LAMPEDUSA AMORE MIO......
di Rosario La Delfa

prima parte, seconda sezione: i barboni

LO SCOGLIO “LA DELFA” 

In precedenza ho parlato del sentiero, vicino casa, che  ci portava verso   i “ nostri “  scogli prospicienti il mare.  
Disposti  in forma semicircolare  formavano  una buona    insenatura  naturale.
Da un lato  una specie di   vaschetta,  a forma di conchiglia,  ( miracolo della natura) si protendeva verso il mare quasi  a pelo d’acqua.  Profonda,   non più di trenta centimetri    si  alimentava   e si svuotava con lo sciabordio  del mare.
Comodissima    per chi doveva scendere in mare (subito profondo )  e soprattutto  per risalire.
Indispensabile  per la pulizia del pesce. Avevamo un’attrezzatura adeguata: ampie vasche di plastica, diversi tipi di coltelli,  scolapasta (sic),  grandi piatti,  un aggeggio  per  togliere le squame, forbici, tagliere  e strofinacci da cucina.
Per fare a fette i pesci più grossi ,  la cui “ lisca”  di cartilagine  diventa un vero e proprio osso, ci siamo arrangiati con un seghetto comprato sul posto.
Incidevamo la  polpa  con il coltello, segavamo l’osso e il gioco era fatto. Pronto per la graticola.
Parliamo di :   pesce spada  detto  “ u puddicinedda “ (pulcinella)  perché molto giovane. Di solito  misura  circa un metro e mezzo, poco più poco meno,  spada compresa,   ed  era abbastanza   gestibile da parte nostra..   Anche la cernia,  la ricciola ( specialità del mare di  Lampedusa), il dentice  e il  nostro “ pauro “ siculo  quando superavano i due chili  subivano  la stessa sorte.
I pesci più piccoli  venivano puliti direttamente  sul mare. Ci sedevamo sulla “conchiglia”  e iniziavamo  il lavoro. Lavaggio superficiale, squamatura, estrazione delle interiora che venivano buttate subito  in  acqua  per assistere     a uno spettacolo unico. Centinaia e centinaia  di piccoli pesci coloratissimi  salivano   in superficie    per  contendersi  quegli scarti.
Dopo qualche minuto il mare era più pulito di prima.
Mossa successiva:  eliminare  le pinne dorsali,  caudali, pettorali e addominali.  Ultima fatica: utilizzando un comune scolapasta si lavava    più  volte  il pesce immergendolo nel mare, si sollevava e si faceva uscire l’acqua dai fori.
Diversamente  si  tratta il calamaro. Si  stacca  la parte superiore  (ciuffo). Si toglie  l’occhio, si sfila  quella specie di membrana  colorata esterna  ( quando il pesce è fresco viene via facilmente),    si svuota la parte  inferiore a forma di sacca  avendo l’accortezza di estrarre  la lisca  interna  di  cartilagine trasparente.  Se si cuoceva  alla griglia era già pronto; volendo fare una frittura si tagliava  (sul  tagliere)  a forma di   anelli  ,   s’infarinava e  giù in padella con olio  bollente. Oppure volendo fare  una buona    insalata di mare  assieme a gamberetti ,   piccoli polipetti ,  qualche pezzettino di  polpa di astice (  che lusso ),  molluschi a piacere olio  limone e prezzemolo.

IL POLIPO SUICIDA ?  

Un giorno mentre pulivo un bel calamaro, bello tosto, forse attratto dal bocconcino,   vedo un polipo  schizzare  dal fondo del mare  a  velocità supersonica e  fermarsi in superficie  vicino la mia mano.    Non essendo attrezzato e non  sapendo  come fare  per  catturarlo, con l’altra mano  ho immerso in mare  il tagliere  sotto i suoi  tentacoli  cercando  con una mossa del polso   di    buttarlo sullo scoglio.
Il polipo “sembrava”    un aspirante suicida ma mica era scemo.    Andato a finire  sullo scoglio  vicino l’acqua    si è immerso e  se l’è squagliata, lasciandomi  di sasso.
Quell’ anno ci fu l’investitura dello    “scoglio La Delfa”.
Il “direttore”  l’anno successivo si è presentato  con una targhetta in plastica sulla quale aveva fatto incidere “Scoglio La Delfa”  che ha attaccato  su una parete sovrastante.  Secondo lui per diritto di usucapione.

RIPOSO 

La seconda parte del pomeriggio, dopo la siesta e  l’ennesimo bagno,  prima dell’imbrunire,  cercavamo di rilassarci.
Altro che rilassamento!  Il direttore suonava la carica e c’era l’obbligo di presentarsi per iniziare a giocare  interminabili partite a carte. Il nostro passatempo preferito.  L’accanimento   e la tensione  salivano al massimo. Non esistevano parentele e/o amicizie .   Facevano   gola  le “lirette” del piatto. Giocavamo a  “Carioca” che   allora  imperversava a Catania . Non so  dopo.
Ci  mettevamo comodi   sul terrazzo e  iniziavano  a giocare. Di fronte, oltre la nostra baia, si estendeva una bella  spiaggia semicircolare  ( ne parlerò nella seconda parte)  di sabbia dorata che finiva   con una  lingua di terra  protesa verso il mare dove  tutte le  sere  si  appostava  un semovente del nostro esercito munito di una grande  antenna parabolica.   Sostava fino al mattino e dopo si ritirava.  
Nel frattempo sul mare alla  distanza  di circa un miglio iniziava a incrociare   una corvetta della nostra Marina militare che pattugliava l’isola.
Era   il tempo dei famosi missili , caduti vicino l’isola, di cui il colonnello Gheddafi ci aveva gratificato.
A una certa ora si cominciava ad aver fame. Si smetteva di giocare,  per riprendere dopo,  e  iniziava  la preparazione della cena.
I fuochisti, e gli “aiuti”  in antagonismo tra di loro a chi era più bravo e più svelto  si davano da fare per  accendere i fuochi  e  preparare la brace ( mai fiamma viva)  che si otteneva  con la combustione di  carbonella di legna e/o  dei cosiddetti “sarmenti”  ottenuti con gli arbusti  delle nostre  viti  quando si potavano. Le graticole erano due.
Era un compito impegnativo curare al meglio  la  “grigliata”. I  pesci  normalmente erano di quatto/cinque specie e  ognuna necessitava di  particolari cure.  Si spennellavano, ogni tanto,   con un ciuffo formato  di rametti di rosmarino intinto nell’olio extra vergine di oliva. Trascorso il tempo di cottura  l’assaggio ( che   veniva ripetuto più volte,   per essere più “sicuri”,  )  era  riservato solo ai  capi fuochisti  che decidevano se    era il momento  di servire la   cena.  
Grandi piatti  ovali  di portata  e via a tavola. Qualche anima pia aveva preparato  in precedenza “u salamarigghiu”  (  salmoriglio)   che serviva a condire il pesce. Olio, succo di limone, sale e prezzemolo tritato.
A volte si allestiva  una sola  grigliata  perché il direttore, era la sua specialità,   aveva preparato in precedenza  una bella zuppa di pesce o un bel piatto di spaghetti in brodetto, sempre di pesce. In alternativa  Saro preparava  una bella (buona più che bella)  insalata di mare (vedi sopra) . Oppure  una montagna di    “frittura”.
Da qui  iniziava la grande “abbuffata”. Ci si arrangiava con tutti i mezzi, non escluse le mani . Si mesceva il  vino del Conte… senza parsimonia  e via. Dopo:   frutta e  dolci a volontà. Si completava con il gelato.
Ricordo che una sera avevamo appena  iniziato a mangiare  quando    ci è venuto a trovare un pescatore nostro amico che abitava  nei dintorni. Era accompagnato dal figlio. Ci disse: andiamo   a pesca di calamari  nelle vicinanze . Lo pregammo di riservare per noi   tutto  quello che avrebbe pescato. 
Fu una pessima idea. Dopo meno di 40 minuti  si è presentato  con una cassetta  piena  di circa sette chili di calamari. Erano ancora vivi , si dimenavano  e al   buio emanavano una luce   fosforescente.
Poiché   ci eravamo impegnati  abbiamo fatto onore alla parola data e abbiamo  pagato  il dovuto. Ricordo.   Un costo di circa   10.000 delle nostre  vecchie care  lirette.
A ripensarci bene oggi mi viene da ridere (  meglio,  da piangere ) .
Lo stesso pesce  -  mare “ nostrum “  -   no Oceano Atlantico,  Pacifico o  Indiano, oggi,   lo  avremmo pagato   non meno di  180 Euro , pari a  Lire 348.528. Dopo  meno di   20 anni ,  35 (trentacinque ) volte di più.
L’ amico pescatore, su nostra richiesta , ci ha fatto il favore di conservare  il pesce nel suo ampio frigorifero, per consumarlo successivamente.  

FINITA LA FESTA.   SI RIENTRA. 

L’ultima sera dopo una cena luculliana  in cui si dava  fondo a tutte le riserve: pesce, dolci, vino, marsala etc. Saro faceva i conti. Tutto sommato rispetto a quello che avevamo mangiato, bevuto  etc. la cifra,  pro capite, era abbastanza contenuta e molto modesta.  Direi  con una espressione prettamente sicula  “Tuttu  santu e binirittu”. (tutto santo e benedetto).
L’indomani  partenza.   In aereo  i nordici  che accompagnavamo in aeroporto.  Un DC9 dell’ A.T.I. era in servizio  Palermo / Lampedusa e Ritorno,  ogni giorno, con comode coincidenze  da e   per  le città   del nord.
Per noi rientro con il traghetto.
Ultima visita alla zia Angelina  che, nel frattempo, aveva preparato  e confezionato, con ghiaccio secco, per conservarsi  meglio,  un  ”florilegio” ( non raccolta di brani musicali  scelti ) ma  di   pesci pescati nella notte.
Il grosso pacco lo  affidavamo   al nostromo della nave  che ci consentiva di tenerlo  in frigo fino all’arrivo.
Mi sento obbligato a  mettere la parola  FINE. Sebbene ci sarebbe ancora molto da raccontare. Ma tant’è .  Dobbiamo chiudere.
C’è però un ultimo  gustoso episodio che  ci ha lasciato   gradevolmente stupiti ,   che  non posso “ sottacere”.    Riguarda un gabbiano.   

IL GABBIANO FENOMENO 

Avevamo  comprato, prima di partire,  due belle pagnotte di pane di grano duro da mangiare durante il viaggio di ritorno.  Per gustarlo meglio  avevamo deciso di mangiarlo  “schittu” ( senza  companatico ).
Dopo la partenza , seduti a poppa, pronti a mangiare  abbiamo notato che un  bel   gabbiano  seguiva la nave a una distanza di circa   cinquanta  metri.  Le due  grosse  eliche alimentate dai  due potenti motori  diesel  lasciavano sul retro della nave   una scia di schiuma bianca  molto intensa e compatta.  Abbiamo voluto sfidare il gabbiano lanciando un pezzetto di pane in mezzo alla schiuma. Con nostra grande sorpresa il gabbiano,  senza esitazione,  in una frazione di secondo,  individuato  dall’alto   il    boccone    si lanciò    giù  come un falco  in mezzo alla schiuma, lo afferrò  e lo mangiò. 
Ci ha seguito fino a  Linosa .  Ovviamente  noi di quel pane non ne abbiamo mangiato nemmeno un pezzettino. Lo spettacolo era troppo bello.
Arrivo a Catania.
Giovanna ci  faceva trovare , per disintossicarci,   una montagna di verdure (cotte e crude). Nei giorni successivi ( non tanti ) si mangiavano minestroni, brodini e pastine.

FINE PRIMA PARTE                                     

P.S. Mi avete mai sentito nominare la parola carne?  

In questa PRIMA PARTE ho tralasciato volutamente di descrivere  la parte  “ludica” della vacanza:  gite in barca,  escursioni, periplo dell’isola,  visite a luoghi  particolari,   non ultima l’Isola dei conigli   etc.    Mi riservo di farlo nella

SECONDA PARTE

Dove entrano in ballo i  SIGNORI.

Brescia, primavera 2014

ROSARIO LA DELFA