LO SCOGLIO “LA DELFA”
In precedenza ho parlato del
sentiero, vicino casa, che ci portava verso i “
nostri “ scogli prospicienti il mare.
Disposti in forma semicircolare formavano una
buona insenatura naturale.
Da un lato una specie di vaschetta, a forma di
conchiglia, ( miracolo della natura) si protendeva
verso il mare quasi a pelo d’acqua. Profonda, non
più di trenta centimetri si alimentava e si
svuotava con lo sciabordio del mare.
Comodissima per chi doveva scendere in mare (subito
profondo ) e soprattutto per risalire.
Indispensabile per la pulizia del pesce. Avevamo
un’attrezzatura adeguata: ampie vasche di plastica,
diversi tipi di coltelli, scolapasta (sic), grandi
piatti, un aggeggio per togliere le squame, forbici,
tagliere e strofinacci da cucina.
Per fare a fette i pesci più grossi , la cui “ lisca”
di cartilagine diventa un vero e proprio osso, ci siamo
arrangiati con un seghetto comprato sul posto.
Incidevamo la polpa con il coltello, segavamo l’osso e
il gioco era fatto. Pronto per la graticola.
Parliamo di : pesce spada detto “ u puddicinedda “
(pulcinella) perché molto giovane. Di solito misura
circa un metro e mezzo, poco più poco meno, spada
compresa, ed era abbastanza gestibile da parte
nostra.. Anche la cernia, la ricciola ( specialità
del mare di Lampedusa), il dentice e il nostro “
pauro “ siculo quando superavano i due chili subivano
la stessa sorte.
I pesci più piccoli venivano puliti direttamente sul
mare. Ci sedevamo sulla “conchiglia” e iniziavamo il
lavoro. Lavaggio superficiale, squamatura, estrazione
delle interiora che venivano buttate subito in acqua
per assistere a uno spettacolo unico. Centinaia e
centinaia di piccoli pesci coloratissimi salivano in
superficie per contendersi quegli scarti.
Dopo qualche minuto il mare era più pulito di prima.
Mossa successiva: eliminare le pinne dorsali,
caudali, pettorali e addominali. Ultima fatica:
utilizzando un comune scolapasta si lavava più
volte il pesce immergendolo nel mare, si sollevava e si
faceva uscire l’acqua dai fori.
Diversamente si tratta il calamaro. Si stacca la
parte superiore (ciuffo). Si toglie l’occhio, si
sfila quella specie di membrana colorata esterna (
quando il pesce è fresco viene via facilmente), si
svuota la parte inferiore a forma di sacca avendo
l’accortezza di estrarre la lisca interna di
cartilagine trasparente. Se si cuoceva alla griglia
era già pronto; volendo fare una frittura si tagliava
(sul tagliere) a forma di anelli , s’infarinava
e giù in padella con olio bollente. Oppure volendo
fare una buona insalata di mare assieme a
gamberetti , piccoli polipetti , qualche pezzettino
di polpa di astice ( che lusso ), molluschi a piacere
olio limone e prezzemolo.
IL POLIPO SUICIDA ?
Un giorno mentre pulivo un
bel calamaro, bello tosto, forse attratto dal
bocconcino, vedo un polipo schizzare dal fondo del
mare a velocità supersonica e fermarsi in superficie
vicino la mia mano. Non essendo attrezzato e non
sapendo come fare per catturarlo, con l’altra mano
ho immerso in mare il tagliere sotto i suoi
tentacoli cercando con una mossa del polso di
buttarlo sullo scoglio.
Il polipo “sembrava” un aspirante suicida ma mica era
scemo. Andato a finire sullo scoglio vicino
l’acqua si è immerso e se l’è squagliata,
lasciandomi di sasso.
Quell’ anno ci fu l’investitura dello “scoglio La
Delfa”.
Il “direttore” l’anno successivo si è presentato con
una targhetta in plastica sulla quale aveva fatto
incidere “Scoglio La Delfa” che ha attaccato su una
parete sovrastante. Secondo lui per diritto di
usucapione.
RIPOSO
La seconda parte del
pomeriggio, dopo la siesta e l’ennesimo bagno, prima
dell’imbrunire, cercavamo di rilassarci.
Altro che rilassamento! Il direttore suonava la carica
e c’era l’obbligo di presentarsi per iniziare a giocare
interminabili partite a carte. Il nostro passatempo
preferito. L’accanimento e la tensione salivano al
massimo. Non esistevano parentele e/o amicizie .
Facevano gola le “lirette” del piatto. Giocavamo a
“Carioca” che allora imperversava a Catania . Non so
dopo.
Ci mettevamo comodi sul terrazzo e iniziavano a
giocare. Di fronte, oltre la nostra baia, si estendeva
una bella spiaggia semicircolare ( ne parlerò nella
seconda parte) di sabbia dorata che finiva con una
lingua di terra protesa verso il mare dove tutte le
sere si appostava un semovente del nostro esercito
munito di una grande antenna parabolica. Sostava fino
al mattino e dopo si ritirava.
Nel frattempo sul mare alla distanza di circa un
miglio iniziava a incrociare una corvetta della nostra
Marina militare che pattugliava l’isola.
Era il tempo dei famosi missili , caduti vicino
l’isola, di cui il colonnello Gheddafi ci aveva
gratificato.
A una certa ora si cominciava ad aver fame. Si smetteva
di giocare, per riprendere dopo, e iniziava la
preparazione della cena.
I fuochisti, e gli “aiuti” in antagonismo tra di loro a
chi era più bravo e più svelto si davano da fare per
accendere i fuochi e preparare la brace ( mai fiamma
viva) che si otteneva con la combustione di
carbonella di legna e/o dei cosiddetti “sarmenti”
ottenuti con gli arbusti delle nostre viti quando si
potavano. Le graticole erano due.
Era un compito impegnativo curare al meglio la
“grigliata”. I pesci normalmente erano di
quatto/cinque specie e ognuna necessitava di
particolari cure. Si spennellavano, ogni tanto, con
un ciuffo formato di rametti di rosmarino intinto
nell’olio extra vergine di oliva. Trascorso il tempo di
cottura l’assaggio ( che veniva ripetuto più volte,
per essere più “sicuri”, ) era riservato solo
ai capi fuochisti che decidevano se era il momento
di servire la cena.
Grandi piatti ovali di portata e via a tavola.
Qualche anima pia aveva preparato in precedenza “u
salamarigghiu” ( salmoriglio) che serviva a condire
il pesce. Olio, succo di limone, sale e prezzemolo
tritato.
A volte si allestiva una sola grigliata perché il
direttore, era la sua specialità, aveva preparato in
precedenza una bella zuppa di pesce o un bel piatto di
spaghetti in brodetto, sempre di pesce. In alternativa
Saro preparava una bella (buona più che bella)
insalata di mare (vedi sopra) . Oppure una montagna
di “frittura”.
Da qui iniziava la grande “abbuffata”. Ci si arrangiava
con tutti i mezzi, non escluse le mani . Si mesceva il
vino del Conte… senza parsimonia e via. Dopo: frutta
e dolci a volontà. Si completava con il gelato.
Ricordo che una sera avevamo appena iniziato a
mangiare quando ci è venuto a trovare un pescatore
nostro amico che abitava nei dintorni. Era accompagnato
dal figlio. Ci disse: andiamo a pesca di calamari
nelle vicinanze . Lo pregammo di riservare per noi
tutto quello che avrebbe pescato.
Fu una pessima idea. Dopo meno di 40 minuti si è
presentato con una cassetta piena di circa sette
chili di calamari. Erano ancora vivi , si dimenavano e
al buio emanavano una luce fosforescente.
Poiché ci eravamo impegnati abbiamo fatto onore alla
parola data e abbiamo pagato il dovuto. Ricordo. Un
costo di circa 10.000 delle nostre vecchie care
lirette.
A ripensarci bene oggi mi viene da ridere ( meglio, da
piangere ) .
Lo stesso pesce - mare “ nostrum “ - no Oceano
Atlantico, Pacifico o Indiano, oggi, lo avremmo
pagato non meno di 180 Euro , pari a Lire 348.528.
Dopo meno di 20 anni , 35 (trentacinque ) volte di
più.
L’ amico pescatore, su nostra richiesta , ci ha fatto il
favore di conservare il pesce nel suo ampio
frigorifero, per consumarlo successivamente.
FINITA LA FESTA. SI
RIENTRA.
L’ultima sera dopo una cena
luculliana in cui si dava fondo a tutte le riserve:
pesce, dolci, vino, marsala etc. Saro faceva i conti.
Tutto sommato rispetto a quello che avevamo mangiato,
bevuto etc. la cifra, pro capite, era abbastanza
contenuta e molto modesta. Direi con una espressione
prettamente sicula “Tuttu santu e binirittu”. (tutto
santo e benedetto).
L’indomani partenza. In aereo i nordici che
accompagnavamo in aeroporto. Un DC9 dell’ A.T.I. era in
servizio Palermo / Lampedusa e Ritorno, ogni giorno,
con comode coincidenze da e per le città del nord.
Per noi rientro con il traghetto.
Ultima visita alla zia Angelina che, nel frattempo,
aveva preparato e confezionato, con ghiaccio secco, per
conservarsi meglio, un ”florilegio” ( non raccolta di
brani musicali scelti ) ma di pesci pescati nella
notte.
Il grosso pacco lo affidavamo al nostromo della nave
che ci consentiva di tenerlo in frigo fino all’arrivo.
Mi sento obbligato a mettere la parola FINE. Sebbene
ci sarebbe ancora molto da raccontare. Ma tant’è .
Dobbiamo chiudere.
C’è però un ultimo gustoso episodio che ci ha
lasciato gradevolmente stupiti , che non posso “
sottacere”. Riguarda un gabbiano.
IL GABBIANO FENOMENO
Avevamo comprato, prima di
partire, due belle pagnotte di pane di grano duro da
mangiare durante il viaggio di ritorno. Per gustarlo
meglio avevamo deciso di mangiarlo “schittu” ( senza
companatico ).
Dopo la partenza , seduti a poppa, pronti a mangiare
abbiamo notato che un bel gabbiano seguiva la nave a
una distanza di circa cinquanta metri. Le due
grosse eliche alimentate dai due potenti motori
diesel lasciavano sul retro della nave una scia di
schiuma bianca molto intensa e compatta. Abbiamo
voluto sfidare il gabbiano lanciando un pezzetto di pane
in mezzo alla schiuma. Con nostra grande sorpresa il
gabbiano, senza esitazione, in una frazione di
secondo, individuato dall’alto il boccone si
lanciò giù come un falco in mezzo alla schiuma, lo
afferrò e lo mangiò.
Ci ha seguito fino a Linosa . Ovviamente noi di quel
pane non ne abbiamo mangiato nemmeno un pezzettino. Lo
spettacolo era troppo bello.
Arrivo a Catania.
Giovanna ci faceva trovare , per disintossicarci, una
montagna di verdure (cotte e crude). Nei giorni
successivi ( non tanti ) si mangiavano minestroni,
brodini e pastine.
FINE PRIMA PARTE
P.S. Mi avete mai sentito
nominare la parola carne?
In questa PRIMA PARTE ho
tralasciato volutamente di descrivere la parte
“ludica” della vacanza: gite in barca, escursioni,
periplo dell’isola, visite a luoghi particolari, non
ultima l’Isola dei conigli etc. Mi riservo di farlo
nella
SECONDA PARTE
Dove entrano in ballo i SIGNORI.
Brescia, primavera 2014
ROSARIO LA DELFA
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