VIRUS
terza parte
Da LABIRINTI di
Fortuna Della Porta
Dalla camera del corridoio
sulla sinistra, Daniele si era svegliato chiamando la
mamma sempre più indispettito. Saltellando nella culla,
azionava un sonaglio. Fabio lo vide come se gli fosse
davanti coi quattro incisivi luccicanti, i radi capelli
come fibre di seta e provò una stretta alla gola, per un
istante incerto che fosse Clara alla fine ad avere
ragione e che si stesse comportando da sconsiderato.
Persino i suoi aiutanti erano scappati come inseguiti
dal fuoco. Alle prime avvisaglie del morbo si erano
dileguati quasi subito anche loro che aveva trattato
sempre come consanguinei.
Andò immediatamente a prendere in braccio il bambino,
per sfuggire ai singhiozzi di Clara. D'un tratto anche
quella sera ebbe fame,
ma
intorno non percepì il solito odore di cucina, la tavola
non era apparecchiata.
Si rese conto che ancora una volta si era distratto su
una questione marginale mentre era sul punto di decidere
il bene della sua famiglia. Un fenomeno che si andava
intensificando. La mente preferiva vagolare nei
dettagli.
-Vengo, gridò in ritardo Clara rivolta al piccino e,
entrata anche lei nella penombra fosforescente della
camera, glielo strappò dalle
braccia dopo che si era asciugate le orbite con le palme
aperte.
-Dammi qua, non lo toccare.
Un'ora dopo, a letto, Fabio aveva di nuovo cercato di
calmarla. Con un filo di voce aveva iniziato a spiegarle
che nel loro quartiere abitato da gente agiata erano
partiti quasi tutti e pertanto era scemato il pericolo
di un contagio. Di cosa si preoccupava? Al contrario,
disse, tutte le palazzine estive e le villette a schiera
di S. Marinella erano state prese d'assalto ed era
presente in quel momento più gente al mare che in città.
Non ci aveva pensato?
-Al sicuro? mormorò incautamente poco dopo come se
pensasse ad alta voce. Su Marte, lì sì che si starebbe
al sicuro.
Mordendosi la lingua cercò di rimediare, girandosi su un
fianco verso di lei.
Osservò l'omero come una mela, la bretella di sbieco del
reggiseno slacciato, che attraversava la scollatura
della camicia da notte. Un odore di lanolina e talco
impregnava la sua pelle al pari di quella di Daniele.
Passandole l'indice intorno alle labbra provò a
raccontarle che sull'intero perimetro della capitale era
stato creato un cordone sanitario che impediva la
circolazione indiscriminata e, infatti, chi usciva,
restava irrimediabilmente di fuori. L'esercito si
occupava degli approvvigionamenti, ma solo di generi
soggetti alla cottura e tanti provvedimenti, insieme
alla fuga repentina dei due terzi almeno della
popolazione, rendevano la capitale uno dei posti al
momento più tutelati.
Pura matematica.
Sua moglie non cambiò espressione come avesse la mente
altrove.
Era come parlare a un sordo e quindi poco dopo smise pur
continuando a ricordare gli eventi delle ultimi tempi,
girato su un
fianco, il naso a pochi centimetri dalle spalle di
Clara.
Nei primi giorni dell'epidemia quando non si era reso
conto della gravità della situazione era andato col tram
19 e poi col 3 a Trastevere, perché non amava scendere
nel ventre della terra e attraversarne i cunicoli in
metropolitana, per verificare come stessero reagendo i
suoi genitori allo strombazzare dei telegiornali e a
porta S. Paolo aveva notato la prima guardia armata, che
usava dei marchingegni elettronici per controllare a
distanza la temperatura corporea e di tanto in tanto
lanciava sui passanti una cordicella di raggi rossi che
in un secondo fornivano sul display la risposta. A quel
punto ammise che si era impressionato.
Sua madre sembrava sull'orlo di una crisi isterica e
aveva ridotto il cassettone della camera da letto ad
altare con candeline accese con tutte le immagini sacre
in bella vista. Entrato in cucina per prendere in piedi
il caffè, notò un cesto stracolmo di cipolle bianche e
rosse.
-Non ti sembrano troppe? e lei lo aveva guardato
scuotendo la testa come se fosse sorpresa della sua
ignoranza:
-Niente affatto. Hanno eccellenti proprietà antibiotiche
e antivirali.
Fabio ragionò che ognuno si proteggeva a suo modo, molti
si affidavano alla superstizione, a pratiche magiche, ad
amuleti, a serti di
aglio attaccati su aperture e spiragli, come si faceva
nel medioevo per tenere fuori dalla propria casa le
streghe. Atteggiamenti irrazionali suggeriti dalla
paura.
Con le imposte ben accostate, le tende raccolte, anche
suo padre, influenzato dalla palese nervosismo di lei,
era inquieto nella
semioscurità. Continuava ad andare avanti e indietro,
portandosi dietro la gamba malata con l'aiuto del
bastone. Suo padre lo aveva guardato dalla sua faccia
segnata dalle profonde cicatrici dell'acne e orami dalle
rughe con degli occhi enormi senza fiatare, ma chiedendo
in qualche modo aiuto.
Avevano avuto il potere di sconvolgere anche lui
-Ce la faremo. Te lo giuro, mormorò nell'ellissi
dell'orecchio di Clara, come aveva detto anche ai suoi
genitori, affondando nei capelli crespi e neri, tipici
di un'etnia diversa e che lei disciplinava di giorno in
un nodo per non averli intorno alla testa come una
criniera.
Voltandosi e di nuovo ritornando a girarsi verso il muro
per sottrarsi quando lo sentì eccitato, Clara non aveva
commentato e l'indomani quando era andato via non si era
neanche alzata a prendere il caffè con lui, come faceva
da sempre, nei tazzoni adatti ai caffè sciacquati che si
bevono in altri paesi, con giraffe e orsetti
dappertutto. Erano un ricordo del viaggio di nozze.
Quando Fabio il giorno seguente aveva cercato di
spiegare alla mamma che, nonostante l'invito, sarebbero
rimasti in città l'aveva
sentita singhiozzare. Ormai non sapeva nulla dei suoi
genitori dal giorno che telefoni e telefonini erano
morti.
Nell'accavallarsi dei pensieri Fabio percorse un tratto
di strada senza accorgersene, come quando guidando ci si
trova a una distanza diversa da quella percorsa in piena
coscienza. All'altezza del distributore di Virus
benzina, mettendo un passo nella scia dell'altro, Fabio
capì di barcollare e trasse un respiro profondo muovendo
il diaframma. Gli sembrava di trovarsi sempre allo
stesso punto. Numerose stelle: le più lontane dalla
luna, crepitavano nell'aria pulita. Quando le forze si
affievolirono Fabio si rese conto di non aver mangiato
dalla prima mattina. Sperava che Clara fosse
miracolosamente riuscita a preparare qualcosa di meglio
del solito piatto di spaghetti. Poteva anche chiedere
qualche razione di proteine al comando dei carabinieri,
se doveva continuare a sfornare pane per la comunità. Lo
avrebbe fatto appena possibile.
Avevano finora ricevuto solo le pappine e gli
omogeneizzati per Daniele. Alla richiesta di pannolini
usa e getta per il piccolo e per sé,
l'addetto si era rivolto a Clara a bocca aperta come
fosse stupida: -Non le sembra di pretendere
troppo?
Accanto ad una delle fontanelle col cannello curvo e
bucato in cima bevve un sorso di quell'acqua sapida e
gelata che nessuna città di pianura a suo parere
possedeva. Quando beveva così come un bambino poteva
benissimo chiudere gli occhi e trasferirsi un istante su
un ghiacciaio dalle nevi azzurre. In verità gli vennero
in mente quelli della Patagonia, fedelmente di quel
colore, sul confine del mondo.
Si bagnò anche la faccia a più riprese.
Attraversò la strada e notò che sul portone del palazzo
attaccato al suo era stata dipinta una enorme X a
vernice rossa, che indicava un contagio e forse una
morte. Ebbe subito una visione. L'indomani sarebbero
comparse le squadre bardate come marziani con
l'armamentario della disinfezione e quell'odore pungente
di medicinale si sarebbe sparso ovunque e chissà come
l'avrebbe presa Clara.
Gli bruciò la gola.
Distolse allora lo sguardo e in due balzi entrò
nell'androne del suo palazzo fermandosi accanto
all'ascensore e domandandosi come
sempre se fosse prudente farsi portare da un mezzo che
lo poteva sigillare tra un piano e l'altro per un tempo
indeterminato, magari fino all'inedia, giacché poteva
mancare d'improvviso la corrente elettrica o il motore
bloccarsi per un guasto. Ma non avrebbe avuto la forza
di scalare cinque piani fino a casa sua senza rimanere a
mezza strada. Le gambe si piegavano.
Fortuna Della Porta
Continua
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