PARTE SECONDA (storico/ricostruttiva)


Per sommi capi, consideriamo quanto sinora è emerso dalle nebbie del passato, limitando la disamina ai ritrovamenti più interessanti:
1) negli scavi della primigenia città sumera e più tardi capitale assira di Nimrud, fu rinvenuto un curioso manufatto di cristallo naturale, di forma circolare, piatto da un lato e “molato convesso”
dall’altro: a tutti gli effetti una ben costruita lente ottica, ricavata da un materiale durissimo e lavorabile solo con strumenti che gli archeologi considerano non essere stati in possesso delle più antiche civiltà conosciute. A tutt’oggi sono stati rinvenuti 75 di questi reperti, che l’ortodossia archeologica considera “intarsi decorativi per mobilio”. É piuttosto singolare che gli antichi abbiano fatto sforzi prolungati solo per decorare del mobilio (è noto, infatti, che il cristallo naturale, anche oggi e con tutti gli opportuni strumenti a nostra disposizione, richiede lunghi tempi di lavorazione e notevole impegno)
2) il più antico “boomerang”, datato intorno ai ventimila anni or sono, sempre con il metodo del C/14, è stato rinvenuto non in Australia, bensì in Polonia;
3) scavi archeologici effettuati in alcune isole del Pacifico (Nuova Caledonia e Pine) hanno portato alla luce più di 400 cilindri, sicuramente di fattura umana e di un tipo di cemento sconosciuto, dal diametro dai 100 ai 190 centimetri e lunghi ben 250 centimetri, dei quali non è noto lo scopo, ma che il test al C/14 ha rivelato essere antichi di circa tredicimila anni;
4) l’isola di Pitcairn (conosciuta dai più per la vicenda della nave Bounty) è una formazione vulcanica a più di duemila chilometri a sud/est di Tahiti, in essa fu rinvenuta nel 1870 d.c. un’iscrizione su di una roccia che, decifrata, così recita: “il nostro equipaggio, naufragato durante una tempesta, ha trovato terra e ringrazia Ra. Siamo del popolo della terra di Manu. Adoriamo Ra, secondo le scritture. Guardiamo Ra e diamo voce”. Manu è una regione montuosa dell’antica Lybia e questa iscrizione è nella lingua libica dell’antico Egitto, tuttavia dall’epoca della sua scoperta è stata del tutto ignorata dagli egittologi. Eppure essa è una prova evidente e certa di una diffusione, non certo casuale, di un’attività marinara che affonda le sue radici in un lontano passato di civiltà;
5) in alcune tombe reali di Sakkara gli archeologi hanno rinvenuto un altro bel mistero! Tra i reperti recuperati in queste antiche sepolture, datate tra il 3.000 ed il 2.500 a.c., sono state trovate parecchie anfore di diorite (alcune esposte al Museo del Cairo), in altre parole di una pietra tra le più dure esistenti al mondo: esse hanno un lungo, esile ed elegante collo in cima ad un corpo bulboso. Questi oggetti, corpo e collo ricavati da un unico pezzo di tale roccia, sono stati lavorati e scavati in modo che il guscio esterno risultasse sottilissimo (pochi millimetri per intenderci). Come sono stati eseguiti? Attualmente non esiste tecnica conosciuta che ci permetta di duplicarle e l’acciaio temprato o il diamante avrebbero serie difficoltà ad incidere la diorite per ottenere simili oggetti. Anche se gli antichi Egizi avessero posseduto questi nostri mezzi (e gli esperti insistono nell’affermare che non li conobbero), non si riesce ad immaginare quale sorta d'utensile potrebbero aver usato per inserirlo in quegli stretti colli e svuotare l’interno delle anfore;
6) l’attuale controversia sulla datazione della Grande Sfinge di Giza è stata ampiamente pubblicizzata. La linea di fondo è, però, molto chiara. Al prof. Robert Schoch di Boston fu chiesto di datare il monumento sulla scorta dell’erosione atmosferica (secondo gli egittologi più conservatori, la costruzione è fatta risalire all’Antico Regno, vale a dire dopo il 3.000 a.c., nel qual caso, però, sarebbe rimasta sepolta nella sabbia fino all’altezza del viso per più di duemila anni: lo era al tempo della IV Dinastia, lo era quando Erodoto visitò l’Egitto, lo era al tempo della spedizione napoleonica. Il prof. Schoch (una delle massime autorità viventi nel campo della geologia) e altri geologi che con lui effettuarono l’indagine conclusero, senza ombra di dubbio, che l’erosione maggiore era stata provocata da prolungati periodi di pioggia e non dalla sabbia trasportata dai venti, come si credeva in precedenza. Tenuto conto dei cambiamenti climatici intervenuti negli ultimi diecimila anni nella zona che va dall’Egitto all’Algeria, i geologi fecero risalire l’opera ad un periodo che va dal 7.000 al 5.000 a.c. (altri esperti ritengono addirittura che il monumento possa essere anche più antico). Queste analisi rimangono controverse, anche se più tra gli egittologi che tra i geologi, tuttavia evidenziano avanzate capacità tecniche e ingegneristiche già in epoca pre-dinastica e nell’Antico Regno ed esse sostengono anche quanto scritto da Solone e da Platone, secondo i quali in Egitto la civiltà fiorì molto prima di quanto crediamo, come risultato delle conoscenze pregresse trasferite agli Egizi e ad altri popoli dagli evoluti superstiti della civiltà prediluviana (probabilmente quelli che vennero chiamati “Neteru” dagli Egizi, “Nefilim” dagli Ebrei, “An.unna.ki” dai sumeri, per restare solo sulle popolazioni mediorientali e che, guarda caso, hanno nelle tre lingue qui considerate il medesimo significato etimologico di “figli del cielo scesi sulla terra”). Della Grande Sfinge occorre anche sottolineare un aspetto molto evidente della sua struttura: sul corpo leonino insiste una testa che l’egittologia attribuisce a Kufu/Cheope (peraltro recenti indagini somatologiche effettuate da esperti escludono tale interpretazione, poiché il volto non collima con quello delle statue che hanno immortalato le sembianze del grande faraone), le cui proporzioni non si sposano con il resto del manufatto (basta osservare una foto di lato). É, infatti, sproporzionatamente più piccola, tanto da far pensare ad un intervento posteriore alla sua costruzione, anche perché, visto che il monumento è rivolto verso la costellazione del Leone, è più logico ritenere che la testa originale fosse quella di quest'animale, poi ridotta per ottenere un viso con copricapo egizio (probabilmente proprio dal figlio adottivo e successore Khafre/Chefren che restaurò il monumento, come recita la stele che era posta tra le zampe anteriori);
7) nei pressi del villaggio di Dolni Vestonice in Moravia sono stati trovati i resti di quella che può
essere definita una “fabbrica” che produceva oggetti in terracotta, osso e varie leghe metalliche “su scala industriale”. Sono stati individuati i resti di cinque grandi edifici (il maggiore misura quindici metri per nove), con cinque grandi forni disposti a scansione regolare, attorno ai quali erano accatastati utensili vari, il tutto racchiuso da una robusta recinzione, oltre la quale sono state individuate alcune fornaci a ferro di cavallo, costruite in pietra e terra refrattaria. L’analisi geochimica del sito ha poi rivelato che i materiali per produrre detti utensili provenivano da cave distanti qualche centinaio di chilometri. Attorno all’insediamento fu anche rinvenuta un'enorme quantità di scarti di lavorazione e il totale dei pezzi lavorati “in deposito” superava le diecimila unità. L’accurata datazione al C/14 del sito e del suo contenuto ha rivelato l’incredibile datazione di circa ventiseimila anni fa. In ogni caso quanto scoperto, sepolto sotto uno strato di limo fluviale, dimostra che la società che lo utilizzava era assai più progredita di quanto sarebbe legittimo aspettarsi, in base alle teorie sin qui sostenute sulla nascita e lo sviluppo della civiltà;
8) la presenza in più continenti di monumenti di simile disegno e costruzione (quali, ad esempio le varie mastabe mesopotamiche, indiane, indocinesi e cinesi, le piramidi egizie, mesoamericane ed andine, i sistemi murari difensivi, i monumenti megalitici dei quali non è certa peraltro la destinazione d’uso, ecc.). Possibile che queste costruzioni siano state eseguite senza che vi siano stati contatti tra i vari popoli che le hanno erette? E che presentino, non solo simile sviluppo architettonico, ma che spesso ci lascino interdetti ove consideriamo, seppur con approssimazione, il loro volume (con tutti i relativi problemi di statica), il loro peso complessivo e di quello di molti dei blocchi di pietra che contengono? E questi ultimi, com’erano stati staccati dalle pareti delle cave e trasportati, considerate le attrezzature ed i mezzi di trasporto di quei tempi? Molti autori di testi (seri e meno seri, preparati o piuttosto superficiali, informati o magari un po’ meno), molti archeologi, architetti, ingegneri e così via hanno avanzato innumerevoli ipotesi, quando non abbiano addirittura certificato le loro certezze al riguardo. Eppure i dubbi rimangono, eccome! Facciamo alcuni esempi per evidenziarli: il trasporto/montaggio di molti blocchi di pietra - a Tiahuanacu, nella fortezza incaica (sempre che di fortezza si sia trattato, almeno in origine) di Sachsahuaman, nelle piramidi di Cholula, Teotihuacan, Giza e in molti altri luoghi di continenti tra loro separati - presenta difficoltà insormontabili, per il peso dei blocchi più grandi (a volte tra le cento e le trecento tonnellate, che avrebbero sbriciolato i rulli o le slitte su cui si pretende potessero essere trasportati), per le distanze dalle cave da cui sono stati tratti, spesso con percorsi a saliscendi (le cronache incaiche hanno tramandato il tentativo fatto da Tupac di rafforzare la cinta difensiva di Sachsahuaman e sulla fine fatta da più di duemila disgraziati che tentavano di trascinare il primo blocco di pietra di più di cento tonnellate su per un pendio), per le altezze cui dovevano essere sollevati, per l’inspiegabile connessione tra molti di essi, così perfetta da non permettere di inserire una qualsiasi lama tra i blocchi, spesso tagliati a scaletta e connessi in modo stupefacente (tra l’altro, nell’America precolombiana, sono state rinvenute tra alcuni blocchi graffe di connessione in dure leghe metalliche, a forma di “I”, in un continente che sino al XVI secolo conosceva solo metalli teneri quali oro, argento e rame);
9) il tessuto urbanistico simile d'importanti città del passato, come Harappa e Moenjodaro nell’India, Teotihuacan nel Messico, Eridu nel territorio sumero, oppure di due città nel Golfo di Cambay nell’India sud-occidentale, scoperte alcuni decenni fa e che presentano anch’esse un ordinato reticolo di strade con ai lati resti di basi d'edifici a più stanze, il tutto esteso per alcune centinaia di metri sulla piana sommersa da circa trenta metri di mare o, ancora, delle vestigia, datate intorno al 7.000 a.c., di una città chiamata Mehrgarh, situata nell’alto Belucistan e che misura più di un chilometro di larghezza per circa due di lunghezza, con preciso sviluppo reticolare. E che dire di altre strutture, sommerse tra i venti e gli ottanta metri, individuate in più parti del pianeta al largo delle attuali coste? Una delle più investigate è senza dubbio quella al largo dell’isola di Yonaguni, struttura rocciosa molto interessante, per la quale, alla luce delle verifiche in corso, è prematuro concludere che si tratta di un manufatto umano, così come, d’altro canto, è affrettato definirla d'origine naturale;
10) analoghi usi e costumi di base di popolazioni tra loro separate da oceani, catene montuose, deserti e così via; altrettanto dicasi per i sistemi di scrittura sviluppati, sempre in aree del globo così separate, su concetti strutturali analoghi (geroglifici, ideografici, misti), riprodotti allo stesso modo (su stele, su pelli, su carta, su tavolette di vario materiale);
11) comuni principi di una legge morale adottata da tutte le popolazioni del pianeta;
12) organizzazioni sociali di base simili, se non addirittura uguali;
13) credenze religiose che, pur se differenziate nella singola struttura (animismo, panteismo, politeismo o monoteismo), evidenziano la fede comune in un Principio Superiore.
Quanto sinora esposto (e molto altro omesso per brevità) è solo frutto del caso, in circostanze storiche ed ambientali a volte tanto diverse tra loro? Oppure è più logico ritenere che la comunicazione progressiva, lo scambio d'idee, d'esperienze, di tecniche tra aree del pianeta così distanti, tragga origine da un seme comune, ben anteriore all’epoca fissata dai più conservatori tra gli storici per l’inizio della civiltà nel quarto millennio a.c.?
Va da sé che, ammettendo la possibilità che sia esistita una civiltà antecedente l’epoca poc’anzi indicata, l’intera vicenda del genere umano andrebbe riscritta, dando campo a sconvolgimenti di certezze che sinora sono state alla base della storia, delle credenze religiose, degli stessi ordinamenti sociali.

 

(continua)

 

     

 

Piazza Scala - maggio 2010