PARTE SECONDA (storico/ricostruttiva)


Proseguiamo nella disamina, con altre prove a sostegno delle tesi enunciate:
14) nell’America Precolombiana, dove non si conosceva l’uso della ruota né tanto meno dei metalli, che non fossero oro, argento e rame allo stato naturale (e, quindi, molto teneri), esistono monumenti e monoliti che non hanno mai trovato una convincente spiegazione, sia sui mezzi e metodi di costruzione, sia sui problemi di calcolo statico dei più antichi di loro. Ad esempio la poco nota piramide di Cholula ha un volume complessivo di ben tre volte superiore a quello della Grande Piramide di Giza e di poco inferiore è anche il volume di quella chiamata del Sole a Teotihuacan.
Resta, quindi, un mistero come quegli antichi popoli abbiano potuto staccare, trasportare ed innalzare enormi blocchi da lontane cave e come abbiano potuto scolpire monumenti e statue di dura pietra vulcanica, in mancanza almeno di scalpelli di metallo (è provato che non sarebbe stato possibile con punte d’ossidiana), come le enormi teste dai caratteri negroidi portate alla luce in alcuni siti olmechi del Tabasco messicano;
15) all’Abate Brasser de Bourbourg dobbiamo la scoperta e la traduzione, prima del Sacro Libro dei Maya Quichè “Popol Vuh”, poi del cosiddetto “Codex Trocortesianus” (tra le poche opere precolombiane sfuggite alla furia iconoclastica degli spagnoli). In entrambi i testi è menzionata una grande catastrofe naturale che avrebbe sconvolto il Centro America in un lontano passato e che avrebbe distrutto gran parte della popolazione dell’epoca. Ma non solo, gli estensori indigeni narravano an14 che della contemporanea distruzione di un grande continente nell’Oceano Pacifico (quello che i Maya chiamavano “Mu” ed i popoli di lingua nahua “Aztlan”, vale a dire “grande isola bianca”).
Veniamo ora ad un’altra prova, prodotta di proposito alla fine di questo lavoro, sia per la sua complessità, sia per le polemiche che ha suscitato. Nello svilupparla, si è tenuto conto dei pareri contrastanti che da oltre cinquant’anni riempiono le cronache, limitando peraltro la discussione allo stretto campo storico e scientifico.
Iniziamo con il dire che la “cartografia” sembra avere una lunga storia, posto anzitutto il fatto che
nel 1966 è stata rinvenuta in Ucraina una mappa incisa su di una zanna di mammut, datata con i
consueti metodi scientifici intorno al 10.000 a.c., e che mostra con chiarezza un fiume del luogo,
fiancheggiato da una lunga fila di case (case, non capanne!). É pur vero che si è obiettato che la
zanna potrebbe essere stata incisa in epoca ben posteriore, tuttavia essa era sepolta sotto alcuni metri di depositi fluviali, il cui strato più antico in cui era inglobata coincideva con la datazione attribuita al manufatto in parola.


Esistono poi una serie d'antiche mappe di parti del globo sconosciute sino all’epoca delle grandi
scoperte geografiche. Mappe, ricavate da antiche carte “sorgente”, sulle quali gli estensori (com'è da sempre costume ed obbligo per i cartografi, onde permettere l’individuazione della fonte) hanno riportato i precisi riferimenti da cui furono ricostruite.
Ci soffermiamo solo su alcune tra le più note e chiaramente interpretate:


a) mappa di Piri Reis
In un convegno internazionale di cartografi nel 1956 il cap. Arlington H. Mallory (noto studioso di
antiche mappe ed ufficiale cartografo capo della US Navy) riferì circa una mappa, risalente al 1513 d.c. (ovvero all’anno 919 dell’Egira), recante un’iscrizione che indicava come la stessa fosse una sintesi di numerose “mappe sorgente”, riprodotte su di essa dal suo autore, un ammiraglio dell’Impero Ottomano, di nome Piri Réis Ibn Aji Mehmed.
La mappa mostrava il Sudamerica, una parte dell’Africa Occidentale, alcune grandi e piccole isole, buona parte delle quali oggi inesistenti, e una porzione di quella che sembrava la costa nord dell’Antartide (massa continentale scoperta solo nel 1818 d.c.).
Proprio su quest’ultima sezione della mappa si concentrò l’attenzione degli esperti che, riprendendo i dati ottenuti dalla Spedizione Internazionale Antartica del 1949 (che mediante opportuni scandagli sonar e carotature profonde nei ghiacci, aveva ricostruito il profilo costiero della Terra Regina Maud ed adiacenze, nel nord del continente), constatò la sorprendente corrispondenza tra le baie ed i contorni continentali che apparivano nella mappa di Piri Reis e quanto aveva rilevato l’anzidetta spedizione (si noti che le ulteriori ricerche disposte negli ultimi quarant’anni hanno confermato quanto prodotto dalle indagini del 1949).
L’Ammiraglio ottomano aveva scritto, in calce alla sua mappa, che essa era la sintesi di una ventina di precedenti mappe, alcune risalenti ai tempi di Alessandro Magno (terzo secolo a.c.), altre anche più antiche, tutte rinvenute nell’antica biblioteca di Alessandria d’Egitto e, successivamente, conservate in quella di Costantinopoli.
Poiché all’epoca del Macedone l’Antartide era già ricoperta da uno strato di ghiaccio spesso circa tre chilometri, come d’altronde ai giorni nostri, quelle mappe sorgente dovevano essere state tracciate ben prima dell’epoca del grande conquistatore.
Tutto induce a ritenere che queste mappe dimostrino anche che la scrittura, la matematica, la trigonometria ed altro, fossero conosciute ben prima dei Sumeri; inoltre presumono la possibile conferma della preesistenza di un'elaborata civiltà preistorica di navigatori in un’epoca nella quale, stando agli storici, la civiltà stava compiendo i primi passi in Medio Oriente.
Un'ulteriore valutazione dell’anzidetta mappa fu richiesta al Comando Strategico Aereo dell’USAF
da parte del prof. Charles Hapgod (noto geologo e professore emerito del Keene State College del New Hampshire negli USA, autore della teoria, oggi comprovata, sullo scorrimento della crosta terreste e studioso di cartografia) ed il suo comandante così scrisse nella risposta:
“La sua richiesta di valutazione di alcune singolari caratteristiche del mappamondo di Piri Reis
del 1513 da parte di quest'Organo è stata accolta. L’ipotesi che la parte inferiore della carta rappresenti la Costa Principessa Martha della Terra Regina Maud e la Penisola Antartica è ragionevole.
A nostro avviso è l’interpretazione più logica della carta stessa e con tutta probabilità quella
corretta. Il dettaglio geografico mostrato nella parte inferiore della carta concorda in modo straordinario con il profilo sismico effettuato sulla superficie della cappa di ghiaccio dalla Spedizione Antartica Svedese-Britannica del 1949. Ciò sta ad indicare che la linea costiera era stata rilevata prima che fosse ricoperta dalla cappa di ghiaccio. Al presente tale cappa in quella regione è spessa circa un chilometro e mezzo.
Non sappiamo assolutamente come si possano conciliare i dati sulla carta in questione con il presunto livello delle conoscenze geografiche del 1513.
Harold Z. Ohlmeyer Lt. Colonel USAF Commander”

Siamo di fronte ad un'affermazione ufficiale di un ente militare, noto per la sua competenza e serietà, che ha emesso un giudizio sintetico, ma molto tecnico al riguardo; in effetti, la costa antartica rappresentata sulla mappa, sgombra dai ghiacci, secondo le documentazioni geologiche internazionali non poteva che essere stata cartografata molti millenni or sono, considerato che i geologi sono concordi nel ritenere che l’avanzata dei ghiacci in questa regione del globo sia terminata intorno al 4000 a.c.
É poi da sottolineare che l’Ammiraglio ottomano annotò diligentemente sulla mappa che il suo ruolo è stato quello di scrupoloso compilatore, avendo tratto i dati da documenti “sorgente” del IV secolo a.c. e da mappe “anche più antiche”, rinvenute nella Biblioteca di Costantinopoli nella quale erano state trasferite secoli prima da quella di Alessandria d’Egitto:

 

Qui sopra l’originale della mappa e a fianco il calco sovrapposto ai contorni costieri di una mappa satellitare,

 

 

che dimostrerebbe la ‘concordanza’ fra la carta di Piri Reis con le Americhe, l’Europa e l’Africa.
Su questo documento (sottoposto a tutta una serie di accurate verifiche, storiche, chimiche sul materiale della mappa, cartografiche e così via) si possono fare alcune brevi considerazioni.
Anzitutto la distorsione della linea di costa in basso a destra deriva, con molta probabilità, dal tipo di proiezione adottato in sede di stesura della mappa, come appare, ad esempio e analogia, in
questo mappamondo dell’USAF:

Relativamente ai punti di latitudine e longitudine delle terre emerse rappresentate sulla carta di Piri Reis, essi sono molto precisi, con un’approssimazione intorno al mezzo grado, rispetto alle moderne carte satellitari.
Quanto alle numerose isole che appaiono al largo della linea costiera, occorre tener conto che, se la mappa riporta come asserito dall’estensore antiche carte sorgente, a quel tempo il livello dei mari era di oltre cento metri più basso; conseguentemente molte isole potrebbero esse state sommerse dalle acque o, comunque, presentare una forma molto diversa da quell'attuale.
Occorre pure considerare che, oltre alla precisione nel tracciare la linea costiera della zona antartica rilevata, anche alcuni tratti del Sud America e del Rio delle Amazzoni mettono in risalto informazioni geografiche, che sarebbero poi state acquisite solo alcuni decenni più tardi.
Un’altra caratteristica del documento è la tecnica con cui è stato disegnato che, non solo presuppone avanzate conoscenze di astronomia e trigonometria, ma soprattutto dell’accurata determinazione della longitudine (cosa che solo dopo il 1750 d.c. fu possibile con il cronografo marino inventato dall’inglese J.Harrison).
Il tutto conferma la netta impressione che la mappa sia stata disegnata utilizzando la tecnica della “proiezione equidistante”, tecnica che prevede di tracciare il profilo della Terra, partendo da un solo specifico punto della sua superficie; tale punto in questa mappa si trova nei pressi dell’antica città egizia di Siene sul Nilo.
Ma, per tracciare una carta geografica di questo tipo, sono necessari strumenti e calcoli matematici molto avanzati, dei quali nessuno, sia in Turchia, sia nell’Europa del tempo, poteva disporre.

 

(continua: le altre mappe nella prossima puntata)

 

     

 

Piazza Scala - giugno 2010