Seconda puntata

La marcia su Roma - Vigilia

 

Napoli, 24 Ottobre 1922. Dopo lo storico discorso di Benito Mussolini al Teatro San Carlo, migliaia e migliaia di fascisti, deliranti d’entusiasmo, sfociano in Piazza Plebiscito, per salutare ancora il Capo e giurargli la loro fedeltà e la loro passione. Italo Balbo, mescolatosi fra la folla, ritrova i camerati dell’Emilia e li invita a

scandire con lui: “Roma! Roma!.
Subito dopo tutto il popolo ripete la grande parola con una voce immensa, vibrante, oceanica. Alla sera, all’Albergo Vesuvio, presenti Balbo, Teruzzi, Bastianini, Michele Bianchi e Storace, viene comunicato da Mussolini il piano della Marcia su Roma.
Il Duce ha guardato negli occhi i fedeli che lo circondano e con mossa rapida del capo pronuncia poche parole, secche, irrevocabili, storiche: “Scatteremo il 28 ottobre”. Balbo, De Vecchi, De Bono, Michele Bianchi formeranno il quadrunvirato che da Perugina, situata in un punto strategico ideale, dirigerà la marcia insurrezionale. Colonne e colonne di Camicie Nere, in pieno assetto di guerra, avanzeranno su Roma dalle Marche, dall’Umbria, dall’Abruzzo, dalla campagna laziale, stringeranno la Città Eterna in un cerchio di ferro, otterranno la resa a discrezione del vecchio, inetto governo e la proclamazione del nuovo.
Le Camicie Nere romane dovranno, ad un segnale, impadronirsi rapidamente e simultaneamente delle stazioni, delle poste, degli uffici statali e comunali, dislocando manipoli veloci ed ardite pattuglie sui punti di più delicata e vitale importanza.
Ordine preciso: evitare anche il minimo scontro con l’esercito. L’esercito è sacro, è il simbolo della Patria vittoriosa e quasi tutti i Fascisti provengono dalle sue file; molti vi appartengono ancora.


N.B. La storia ha poi fatto giustizia di questa propaganda e di questa retorica. Nei mesi e nei giorni precedenti la Marcia su Roma le squadre fasciste avevano messo a ferro e fuoco quasi tutta l’Italia, con azioni di poche decine di squadristi violenti, con la complicità o nell’inerzia assoluta delle forze dell’ordine e delle autorità prefettizie e militari, incendiando e distruggendo sedi di giornali, partiti, associazioni, camere del lavoro ed impadronendosi infine dei Municipi cacciandone le amministrazioni regolarmente elette.
Anche la manifestazione insurrezionale di Napoli prova che l’inerzia delle autorità era assoluta. Molti notabili e uomini politici liberali e conservatori calcolavano di utilizzare il Fascismo per sconfiggere definitamene le sinistre e la stessa Casa regnante ritenne di salvare se stessa e l’ordine costituito lasciando temporaneamente campo libero all’estremismo di destra.
La Marcia su Roma fu sostanzialmente una scampagnata farsesca, con treni speciali messi a disposizione dalle Ferrovie e si arrestò a parecchi chilometri da Roma in attesa di un via libera che sarebbe arrivato senza che fosse partito un colpo, il 28 ottobre da Re Vittorio Emanuele che rifiutò di far intervenire le Forze Armate. Poche compagnie dell’esercito sarebbero bastate per far tornare gli squadristi, poco e male armati e non certo “in completo assetto di guerra” da dove erano partiti, come gli Stati Maggiori ed il governo avevano proposto.
Il Duce, dal canto suo, se n’era rimasto al sicuro a Milano e non si mosse finchè non gli giunse dal Re un telegramma con l’incarico di formare un nuovo governo. E fu l’inizio della dittatura, perfezionata due anni dopo con l’abolizione di ogni opposizione.