LE GUARDIE MUNICIPALI  da CARMELA CUDA di Lorenzo Milanesi (Rubbettino Editore)

L'incendio

S. Anna è una frazioncina di poche anime a qualche chilometro dal nostro paese, dal quale però amministrativamente non di-pende. Proprio per questo non si sa bene per quale altro motivo il pomeriggio di un certo giorno i due vi si fossero diretti.
Fatto sta che, superate le ultime case, si sedettero all'ombra di un ulivo (era giugno avanzato e dalle nostre parti il caldo si fa già sentire), si tolsero il cappello e, deposto il bastone, annusarono una presa di tabacco da fiuto.
Una brezza leggera spingeva dalla Piana un vago sapore di salso, frammisto al sottile profumo degli aranceti lontani.
A Ntonicchio il tabacco non fece alcun effetto. Ne era abiuato, tant'è che i peli dei baffi, proprio sotto il naso, avevano asl colore giallo cupo tipico del fiutatore. A don Ferdinandeju invece sì. Egli accettò incautamente la presa, che non seppe dosare, e cominciò a starnutire con tale frequenza e tanto fragore da attirare la premurosa attenzione di una contadina del nostro paese sbucata in quell'istante, con un paniere in testa, dalla stradetta che porta, dopo S. Anna appunto, verso Terramala.
Era una contadina sui quarantanni, di bell'aspetto, quasi altera nel portamento, che le fatiche, tuttavia, e le numerose gravidanze facevano apparire più avanti della sua età.
Ora, bisogna sapere che parecchi nostri compaesani possie-dono ancora un pezzo di terra in questa contrada che, come detto, appartiene a un Comune diverso dal nostro, dai limiti del quale lo separa una discreta distanza.
I motivi di questo spingersi al di fuori dei propri confini si possono intuire: la vasta zona, fortemente frammentata, è coltiata per intero a vigneti, a differenza del territorio circostante che è coperto da fitta vegetazione di ulivi.
Essa gode di favorevole esposizione al sole che è condizione indispensabile alla rigogliosa crescita delle piante e alla matura-zione dei grappoli. Per di più il terreno è di straordinaria fertilità e facilmente raggiungibile.
Queste vantaggiose caratteristiche non potevano sfuggire a quanti, anche del nostro paese, ambirono nel tempo ad assicurarsi ortaggi e primizie in abbondanza, ma soprattutto un buon bicchiere di vino. Che la destinazione della zona fosse a vigneti fin da tempi remoti, lo attesta l'esistenza di monumentali palmenti, dai muri antichissimi di creta locale, che diffondono attorno, in ogni stagione, il profumo intenso e quasi melassato delle vinacce.
La donna dunque si avvicinò ai due, depose il paniere e chie-se a don Ferdinandeju, sulle cui spalle Ntonicchio continuava a battere la mano ripetendo «fora malu, fora malu»:
- «Vi sentiti bonu? Voliti mi vi pigghiu 'mpocu d'acqua?».(Vi sentite bene? Volete che vada a prendervi dell'acqua?»).
Don Ferdinandeju non dava segni di smettere, anzi dopo gli starnuti cominciò a tossire tanto nervosamente che dovette spostare il fazzoletto dal naso agli occhi per tamponare le lacrime che gocciolavano abbondanti sui calzoni.
L'unico segnale per la donna, non potendolo con la voce, fu con la mano aperta tirata su e giù per pregarla di attendere che l'attacco di tosse si calmasse.
Ntonicchio, per nulla disorientato da quanto stava accadendo, mostrando anzi di esservi abituato visto che continuava svo-gliatamente a battergli la mano sulle spalle, allungò lo sguardo dalla parte del paniere.
Quando, fra una foglia di vite e l'altra, trattenute da esili fili di ginestra, intravide che esso era colmo di fichi melanzana («schiavi», come li chiamiamo in dialetto), cessò fulmineamente di battere la mano sulle spalle di don Ferdinandeju, ma senza ritrarla.
Si piegò anzi verso di lui a simulare un gesto di soccorso rav-vicinato ma in effetti per non farsi notare dalla donna e, facendo pressione con le sole dita perché quello prestasse la massima attenzione, gli strizzò l'occhio e, col solo movimento dello sguardo, gli indicò il paniere.
La pressione delle dita voleva significare, nel loro misterioso linguaggio, «venitemi dietro, assecondatemi in quello che sto per dire o fare».
Don Ferdinandeju capì, come al solito, in un lampo e, cer-cando di guadagnare tempo a beneficio del piano che sicura-mente il suo compare stava architettando, anziché accelerare in qualche modo la fine della tosse, ne prolungò la durata con col-petti striduli e ridicoli.
- «Vi carmau?» (V'è calmata?) insistè l'ignara donna, facendo intendere che l'offerta di aiuto rimaneva ancora valida.
- «Si, si. Ora vaiu megghiu. Tabaccu smalidittu» (Sì, sì. Ora sto meglio. Maledetto tabacco) rispose.
Ntonicchio, col capo abbassato, seguiva le mosse della don-na, che rimaneva indecisa se restare o andarsene. Quando però vide che quella stava per avvicinarsi al paniere e che l'intenzione era ormai chiara, venne fuori con una proposta che, sul mo-mento, sembrò ambigua:
- «Chi facimu, don Ferdinandu, 'nei 'u dicimu?» (Cosa dobbiamo fare a questo punto, don Ferdinando, glielo dobbiamo dire?)
Per chi non conosca il nostro dialetto, le lievi sfumature e i significati nascosti nel tono e nelle inflessioni della voce, può pensare che si fosse trattato di una frasetta buttata lì per caso, con intento magari riempitivo.
Per la donna invece, che sfumature e toni e inflessioni conosceva benissimo, fu come uno scoppio improvviso. Essa ritrasse il braccio ormai proteso verso il paniere, indecisa fra il sospetto e l'apprensione, e s'irrigidì.
Girò lo sguardo a destra e a manca sperando che Ntonicchio si fosse rivolto all'altro con l'intenzione di parlare a un'altra per-sona, ma intorno non c'era anima viva. Fissò quindi lo sguardo indagatore su don Ferdinandeju aspettando la sua risposta.
Questi però indugiava, non perché si curasse dello stato d'animo di lei, che non gli interessava minimamente, ma perché vo-leva soppesare bene quale dei due, se il no o il si, potesse risul-tare il più adatto al piano escogitato da Ntonicchio.
Dopo brevissima riflessione escluse decisamente il no perché capì che dopo la negazione le cose sarebbero rimaste come prima. Essi, anzi, avrebbero avuto la seccatura di inventare qualcosa che calmasse la donna e le restituisse la traballante serenità.
Si rizzò nel busto, guadagnò ancora qualche attimo per un'ennesima soffiata del naso, ripose in tasca il fazzoletto e, volgendosi alla donna che lo fissava con gli occhi spiritati e immobili come una statua, trovò la formulazione adatta alle attese di Ntonicchio:
- «Eh! per forza!» sentenziò allargando le braccia.
Tanto bastò perché quella, mettendosi le mani nei capelli, co-minciasse a urlare:
- «Mamma mia, chi ffu? chi succediu? Dicitimi».
- «Cos'è pocu, non vi spaventati» cercava di rincuorarla Ntonicchio.
- «Stativi carma ca tuttu s'aggiusta» (Statevi calma che tutto si aggiusta) mormorava di rincalzo don Ferdinandeju.
- «Ma quale s'aggiusta e s'aggiusta. Dicitimi subbitu subbitu chi succediu prima mi mi veni n'assimpicu» (Ditemi immediatamente cos'è accaduto prima che mi venga una sincope) in-sisteva la donna con le braccia minacciose in avanti.
Ntonicchio prese il toro per le corna, come si dice e, senza dare peso all'atteggiamento aggressivo di lei, trovò il coraggio di dire:
- «'A casa. Pigghiò focu 'a casa. Ora però 'u stannu stutandu» (La casa. Ha preso fuoco la casa. Ora però lo stanno spegnendo).
- «'A casa?» urlò quella con quanta voce avesse in gola. «Mali per mia! Si brusciau 'a casa!» (Oh poveretta me! Si è bruciata la casa ! ) e, abbandonato il paniere al suo destino, scappò verso il paese come una furia strappandosi i capelli dalla disperazione.
L'annuncio tremendo le giunse così improvviso da lasciarla talmente sconvolta che non ebbe il tempo o l'accortezza di sof-fermarsi nemmeno un istante a meditare sulla notoria, scarsa at-tendibilità della fonte.
Ne fu impedita anche dal pensiero che dentro casa potessero esserci i figlioletti. E questo - a distanza di tempo - la giustifica.
La gente di S. Anna si affacciò alle finestre e la domanda «Cos'è successo?» corse dall'uno all'altro senza ricevere risposta. Restava nella mente di tutti, con la legittima, insoddisfatta curiosità, l'immagine di quella donna stravolta e piangente che correva verso chissà quanto grande dolore.
Fortunatamente per lei, superate le ultime case di S. Anna, si imbatté in un compaesano, anch'egli proprietario di un piccolo fondo a Terramala, che si stava recando, a cavalcioni del suo asino, alla vigna, dove avrebbe trascorso la notte per esser pronto l'indomani a urgenti lavori di raschiatura dei solchi.
Era un suo vicino di casa che, le sembrò evidente, era partito dal paese dopo le due guardie.
Trattenne, con la corsa, anche il fiato, nel timore che l'uomo le confermasse il disastro. Ma quello non si sognò minimamente di queste cose, anzi, quasi preoccupato dello stato di lei, le chiese cosa diavolo l'avesse ridotta in quelle condizioni.
Bastò questo per farla uscire dalla prostrazione e poco mancò che le venisse uno svenimento.
Si sedette sul muretto che fiancheggia la strada, tirò un so-spiro profondo e si sentì sollevata.
- «Nenti, nenti» farfugliò con sguardo e voce riconoscente all'uomo «m'avia venuto 'nu bruttu penzeri». (M'era venuto un brutto pensiero).
- «Chi gghiti pensandu..» (Cosa andate pensando...) rispose quello ripartendo, ignaro del piccolo dramma al quale, senza saperlo, aveva posto fine con il solo silenzio.
La donna di lì a poco riprese il cammino verso casa, senza l'affanno di prima e, con la ritrovata serenità, ebbe modo di riflettere sull'accaduto.
Ripensò alle guardie, ai colpi di tosse innaturali e sospetti, all'ostentata, inconsueta sollecitudine di Ntonicchio col capo ricurvo verso il finto sofferente, e finalmente il dubbio che si fosse trattato di una burla, di un tiro di pessimo gusto, irruppe nella sua mente con tutta la carica beffarda.
Era quasi sul punto di tornare dai due ma se ne trattenne. Un altro dubbio ora si accavallò al primo.
Se fra le guardie e l'uomo diretto a Terramala fosse stato pro-prio questo a partire per primo dal paese perché attardatosi, com'era del resto nelle sue abitudini, in qualche osteria?.
Nell'incertezza scelse di procedere a passo spedito per ren-dersi conto al più presto e di persona di come stessero effettivamente le cose.
Incrociò il calesse del fornaio e questi, altro che un cenno di saluto col capo, nulla le disse. Alle prime case, quando la strada concede una discreta vista sul paese, guardò verso il cielo ma non vide fumi d'incendio.
Ora era fra le case e nessuno, di quanti incontrò, si rivolse a lei con parole diverse dal saluto o con gesti e sguardi - verso i quali era attentissima - che potessero tradire significati sospetti. Nulla.
Il sole era ormai dietro la collina e inondava di luce viola l'anfiteatro delle montagne lontane. In paese cominciava a imbrunire. Ormai era sicurissima della beffa.
Nella discesa, dopo la pescheria, da dove si potevano vedere le tegole sonnecchianti dei tetti di molte case, fra le quali anche la sua, essa si sciolse in un pianto dirotto di felicità e corse verso una stradetta nascosta fra due file di case per non farsi notare. Poi si asciugò, volse lo sguardo verso la chiesa di S. Giovanni e, con rapido andare, raggiunse e varcò il portoncino di casa.
Toccò più volte il muro, quasi per accertarsi di qualcosa, del calore, del possesso ritrovato, mentre impegnava le residue energie per portarsi al piano superiore dove si accasciò, disfatta, su una sedia dietro i vetri della finestra.
Da qui scorse il marito impegnato in una partita a carte con gli amici davanti all'osteria e i figlioletti allegri e vocianti che rin-correvano con altri una palla di pezza in mezzo alla strada. Ancora una volta fu sopraffatta dall'emozione.
E le guardie?.
- «Panza mia fatti rituni» (1) esclamarono cinicamente entrambi quando videro la donna scomparire fra le case di S. Anna. Si ritrassero lesti dietro l'ulivo per non farsi notare da sguardi indiscreti e portarono a conclusione la loro pesante burla che consistette - come s'è capito - neh"appropriarsi del paniere e consumarne il contenuto.
E lo fecero con la rapidità e la gioia maliziosa di due bambini che abbiano sottratto la marmellata custodita sotto chiave.
I fichi, per giunta «schiavi» e per giunta in quel periodo dell'anno, sono una primizia e una delizia in assoluto. Se poi si considera che dalle nostre parti, nonostante l'abbondanza, non c'è nessuno che non ne sia ghiotto, al punto da rinunciare, se dovesse scegliere, a frutta altrettanto prelibata, si può capire -se non giustificare - quanta poca o nulla importanza i due avessero dato alle possibili conseguenze della loro imperdonabile trovata.
E tuttavia, da fini conoscitori dell'animo umano, essi sapevano perfettamente, per lunga milizia in questo genere di burle, che l'immensa felicità di constatare il contrario supera abbondantemente il dolore originario e l'abbattimento per un evento drammatico che erroneamente abbiamo creduto ineluttabile o che ci abbia soltanto sfiorati.
Forti di questa persuasione, puntavano poi, come fecero in questa circostanza, sui benefici effetti dello scorrere del tempo. Così, per lungo volgere di giorni e settimane, se ne stettero alla larga dalla donna, dai suoi familiari e dalla sua casa.
Occorre comunque aggiungere, per dovere di completezza, un ultimo dettaglio.
Finito il banchetto, coprirono le bucce con le stesse foglie che prima riparavano i fichi e vi gettarono sopra delle manciate di terra. Poi presero il paniere e lo consegnarono allo stesso uomo diretto a Terramala, sopraggiunto nel frattempo, perché lo appendesse al muro del casale di proprietà della malcapitata.
Firmarono così - non si sa se con maggiore ingenuità o incoscienza - la paternità dell'accaduto, con la delicata preoccupazione finale di non aggiungere il danno alla beffa crudele.

(1) «Rituni» in gergo è una grande rete di spago usata per il trasporto di paglia o fieno che, una volta riempita, assume enorme forma sferica.

     Le guardie municipali                             L'alluce valgo