VIRUS
seconda parte
Da LABIRINTI di
Fortuna Della Porta
A poco a
poco tutti i servizi principali si erano interrotti.
Allora incrociava le dita ogni mattina svegliandosi,
sperando che continuasse a funzionare almeno la
distribuzione dell'elettricità per i
termosifoni, l'acqua calda, soprattutto per il forno che
permetteva ancora di fare il pane. Un auspicio
soprattutto per quei quartieri che erano rimasti alla
congestione usuale.
Non tutti erano abbastanza fortunati da possedere doppie
e triple case dove scappare.
Qualche giorno dopo non aveva aperto neanche l'ufficio
postale, dove si era recato a ritirare un pacco per
conto di Clara. Aveva picchiato senza senso sul vetro
con le nocche come se si aspettasse un ripensamento.
Alla stazione degli autobus di piazza Mancini, sin dal
primo giorno dell'esodo, non trovò a bivaccare sui
binari neanche il tram numero 2, in giro perpetuo fino a
piazzale Flaminio e ritorno. Guardò a sinistra se ne
arrivasse uno, per mera curiosità, perché gli bastava
attraversare il ponte per giungere a casa, ma non ne
vide comparire la sagoma verde marcio. Il piazzale
brulicava di gente che si muoveva come se non sapesse
dove andare. Di tanto in tanto lo spintonavano da
qualche parte.
Il traffico urbano già in quelle ore cominciava a dare
qualche problema. Persisteva un rallentamento, di tanto
in tanto cambiato in
ingorgo, sulla tangenziale est dalla Salaria fin dopo il
Verano, fino all'autostrada. Lo aveva sentito in
televisione.
Faceva fatica a raccapezzarsi. Era meravigliato che si
potesse reagire in maniera così uniforme e irrazionale.
Nessuno sembrava avere un piano.
Poco dopo passò dalla perplessità alla vera e propria
angoscia. Sui sampietrini sghembi di Ponte Milvio,
appena prima della torretta,
incontrò appoggiato al parapetto Matteo, col quale
faceva una partita a calcetto un paio di domeniche al
mese, con l'espressione attonita. Il cappotto
stazzonato, col bavero alzato, pendeva da un lato. Una
sigaretta ciondolava tra l'indice e il medio con un cono
di cenere di parecchi centimetri sotto un filo di fumo
d'argento. Accorgendosi che era perso nel vuoto e
scuoteva la testa a sussulti, si stupì che fosse ubriaco
a quell'ora, lui che si limitava in genere a un fondo di
bicchiere, fino a che senza neanche rispondere al saluto
e senza cambiare posizione Matteo mormorò:
-Fabio, tutti morti.
Corse via senza una parola, col cuore in gola. Vide
distintamente il viso di Orazio, il figlio
quattordicenne di Matteo, la sua compagna, una polacca
coi colori del mare; ricordò di seguito alcuni suoi
amici che quasi nello stesso periodo si erano ammalati
ed erano deceduti nel giro di qualche giorno. Poi Fabio
aveva perso il conto delle perdite e all'improvviso
aveva preferito non sapere. Ora palpitava solo per la
salute dei suoi familiari, Clara, i genitori e il bimbo
in special modo,
se stesso, finora tutti sani, e quindi doveva sforzarsi
di restare concentrato su questo per non mettersi a
sragionare come sembravano fare tutti. Intorno la gente
si mostrava capace solo di abbandonarsi al panico.
Provò a canticchiare mentre cominciavano a ronzargli le
orecchie.
Quello stesso giorno, rientrando già frastornato, due
operai che stavano tinteggiando l'appartamento al piano
di sopra lo avevano quasi travolto sulle scale:
-Lei non scappa?
Proprio in quel punto sua madre lo aveva chiamato sul
telefonino.
Appariva risollevata mentre gli comunicava che lo
aspettava con Clara e il bambino nella loro casa estiva
di Santa Marinella. Lei e suo padre erano appena
arrivati e stavano togliendo le sdraio e i tavolini dal
soggiorno per riportarli in terrazza. Occorreva anche
spolverare e lavare le stoviglie, ma al loro arrivo
avrebbero trovato anche la loro camera sistemata.
Fabio considerò che non avevano telefonato prima di
partire e non erano passati nemmeno a salutare Daniele e
a domandare il suo parere sul da farsi, ma a questo
proposito si rese conto che i suoi avrebbero dovuto
attraversare la città, dalla Piramide al lungotevere e
poi tutto il resto in mezzo al traffico sempre più
disordinato.
Avevano deciso per il meglio.
Immaginò sua madre al volante, col petto quasi a toccare
lo sterzo, con la cintura che le stringeva la giugulare
e poi l'ascella, tanto era bassa, lentissima e addossata
alla linea bianca per tutto il viaggio.
Forse erano partiti in nottata.
-Vedremo, esitò nel microfono, con un filo di voce.
Nel medesimo istante, mentre chiudeva in fretta la
conversazione e saliva lentamente un gradino dietro
l'altro concentrato sulle mosse più giuste, perché
proprio non voleva agire avventatamente come gli altri,
un carabiniere lo aveva raggiunto sulle scale con un
compagno ossuto e gli toccava la spalla destra con la
punta delle dita congiunte. Gli parve che gli avesse
letto il pensiero.
-Dove vuole andare? Lei resta qui, mi creda.
-Come sarebbe? si ribellò. Non sarei libero di andare
dove voglio, come fanno tutti?
Aprendo la parola su una chiostra di denti arrugginiti,
l'altro serissimo disse no, penso proprio di no e tirò
dall'interno del risvolto destro della divisa un
foglietto piegato in tre e aggiunse passandosi la lingua
sulle labbra gonfie:
-Veda lei. Per prendere il documento si era slacciato
l'affibbiatura di velcro del giubbetto di protezione che
indossava al di sopra della
giacca.
-Come sarebbe? ripeté Fabio. Ho letto bene? Una
precettazione!
Per quello che valevano al momento le carte se ne
sarebbe infischiato se non avesse cominciato a
riflettere che non poteva andare da nessuna parte. Se
non ci fosse stato Daniele, non avrebbe deciso in quel
verso e neppure con la medesima sollecitudine. Anche i
figli degli altri oramai gli appartenevano e avevano
bisogno del pane del suo forno. Nello scompiglio
qualcuno doveva mantenersi abbastanza lucido da
assicurare i servizi essenziali. Qualcuno con
sufficiente senso civico doveva pensarci.
Gli venne incontro il parato lavabile a mazzetti di
fiori dell'androne e della scala come fosse stato appena
appiccicato al suo posto. Da alcuni giorni, notava delle
cose mai notate e senza una ragione tutte lo avvilivano.
Quella sera, mentre una luna di ovatta ricompariva
dietro le spalle di Clara nell'angolo in basso della
finestra Fabio rimise gli occhi in quelli di Clara e
implorò:
-Amore, non piangere. A che serve?
Lei insistette con la voce aspra:
-Andiamocene come gli altri. Oppure pretendo di essere
vaccinata…almeno lui, disse indicando la porta e
riferendosi a Daniele.
Fabio le spiegò per l'ennesima volta che non si trovava
vaccino da nessuna parte, neanche a pagarlo un arto.
Nessuno era preparato a fronteggiare un virus che era
dormiente nei laboratori da mezzo secolo
almeno e che si considerava debellato.
Fortuna Della Porta
Continua sul prossimo numero di Piazza Scala News
Piazza Scala News - ottobre 2010