Seconda
parte
La mattina seguente ci trova pronti
a partire piuttosto eccitati: la mèta è molto ambita: il lago
Rodolfo.
Attraversiamo vaste pianure dove il sole arroventa tutto ed il
caldo pare tangibile. Soffriamo in allegria.
Improvvisamente il terreno si fa talmente aspro da obbligare le
nostre fuori strada a procedere con il solo guidatore
obbligandoci cosi a scendere a piedi verso il lago in un mare di
pietre vulcaniche, assolutamente nere e tra le quali crescono,
in grandissimo contrasto, delicate piantine colorate a sfida
della calura e di un vento caldissimo che infuria a velocità
fuori misura.
Qui il tempo ha nulla cambiato, tutto è come millenni or sono.
Spettacolo superbo, colori vivissimi da mozza fiato, irreali. La
distesa d’acqua è in continuo movimento sotto la violenza del
vento che, ad ogni sferzata, crea colori nuovi e sempre diversi;
unici punti fermi le due isole , al centro sottolineate dagli
arenili bianchissimi ed animate da silhouettes di grandi
uccelli. Vicino a noi, sulla riva ed a ridosso, flamingos e
pellicani zampettano nell’acqua bassa guardando diffidenti i
nostri obiettivi.
Il lago, di acqua salata, è di origine vulcanica, raggiunge al
centro la profondità di mille e più metri con una superficie di
10.000 kmq.; ospita una ricca fauna ittica con esemplari enormi
oltre a diverse migliaia di coccodrilli cacciati solamente dagli
indigeni per mangiarne la carne, mentre l’inutilità
della pelle, resa ruvida dal salino dell’acqua, ha salvato
questi animali da sicuro sterminio. L’ambiente che circonda il
lago è tra i più aridi e difficili
del Kenia per cui i visitatori sono per la maggioranza biologi
interessati al comportamento della fauna; è possibile anche
incontrare, ma molto raramente, gruppi come il nostro al quale
ben si addice il nostro logo “ TANA 24 – GRUPPO PAZZI 1974 –
KENIA AFRICAN SAFARI – Foto Cine Club Comit.
L’organizzazione prevedeva anche la dotazione di attrezzature
per la pesca e, ben utilizzata da un….. grande esperto,
contribuisce molto bene alla preparazione di un pranzo a base di
buon pesce di proporzioni davvero eccezionali. La calura
estenuante – siamo a 60° e oltre – ed il vento impetuoso, ci
obbligano ad una vera e propria fuga verso la Missione cattolica
di Loyangalani, anche se ancora lontana.
Il caldo continua a farla da grande padrone ed avvicinarsi senza
particolari attenzioni alla lamiera dei fuoristrada, procura
delle scottature molto fastidiose; c’è chi è convinto che
finiremo bruciati senza fumo.
La Missione di Loiyangalani, circondata da alte reti e da
cancelli, ci appare come l’oasi benedetta, dispone
di
una buona vegetazione ombreggiante ma soprattutto di una grande
piscina che tra incredulità e stupore, ci vede tutti, in pochi
secondi, immersi nell’acqua tiepida termale, nello stato in cui
ci ritroviamo e coloro i quali non si sono dati neanche la pena
di togliersi le robuste scarpe di cui siamo dotati, trovano
difficoltà a galleggiare. Per ultimo, dice poi lui per godersi
la scena, si tuffa il nostro capo spedizione che, considerata la
corporatura per nulla snella, provoca effetti straripanti e
molta allegria. Ci godiamo la frescura del bagno e già qualcuno
pensa di trascorrere la notte in piscina anche se la tenda è la
soluzione più ragionevole e senz’altro consigliata.
La sosta alla Missione, dove trascorriamo il pomeriggio e la
notte, la viviamo in un clima cordialissimo e ci da modo di
conoscere suore italiane che vivono in quei luoghi da molti
anni; la più anziana è in missione da oltre trent’anni.
Nei pressi della Missione vive la tribù degli El Molo e le loro
danze rituali e propiziatorie sono motivo delle nostre
particolari attenzioni cinefotografiche.
Il problema, che noi sottovalutiamo, è la lontananza stimata in
tre silometri circa; decidiamo di percorrerla a piedi e carichi
delle nostre attrezzature, il sole implacabile, la fatica
accumulata nei giorni precedenti, trasformano la passeggiata in
un vero tormento e per la prima volta conosciamo gli autentici
tormenti degli assetati.
Il “biglietto d’ingresso” per una danza rituale fuori programma
è di un dollaro. A questo giungiamo dopo lunghe trattative e con
l’intervento del personale della Missione che gentilmente ci ha
accompagnati. Le
frenetiche danze, la polvere, il sole, la fatica per i continui
spostamenti per fotografare e filmare, sono motivo, più che mai,
per sognare frescura e acqua, tanta acqua; nei pressi del
villaggio dove opera la Missione,
un lodge provvidenziale e ben fornito di fresche bevande,
assorbe molto delle nostre disponibilità finanziarie; comunque
investimento di cui nessuno si pente, compresi coloro noti per
la loro morigerata temperanza che forse, più degli altri, si
sono abbandonati a libagioni con birra e swapper tonic e gin.
Ma è necessario pensare alla tappa di domani.
Notizie poco rassicuranti per la
nostra incolumità, giungano dal Nord e sconsigliano di piantare
il campo oltre North Hor, ultimo centro abitato (? !) sul
confine etiopico; infatti bande di sbandati etiopi sconfinano
per raziare tutto quanto le sia possibile. Decidiamo quindi di
compiere un’unica tappa da Oasis a Marsabit. Qui, come sempre,
il vento della notte ha messo a dura prova la stabilità delle
tende che, tra l’altro, non riescono a trattenere la sabbia che,
sbattuta con forza contro il tessuto, penetra e invade l’interno
rendendo più che mai precario il nostro riposo e il sonno di
questa notte.
L’alba ci trova comunque pronti per la partenza; costeggiamo il
lago Paradiso illuminato dalla prima luce del giorno e poi ci
addentriamo nel deserto dove la polvere diventa un problema. E’
finissima, rossa, penetrante e nonostante le attente cure,
penetra in ogni dove, bocca, naso, macchine fotografiche, e le
lenti degli occhiali bagnate dal sudore, la trasformano in
fanghiglia che deve essere continuamente pulita.
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