ). A
mezzogiorno, per mancanza di tempo, un pasto leggero.
Ogni nucleo familiare provvedeva per se. I frigoriferi
venivano alimentati continuamente. Strano ! Un giorno
sentimmo un flebile lamento provenire dalla cucina: era
un frigorifero che ci chiedeva un digestivo, tanto era
pieno; i buongustai consumavano le rimanenze della
sera precedente. Famoso il panino che Giovanna un
giorno si preparò imbottito con la polpa dei “ resti”
??? di una aragosta avanzati dalla sera prima, con
vivissimi complimenti - ironici - del Direttore.
BISOGNA DARSI DA FARE
Senza perdere altro tempo si decise di fare
subito visita, per un saluto, alla “zia Angelina”
( decisiva per le nostre vacanze poiché era la
fornitrice della materia prima : il pesce)
Ci accolse con le solite manifestazioni di affetto che
ricambiammo.
Allertata in precedenza aveva messo da parte per
noi 2 belle ricciole ( circa 4 chili), pescate in
mattinata. Avrebbero fatto parte della nostra cena.
Si passò all’acquisto di pane, frutta, gelato
,acqua minerale, salumi e formaggi.
Quel pomeriggio fu cancellato dal programma il
rituale pisolino pomeridiano. Il desiderio del mare
era talmente forte che, non potendo resistere al suo
richiamo, di corsa ci avviammo verso la vicina
spiaggia a immergerci in quell’acqua meravigliosa a
lungo sognata. Per dimenticare le lugubri notti
invernali del nord.
Per cena quella sera apparecchiammo la tavola in fretta
e ci siamo dovuti “ accontentare”, seduti sotto la
luce delle stelle e dei lampioni del giardino, di una
“ modesta “ cena. Penne al pomodoro, tranci di
ricciola ai ferri, ( bravi i fuochisti !) e
speciali pietanze sicule: caponata, peperoni
ripieni e “ alive cunsate “ preparate da Giovanna il
giorno prima della partenza. Il Direttore, il suo
primo aiutante, ( che ero io), le “cuoche”, si
prodigarono generosamente e fecero sfoggio di
grande sacrificio e competenza .
Il tutto annaffiato di ottimo vino. Alla fine
frutta, dolci e gelato.
A questo punto risulta chiaro il motivo delle
“due” auto al seguito.
Una era carica di pentole, barattoli e zuppiere
pieni di tante varietà di cibo già pronto, da
consumare all’arrivo a anche…… dopo.
Nell’altra erano stipate circa 50 bottiglie di vino,
ovviamente bianco.
Quell’anno bevemmo due/ tre tipi di un ottimo vino
dell’Etna, produzione dell’ anno precedente.
Le viti piantate alle pendici del vulcano assorbono
“fuoco” dalla terra e assieme alle piogge tanto,
tanto sole che a Catania splende tutto l’anno, da
gennaio a dicembre e che esalta le particolari
proprietà organolettiche del loro vino che assume
un bouquet singolare.
Mi viene spontanea una divagazione. Reminiscenze della
mia gioventù.
Il vino da noi si ” faceva “ (verbo al passato) nel
“palmento” : locale situato in mezzo alla
vigna.
Da ragazzo restavo incantato nel visitare questi
locali. Due o più uomini pigiavano, con i piedi,
scarpe comprese, l’uva dentro vasche scavate nella
pietra lavica situate nella parte alta. Delle
canalette, scavate sempre nella pietra lavica,
facevano scendere , regolandone il flusso , il mosto
in vasche più grandi in basso dove si lasciava
fermentare in attesa della lavorazione successiva. I
raspi avanzati venivano torchiati con un
aggeggio rudimentale a forma elicoidale, tratto da
un unico tronco d’albero, che eliminava i
vinaccioli e restituiva le vinacce.
In sostanza il “palmento” era un monoblocco di
pietra lavica lavorata rudemente con grande perizia.
Bellissimo!
IL MARE. “ LA NOSTRA SPIAGGIA “
L’intervistatore si avvicinò e ci chiese: perché venite
a fare le vacanze a Lampedusa? Risposta: perché questo
è il mare più bello del mondo e anche le sue spiagge lo
sono. Vari organismi internazionali, legati alla
protezione dell’ambiente, concordano nell’affermare
che, ad esempio, la spiaggia collegata all’Isola dei
Conigli sia la “ più bella del mondo “ e addirittura
una delle organizzazioni mondiali la “Trip Advisor”
la considera “ spiaggia” per antonomasia . Ne parleremo.
Nella prima parte ho accennato che oltrepassato lo
scoglio La Delfa ( il Direttore, che così l’aveva
battezzato, era convinto che fosse di sua proprietà )
a una distanza di circa 150 metri dalle nostre villette
si estendeva, in forma semicircolare , una
bellissima spiaggia di finissima sabbia dorata di
fronte a un mare meraviglioso.
La sua estensione era di circa duecento /trecento metri
e finiva con una lingua di roccia.
Il suo retroterra non era molto esteso e confinava con
un folto canneto.
Non essendo visibile dalla strada, ( meglio “ trazzera “
) peraltro poco battuta, era nota a pochissima gente.
Questa era la nostra spiaggia abituale. ( Quasi
privata).
LAMPEDUSA O……….. PIEDIGROTTA
L’accostamento al quartiere della città di Napoli
famoso per le sue feste e le sue luminarie non è
casuale.
Le nostre cene si svolgevano all’aperto nello spazio
antistante le villette. Veniva apparecchiata una unica
lunga tavola utilizzando tovaglie, stoviglie, posate
e bicchieri in dotazione. Per inciso: il Direttore
odiava mangiare e bere in piatti o bicchieri di
plastica e/o di carta quindi obbligo per tutti
utilizzare piatti di terracotta e bicchieri di vetro.
Unica eccezione la frutta e i dolci (non sempre).
Subito sorse un problema. Sulla tavola non arrivava
abbastanza luce. Era fievole quella dei lampioni e
delle stelle.
Facemmo ricorso a un espediente. ( Idea dello
scrivente).
Utilizzammo delle rudimentali attrezzature: quattro
robuste “prolunghe” elettriche alle cui estremità
erano collegate delle prese di corrente e
portalampade che supportavano lampad- ine- ine da
500 watt cadauna.Per fare pendere le lampade sulla
tavola, alla giusta distanza, quattro canne da pesca
flessibili, alle quali appendemmo le prolunghe
risolsero il problema.
Una luce di 2.000 watt illuminava la nostra notte.
Altro che… Piedigrotta.
UNA NOVITA’
Quell’anno il Direttore decise di dare alle stampe
il menù della “giornata”.
In base al pesce fresco che era stato pescato nella
notte ( certo non si poteva pretendere di comprare,
prenotandolo, quello che si voleva) si stabiliva
il menù.
Per erudire le “masse” furono messi in circolazione
dei pieghevoli , con graziosi disegni in tema, già
prestampati , sui quali il Direttore aggiungeva a mano
– naturalmente in stretto dialetto siculo con salaci
commenti - la data e il menù della giornata.
Ne venivano fatte cinque copie, una per ogni
“famiglia”. Vi assicuro che non era un divertimento.
Non ha mai voluto che lo aiutassimo. Oggi ci
ritroviamo la serie completa scritta di suo pugno.
IL PESCE
Nella prima parte mi sono dilungato nella descrizione
dettagliata del “ pesce” .
Di quello che ho scritto non modifico nemmeno una
virgola per cui invito a rileggere il capitolo che
lo riguarda.
Anche in questa seconda vacanza è stato, assieme a
tante altre vivande, il nostro apprezzato alimento
principale.
Chi non è interessato, poiché si parla di cibo, può
saltare la lettura di questa pagina.
Nell’arco di 10 giorni mangiammo, spesso due/tre
portate contemporaneamente, i seguenti “piatti” :
spaghetti al gambero, insalata di polipo, insalata di
mare, triglie fritte e ai ferri, pennette al tonno,
guglie fritte e ai ferri, spaghetti in brodo di cernia,
gamberi imperiali, zuppa di pesce, pesce spada ai ferri,
spaghetti col nero di seppia, aragosta, calamari fritti
e ai ferri, astice ( che buono alla brace !) , merluzzi,
seppie in umido, melanzane fritte, melanzane e
pomodorini sott’olio, pasta al pomodoro , caponata alla
siciliana, peperoni arrostiti sulla brace , olive
condite…..
C’è chi potrebbe obiettare : troppa roba!
Ignora, però, che un terzo dei partecipanti era
costituito da sette baldi giovanotti – età media
16/18 anni – che al posto della bocca avevano dei
potenti aspirapolvere. Anche i “vecchi” non
scherzavano.
Ho detto tutto.
L’olio extra vergine di oliva proveniva dal frantoio
di compare Alfio ( CT) . Limoni gratis, di Casteldaccia,
del “giardino” di “ cummare ( di nome ) Lippania
“
LA “CROCIERA”
Un
pomeriggio il Direttore ci comunicò : domani si va in
crociera. ( Brusio di unanime approvazione) .
Disse: avevo già prenotato ieri e oggi ho ritirato i
biglietti . Mi raccomando la puntualità perché la ‘
nave ‘ salpa alle ore 10 in punto dal porto, molo
est. Si rientra nel tardo pomeriggio. Si mangia a
bordo.
Io che lo conoscevo molto bene ridevo sotto i baffi.
Mi sorse spontanea la domanda: ma Rodolfo se
rientriamo tardi non abbiamo il tempo di preparare la
cena. Vuoi che prenotiamo da qualche parte ? Risposta
: non ci pensare nemmeno. Il cielo provvederà.
L’indomani la “nave “ non era altro che un grosso
battello attrezzato per portare in giro i turisti.
Capienza circa 100 passeggeri . Sedili molto comodi
e spaziosi situati sul ponte davano la possibilità
di sedersi. rilassarsi e godere il panorama.Per
‘crociera’ s’intendeva la circumnavigazione completa
dell’intera isola bordeggiando a poche decine di
metri dalla costa .
Erano previste, per fare il bagno, delle brevi
soste vicino alle spiagge più belle raggiungibili solo
dal mare. Oppure avvicinarsi a riva davanti a
piccole e grandi insenature naturali di roccia che si
addentravano in piccole o grandi grotte. Una luce
opaca creava un ambiente quasi surreale che
esaltava la visibilità del fondo marino con tutta
la sua flora e la sua ricca fauna. Di quel mare e
delle sue bellezze straordinarie ne ho fatto cenno
nella prima parte.
Dal battello due scalette situate nella fiancata
davano la possibilità di scendere facilmente in acqua e
soprattutto risalirne.
A pranzo furono serviti, in capaci vaschette di
plastica e relative forchette, degli ottimi spaghetti ai
frutti di mare , veramente squisiti e ( strano) cotti a
puntino, con possibilità di bis e anche di tris. Poi
……nient’altro. Piccola delusione dopo il conclamato
“si mangia a bordo”.
Il mare in compenso ci ripagò oltremisura.
L’OROLOGIO
A un
certo punto notai che mia sorella Lidia aveva al polso
il suo orologio d’oro che portava anche in acqua.
Un cenno col Direttore e subito scattò la sceneggiata.
Mi feci consegnare l’orologio tenendolo ben stretto
nella mano. Poi le suggerii di urlare a squarciagola
dicendo che l’orologio le era scivolato dal polso ed
era finito nel fondo sabbioso del mare. Intervenne il
Direttore agitandosi più di lei. Iniziò a urlare pure
lui per attirare l’attenzione degli altri bagnanti,
specie di quelli stranieri. Lui in queste cose era un
maestro. Si fece indicare il punto in cui
presumibilmente era caduto l’orologio e poi rivolto
verso di me mi disse: Saro (sta per Rosario) tuffati
e cerca di ricuperarlo. Non me lo feci dire due volte e
sempre con l’orologio ben stretto nella mano mi tuffai
nel punto indicato e poco dopo riemersi in
superficie mostrando con orgoglio l’orologio
“”ritrovato”” e, per fare scena, un poco di sabbia.
Non fu difficile, il mare era profondo non più di 4/5
metri. Stupore generale! Scroscianti applausi da
parte di tutti e il Direttore non faceva che dire: “ E’
mio fratello. E’ mio fratello” .Se fosse stato vero
nemmeno col sonar si sarebbe mai più ritrovato.
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