INTRODUZIONE di Mauro Bellavita
Nell'estate 2004 mi capitò di imbattermi in due personaggi che ritenevo confinati nel passato remoto, Giuseppe e il Faraone. La meraviglia fu grande poiché l'incontro non avvenne attraverso la lettura di testi storici o della Bibbia ma sbirciando alcuni appunti sulla scrivania di mio padre che, quella estate, stava iniziando i lavori del suo terzo volume.
L'argomento era «ovviamente» economico-finanziario, ma a differenza dei precedenti lavori gli avvenimenti sembravano ambientati nel contesto storico di un'Italia stile antico Egitto.
Una veloce lettura delle prime bozze, di quello che sarebbe diventato I sogni del Faraone, lasciava trasparire una sorta di disagio, preoccupazione, quasi rabbia. In primo luogo balzava all'occhio il desiderio di utilizzare metafore e trasposizioni storiche per trattare un tema assai più spinoso della bolla speculativa legata alla tecnologia del default dell'Argentina o del caso Parmalat come frettolosamente recensito nei commenti post stampa.
L'auto dalle ruote quadrate era il nostro sistema economico-finanziario, i suoi ingegneri, costruttori e sponsor, personalità che in quegli anni e nei successivi sarebbero stati destinatari di riconoscimenti, fama e prestigio. Giuseppe e il Faraone rappresentavano quegli osservatori distaccati, fuori dal vortice, capaci di vedere quanto la comodità di una ripresa veloce e imponente impediva a chi avrebbe dovuto controllare e approfondire.
I sogni del Faraone, superata la confusione dell'antico Egitto e dei dialoghi improbabili, altro non era che una rassegna stampa di quanto abbiamo letto negli ultimi dodici mesi sulle cause della crisi. Solitamente però le rassegne stampa sono successive alla cronaca degli eventi.
Un paio d'anni più tardi, mentre ci si compiaceva per il successo che le politiche economiche riscuotevano portando il mondo verso i tassi di crescita globale mai raggiunti, mi capitò di imbattermi nuovamente nelle «piramidi».
Sempre sulla scrivania del fissato genitore nuovi fogli, rigorosamente scritti a penna, tradivano una nuova avventura letteraria: I sogni infranti dei risparmiatori. In realtà il titolo avrebbe dovuto essere: «L'invincibile armata del Faraone», ovvero la storia di un esercito che rimane impantanato nel deserto perché al posto di riserve di carburante ha accumulato futures sul petrolio.
Il volume tradiva l'ansia di chi, pur avendo già considerato la finanza derivata come una della quattro ruote quadrate della famigerata vettura del Faraone, riteneva doveroso dedicarle uno specifico approfondimento.
Convinto della grande rischiosità di una finanza che perde ogni legame con l'economia sottostante sia in termini quantitativi che di utilità, papà si trovò a passare l'agosto del 2007 con la soddisfazione di chi avrebbe visto in libreria un volume ove si racconta quello che telegiornali e stampa iniziano solo ora a stigmatizzare.
Tanto i sogni del Faraone quanto i sogni infranti dei risparmiatori non erano né romanzi né storie a lieto fine. In entrambi esistevano parti conclusive in cui venivano presentate idee utili alla soluzione dei rischi denunziati nel loro svolgimento. Entrambi i volumi indicavano comportamenti «salvavita» principalmente per il vessato investitore, ma anche per i moderni Faraoni oggi chiamati a rattoppare la barca del sistema economico internazionale.
Il Faraone e la speranza dei risparmiatori è colpa di chi introduce questo volume. Non sarebbe stato scritto senza una sottile e insistente azione di stimolo volta a ottenere una sorta di conclusione ai volumi precedenti.
Dopo aver previsto con anticipo e purtroppo con successo la sorte di un sistema bancario poggiato su «ruote quadrate», in prospettiva di una evoluzione tutt'altro che scontata, mi è sembrato logico pretendere un aiuto «letterario» alla comprensione.
Il volume parte nel segno della continuità con le figure di Giuseppe e del Faraone intenti nel commentare l'ennesimo incubo notturno. Emerge il profondo sdegno di chi, avendo lavorato con professionalità ed etica nel mondo della finanza negli anni forse più difficili per l'Italia, considera questa crisi delittuosa.
La Bibbia ci presenta Giuseppe non solo in veste di indovino-interprete dei sogni del Faraone, ma soprattutto come attento osservatore della realtà economica del suo paese. Leggendo la Bibbia con gli occhi dell'economista si direbbe che queste sue caratteristiche gli hanno permesso «li comprendere ed elaborare la teoria dei cicli economici. La Sacra Scrittura narra «non c'è uno intelligente e saggio come te tu sarai a capo della mia casa, e sui tuoi ordini tutto il mio popolo ti renderà omaggio. Sarò superiore a te solo per il trono» ovvero le parole con le quali il Faraone nomina Giuseppe Viceré d'Egitto, oggi si direbbe amministratore delegato.
Nel suo nuovo incarico Giuseppe pose massima attenzione all'andamento economico del Paese, dimostrandosi un perfetto economista capace di attenuare gli effetti negativi dei sette anni di vacche magre (ovvero le moderne recessioni).
In palese contrasto con quanto recentemente verificatosi apprendiamo che «... la terra produsse in abbondanza per sette anni a pieni manipoli e Giuseppe raccolse tutte le vettovaglie dei sette anni di abbondanza che furono nella terra di Egitto; e in ogni singola città ammassò le vettovaglie prodotte nelle campa-gne circostanti...» E finirono i sette anni di abbondanza che furono sulla terra di Egitto e incominciarono a venire i sette anni di carestia. Secondo quanto aveva detto Giuseppe fu carestia in tutti i paesi. «Ma in tutta la terra d'Egitto c'era pane».
Lungi dal voler suggerire le Sacre Scritture alle migliori case di consulenza o tentare impietosi paragoni con la realtà attuale, quale improbabile biblista sono colpito da alcune clamorose «inefficienze».
Giuseppe accettò gli oneri degli ammassi pur di poter accantonare esclusivamente sacchi di grano, non impegni di importanti coltivatori a consegnare il grano a una determinata data.
Giuseppe rischiò di contrariare il Faraone poiché la fissazione degli ammassi riduceva le risorse che anno per anno sarebbero state immesse nel sistema con la commercializzazione del prodotto segregato, ma soprattutto il più famoso libro al mondo non ci illustra se il Faraone, ricompensò l'abile gestione e i brillanti risultati raggiunti con favolosi premi di rendimento o con adeguati programmi di stock option.
Contrariamente a quanto avviene ai nostri tempi, dove l'unica forma di accantonamento sembra essere l'incremento dei tassi di I interesse nei periodi di forte espansione, il Viceré, pretese la «non spremitura» dei consumi per conservare risorse all'interno J di ciò che oggi chiameremmo tessuto economico.
L'analisi presentata è, per rispetto del lettore, rigorosamente jf centrata sulle grandezze finanziarie. Traspare tuttavia la consapevolezza che la crisi abbracci tutti i settori economici di tutti i paesi del mondo e che da ciò tragga gran parte della sua peculiarità.

Ad altri curiosi, maggiormente esperti di ambiti sociologici culturali e politici, il compito di indagare i disastri che in questo volume sono prettamente «monetari», poiché è ferma convinzione di chi scrive che nulla sarebbe stato possibile senza l'attiva complicità di una non-cultura e un impianto di non-valori che evidentemente permea troppi campi dell'umana esperienza.
Il nuovo racconto ci dice anche che la storia e la memoria di un popolo sono fonte inesauribile di punti di riferimento per la diagnosi e la definizione di terapie nelle diverse fasi dei ricorrenti cicli economici.


Un  inciso tratto da: Un caso di studio (La Cariplo): il segreto di un successo

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Nella seconda metà degli anni Novanta, una serie di circostanze concomitanti rese possibile l'acquisizione della totalità del capitale di Cariplo SPA da parte di una entità locale di medie dimensioni. L'acquisizione fu facilitata dall'utilizzo delle ingenti rise accumulate durante l'intera vita della Cariplo. Agli autori t l'operazione va espresso un plauso incondizionato per la capacità e l'abilità dimostrata nello studio e nell'esecuzione della complessa operazione. Particolarmente significativo un commento riportato da un giornale cinese dal titolo: «The small fish eats the big fish».
Se qui si ferma la storia di Cariplo, mi sembra però importante valutarne le chiavi di un successo che si è protratto per oltre 175 anni. Territorialità, organizzazione, risorse umane, sono elementi fondamentali sempre presenti nella storia della Banca.
E già stato possibile verificare che uno dei principi basilari, fin dal momento della sua costituzione, sia stato rappresentato dal legame con il territorio sia come ramificazione della rete di sportelli sia come collegamenti con la struttura economica della piazza presidiata. Il direttore di filiale assumeva la funzione di consulente e di referente per tutti gli operatori più dinamici.
Nonostante la limitata autonomia gestionale delle filiali, le risposte erano sempre efficaci e tempestive. L'organizzazione interna poteva essere assimilata a un modello funzionale, con servizi responsabili di determinate aree che coordinavano tutte le richieste provenienti dalle unità periferiche.
Al di sopra della propria autonomia, le problematiche dovevano essere esaminate e approvate dalla Direzione generale o direttamente dal Consiglio di amministrazione. Da rilevare che le autonomie attribuite alle singole persone non sono mai state di dimensioni rilevanti, proprio per evitare che errori di valutazione potessero minare la solidità dell'intera istituzione.

Alcuni amici hanno attribuito alla Cariplo il simpatico appellativo di «banca casereccia», proprio per sottolineare la cordialità e la cortesia sempre presenti nei rapporti banca-clientela. Non vi è dubbio che tale definizione ben individuava l'attenzione quasi maniacale che è stata attribuita al legame con il territorio e la costanza dedicata alla crescita, economica e finanziaria, degli operatori che si affidavano alla banca.
Non vi è altresì alcuna riserva sulla capacità della banca «casereccia» di vincere le sfide più impegnative sul territorio nazionale e di competere ad armi pari con i più agguerriti competitor internazionali.
Gli uomini hanno costituito il patrimonio più importante della Cassa. Certamente il funzionamento di un organismo come la Cassa di Risparmio è il risultato dell'apporto di diverse energie e di molte competenze così come la qualità del servizio offerto deriva da una buona organizzazione e dal corretto operare di tutti.
Sempre il prof. Cova così sottolinea l'indipendenza della Commissione centrale di beneficenza:
 

Nessuno però potrà dubitare della centralità dell'organo supremo di amministrazione ossia della Commissione centrale di beneficenza e, all'interno di questa, del presidente.
Una centralità tanto più evidente in quanto la Cassa lombarda si trovò nella straordinaria condizione di non dover rispondere delle sue azioni se non alle norme di legge e allo statuto che, in ogni caso, era il prodotto di una elaborazione tutta interna. Inoltre la Commissione centrale di beneficenza non ebbe mai a fare i conti con rappresentanze che potessero in qualche modo entrare nel merito del suo operato o giudicare la congruenza delle sue decisioni rispetto ai fini dell'istituto.
In realtà l'unico momento di raccordo con altre istituzioni, certamente non privo di significato e perfino potenzialmente condizionante il comportamento dei commissari (però a partire dalla unificazione del paese), era la designazione degli stessi da parte delle province lombarde e del Comune di Milano e la nomina del presidente e del vicepresidente da parte delle autorità di governo.

 

Deve però essere rilevato che tutti i presidenti e i commissari che si sono succeduti alla guida dell'istituto nei suoi 175 anni di attività, hanno sempre operato con la massima indipendenza, non esitando a contrapporsi alle autorità quando l'interesse dell'istituto lo richiedeva. Proverbiale lo spirito di indipendenza che ha sempre caratterizzato sia l'organo amministrativo, sia la classe dirigente.
Una particolare citazione deve essere fatta al sistema retributivo e alla formazione della classe dirigente. Contrariamente alle più dinamiche società estere che avevano utilizzato il sistema incentivante quale strumento per massimizzare l'efficienza aziendale, la Cassa ha sempre rifiutato tale approccio.
Fedele allo spirito filantropico dei fondatori, è stata sempre privilegiata una graduale perequazione nella scala retributiva. Così mentre le retribuzioni dei livelli inferiori risultavano sensibilmente superiori a quelle medie di mercato, quelle del top management risultavano decisamente sacrificate, sia in termini assoluti che comparativi.
Pur non disponendo di serie statistiche sufficientemente affidabili, si può affermare che la retribuzione massima, quella del Direttore Generale, non abbia mai superato di dieci volte quella dell'ultimo dipendente. Una nota particolare per i compensi del Presidente e degli Amministratori, sempre determinati con criteri di estrema parsimonia e sicuramente mai correlati con l'impegno richiesto e con la qualità dell'attività svolta.
Questa caratteristica ha contribuito a creare un forte spirito di gruppo e un consolidato senso di appartenenza, che ha permesso alla Cassa di vincere le sfide più agguerrite con manager formati nelle prestigiose università e nelle più accreditate palestre aziendali. Il clima aziendale ha favorito la formazione e la selezione di una classe dirigente che si è posta all'attenzione di tutto il sistema bancario.
Sicuramente i sistemi adottati dalla Cassa non hanno permesso, per quasi tutta la sua vita, l'assunzione di personale specializzato nelle attività più sofisticate. Questa caratteristica rappresenta una delle chiavi del successo della Cassa.
L'attività bancaria non sempre necessita della collaborazione di specialisti, che anzi possono essere dannosi per il miglioramento professionale dei manager. La selezione dei nuovi manager non è mai stata effettuata sull'onda dei successi raggiunti, quanto con un percorso di crescita e formazione che veniva costantemente seguito in tutte le sue evoluzioni. La verifica veniva effettuata a diversi livelli e coinvolgeva, in determinati passaggi, anche il parere delle rappresentanze del personale.
Nel confronto fra i manager formatisi nelle più prestigiose realtà internazionali e quelli forgiati sul campo dell'operatività quotidiana sono stati questi ultimi a primeggiare, per la loro capacità pratica e per la loro esperienza di affrontare e decidere di fronte alle diverse realtà che si presentano vitali per lo sviluppo aziendale.
Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta il governo italiano approvò un'operazione di scissione nelle banche pubbliche - tra cui le Casse di Risparmio - che determinò la creazione di Fondazioni, da una parte, e la costituzione di società per azioni dall'altra, cui è stata attribuita tutta l'attività bancaria. Tutte le fondazioni, compresa la Cariplo, si trovarono nel loro portafoglio il 100% del capitale della corrispondente società bancaria.
Nei primi anni Novanta la presidenza e la direzione generale della banca coordinarono l'approvazione di una delibera di aumento di capitale finalizzata alla quotazione delle azioni della banca presso la Borsa Valori di Milano. L'aumento di capitale, con esclusione del diritto di opzione da parte dei vecchi azionisti, prevedeva che le nuove azioni sarebbe state offerte ad azionisti terzi, sia sul mercato italiano sia su quello internazionale, a un prezzo particolarmente favorevole.
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Un inciso tratto da: La speranza

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Ma come si potrà uscire da questa situazione? Tre interventi si presentano indispensabili e possono essere così individuati:
- rifondare le banche;
- rifondare i mercati finanziari;
- supportare l'economia.

 

Rifondare le banche

 

Sarà necessario predisporre gli strumenti per un rapido ritorno a una struttura di banca retail, la cui mission dovrà essere quella di ricostruire il legame col territorio, privilegiando il rapporto con gli operatori economici. Il suo scopo primario non dovrà essere quello di massimizzare il risultato economico, ma piuttosto di privilegiare l'operatività con il tessuto industriale e commerciale della propria zona d'influenza.
Sotto il profilo organizzativo interno, dovrà essere ripristinata la democrazia aziendale dove tutte le decisioni più importanti dovranno essere riferite al Consiglio di amministrazione e all'assemblea degli azionisti.
Sul fronte delle deleghe operative sarà necessario limitarne la discrezionalità al fine di evitare che una sola persona, come più volte capitato, possa attuare politiche operative capaci di mettere a rischio la solidità aziendale.
Tutta l'operatività effettuata dovrà trovare specifico riferimento nella rendicontazione aziendale e nei dati di bilancio.
Non potranno più essere trasferiti assets, poco importa se tossici o in forma smagliante, a società conduit oppure essere contabilizzati solo per la differenza tra partite a debito e a credito.
Un ruolo importante e particolarmente delicato dovrà essere svolto dai Consiglieri indipendenti. La loro scelta dovrebbe essere effettuata tra quelle persone meno giovani che hanno avuto la possibilità di gestire e affrontare le situazioni più difficili che il sistema bancario ha più volte sperimentato nella sua storia.
La loro esperienza, così come quella delle personalità scelte dal governo degli Stati Uniti, potrebbe rivelarsi particolarmente utile nelle decisioni più impegnative che dovranno essere assunte nei vari Consigli di Amministrazione.
Il loro buon senso avrebbe forse potuto evitare di lanciarsi sui percorsi accidentati in cui si trovano oggi le principali banche mondiali. A loro dovrebbe essere attribuito il potere, opportunamente regolamentato, di opporsi a decisioni che potrebbero peg¬giorare drammaticamente l'equilibrio finanziario e patrimoniale della banca.
 

 

Rifondare i mercati

 

Particolare attenzione dovrà essere riservata dalle autorità monetarie alla cronica carenza di liquidità che attanaglia il sistema bancario mondiale ormai da molti mesi. Le banche centrali dovranno continuare la loro azione di fornire ai mercati la liquidità necessaria, con la medesima tempestività ed efficacia finora dimostrata.
Sul fronte dell'operatività quotidiana andrà ristabilito un ordinato svolgimento delle transazioni al fine di permettere al mercato di ritrovare la sua ragione. Alcune valide norme sono già in vigore, ma vengono costantemente disattese dagli operatori o dagli intermediari. La più pericolosa è rappresentata dalla prassi con la quale vengono gestite le operazioni di prestito titoli nei confronti della clientela privata.
La normativa che impone la gestione separata dei titoli di proprietà della banca da quelli di competenza della clientela o di operatori terzi è tuttora in vigore. Ma questa normativa troppo spesso non viene applicata e molti istituti trovano più agevole non preoccuparsi se i titoli consegnati in stanza siano quelli di proprietà o di terzi. E pensare che un rigido controllo su questo fronte risolverebbe automaticamente quasi tutte le gravi problematiche connesse con la vendita sul mercato di titoli allo scoperto. Proprio su questo punto una recente proposta delle autorità di controllo dei mercati è stata recepita dal governo del Paese.
Gli emendamenti riguardanti incentivi, scudi antiscalate e soglie di vigilanza sui rastrellamenti, evidenziano la preoccupazione delle autorità verso pericolose azioni di take over, rese particolarmente attraenti dal sacrificato livello dei prezzi esistenti sul mercato.
Infine le Autorità di Vigilanza dovranno prestare la massima attenzione sull'operatività demandata alle società «mercato», ci dovranno assicurare un'adeguata tempestività di intervento p correggere tutte le anomalie e le turbative che potrebbero veri carsi durante il normale svolgimento delle contrattazioni.

 

 

Supportare l'economia

 

Deve essere valutata molto positivamente la tempestività con quale i governi dei principali Paesi, sia su questa sponda d( l'Atlantico, in Europa, sia sull'altra sponda, stanno approvane significativi programmi a supporto dei lavoratori, delle aziende dei mercati. Credo che la mole dei mezzi reperiti non abbia confronto con alcuna precedente situazione di difficoltà.
La celerità con cui anche i minimi scricchiolii vengono avvertiti ai più alti livelli decisionali, lascia ben sperare su una positiva soluzione di questa drammatica fase.
Non vi è alcun dubbio che, pur di fronte a una situazione fon mai sperimentata dai mercati finanziari mondiali, il team di esperti saprà adottare le soluzioni più consone per iniziare uri nuova fase di sviluppo partendo da basi più solide.

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