VIRUS
settima parte
Senza pensarci lo raggiunse. Gli tese un fazzolettino di carta e gli chiese
il nome e poi chi l'avesse portato. Il piccolo piagnucolando rispose Mario e
di nuovo Mario e poi un tale sbucò dal mucchio e lo prese in braccio. Le
domande si fermarono nei denti. D'improvviso avrebbe voluto sapere tutto di
lui. Fabio valutò che non era in grado di sgomitare nella ressa.
Cominciava a sudare.
Proprio in quel momento una voce deformata da un megafono sovrastò la
cacofonia. Ai margine della confusione, anche Fabio sentì distintamente e
mandò giù la saliva che con la nausea gli allagava la bocca. La
comunicazione gli parve troppo laconica rispetto alla sua preoccupazione.
Spiegava semplicemente che da tre giorni al S. Pietro non si effettuavano
ricoveri per mancanza di letti, non era concesso di assistere i malati in
isolamento e neanche gli altri per motivi precauzionali e perciò tornassero
a casa. Stavano in ogni modo per appendere l'elenco dei ricoverati, con una
piccola croce accanto ai defunti.
- Non c'è altro, mi dispiace.
Microscopiche bollicine di orrore comparvero sulla fronte di Fabio subito
asciugate dall'aria. Era deluso, ma in fondo cosa si aspettava?
Non c'era motivo che lo chiamassero in disparte per mettergli in mano il
referto medico dei suoi familiari.
La medesima voce nasale domandò se qualcuno fosse disposto a leggere gli
elenchi per tutti e poco dopo le parole di timbro appena diverso
appartenevano ad altra persona, di certo molto più giovane. A Fabio sembrò
che la incitassero a sbrigarsi.
Anche da quella distanza, Fabio afferrava i suoni distintamente. Del resto
non appena era cominciata l'amplificazione, oltre a tacere si erano
immobilizzati tutti. Braccia pendenti, capo lievemente sollevato: la folla
ora pareva un blocco di marmo.
- Apicella M., Attanasio S. defunto, Azuleia R…defunto…
Né Clara né Daniele furono nominati. Fabio attese tuttavia che la folla si
diradasse per andare a controllare gli elenchi e sincerarsi che non ci fosse
stato un salto nella lettura. Molti esaminarono gli elenchi con lo stesso
puntiglio, prima di disperdersi sulla strada nei due sensi.
Qualcuno si allontanava in un gruppo di due o tre. Dovevano essere famiglie
perché con gli estranei era fuor di luogo una simile intimità.
La paura isolava, pensò Fabio. Metteva fuori per lo più gli impulsi naturali
di autoprotezione e di sospetto. Aveva raccolto storie di figli che avevano
denunciato la malattia dei genitori per poi abbandonarne il capezzale e di
un alto prelato che si era rifiutato all'estrema unzione all'ospedale S.
Spirito, adiacente al Vaticano.
Eppure la gente per la maggior parte sostava ancora nei paraggi. Come
rassegnata si era aperta lungo il ciglio della strada. Seduta sull'orlo del
marciapiede, proprio di fronte all'ingresso dell'ospedale, una donna anziana
singhiozzava, una poco lontano vomitava mentre il vento teso
turbinava tra i cipressi e la vegetazione compressa dei caseggiati
adiacenti, scompigliandole la gonna sul retro. Un giovane uomo in cui
specchiò se stesso reggeva sottobraccio un tale in età avanzata che
sventolava un fazzoletto, forse si trattava del padre. Avevano la stessa
faccia da mela con occhi, bocca e naso, aggrumati nel mezzo.
Accorgendosi di essere di nuovo finito in ragionamenti non attinenti, Fabio
se la prese con se stesso e tuttavia come si faceva, ammise, a sorvolare su
tanta sofferenza? Gli pareva di condividere lo stato d'animo e la sorte con
tutti quelli. Li sentiva compagni, vicini vicini.
Per la prima volta guardando in alto biascicò:
- Dove sei? Se ci sei, batti un colpo.
Quando si avvicinò ai vetri della guardiola per scorrere l'elenco sparso su
una decina di fogli lì appiccicati da un taglio di scotch, intorno a lui non
c'era oramai più nessuno. Dentro scorse solo due poliziotti, riparati nella
guardiola di vetro, appena prima della sbarra, i quali parlottavano a
braccia conserte. Non aveva elementi per definirne il ruolo, se non la
circostanza che esibissero sbilanciato sul corpetto imbottito il solito
fucile mitragliatore.
Nel medesimo istante si rimproverò nuovamente di perder tempo appresso a
pensieri che non lo avrebbero portato a trovare Daniele.
Calcolò in quale altro ospedale potevano trovarsi ricoverati. La città era
piena di ospedali nei quali non era mai entrato. Ne conosceva alcuni di
nome, qualcun altro lo incontrava nelle sue rotte urbane, in macchina o in
taxi, ma ignorava l'ubicazione della maggior parte. Gli tornò in mente il S.
Spirito e di nuovo disegnò il percorso davanti a sé, spingendo e
sbilanciandosi sui pedali tanto che la bicicletta rischiava di perdere
l'aderenza ora da una parte ora dall'altra.
All'altezza di via Fabbroni inaspettatamente andò via la luce. Le lampade
sugli alti steli dei piloni mostrarono ancora un istante il filamento
incandescente e si smorzarono. In realtà vedeva anche
meglio al chiarore della luna piena. Con la sua fosforescenza, la porcellana
della luna cadeva sulle foglie, tagliava la strada, riverberava
sull'asfalto. L'aria era pulitissima, di ghiaccio.
Difatti riuscì ad individuare un drappello di ombre, una decina forse, che
rasentava i muri, risalendo i fianchi della collina Fleming. Erano muniti di
spranghe. Alla cintura del più alto penzolava una catena che l'uomo reggeva
perché il metallo non ballonzolasse.
Gli avvoltoi credevano di essere al riparo nell'oscurità, ma Fabio con
l'illuminazione efficiente non li avrebbe visti affatto. Si bloccò dietro un
pilone per fermare il cigolare della catena, perché non lo
scoprissero e decidessero di divertirsi.
-Chi se ne frega, mormorò d'impulso per pentirsene immediatamente.
Non desiderava essere fatto a pezzi.
Fortuna Della Porta
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