PARTE PRIMA (geologico/dimostrativa)


Pochi anni fa, nel 1994, la nostra generazione ha potuto assistere ad un pauroso fenomeno celeste, quando una cometa (la Shoemaker/Levy 9) è precipitata, dopo essersi frantumata in 21 lucenti parti (ciascuna, peraltro, di diametro superiore al chilometro), sul pianeta Giove. Le turbolenze drammatiche provocate dagli impatti sono state osservate per più di un anno, anche se non c'é dato di sapere cosa sia accaduto all’interno dell’involucro gassoso che riveste il più grande pianeta del Sistema Solare.
Questi impatti produssero pennacchi di detriti alti migliaia di chilometri e sfere di fuoco più grandi del pianeta Terra. Orbene, questi fenomeni, pur essendo fortunatamente molto più rari rispetto ad un lontano passato del Sistema, sono in ogni caso presenti anche ai giorni nostri come una spada di Damocle volta a ricordare all’umanità che le leggi dell’Universo prescindono dalla volontà di qualche
miliardo d'esseri, vaganti nello spazio su di un piccolo pianeta, il cui interno ribolle di magma incandescente e al cui esterno accadono fenomeni incontrollabili Ebbene, da cosa fu sconvolto il nostro pianeta tra 10.000 - 9.500 anni or sono (ovvero tra l’8.000 e il 7.500 avanti Cristo)? Tale fenomeno, noto come “diluvio universale”, è un fatto accertato geologicamente e supportato dalle anzidette memorie dei popoli della Terra.
Molteplici sono le prove a sostegno della tesi che un avvenimento di questo tipo ha interessato la Terra in quell’epoca, determinando non solo la scomparsa di gran parte degli esseri viventi, ma cancellando o quasi ogni preesistente forma di civilizzazione.
É opportuno ricordare come il fenomeno fu descritto dagli antichi mediante le varie forme che sono state poc’anzi indicate:
“…il cielo cadde sulle nostre teste, un forte tremore scosse la terra, le stelle sembravano impazzite, un grande boato risuonò e poi una nuvola nera apparve all’orizzonte ed oscurò il sole e poi arrivò il diluvio dal mare e dal cielo e tutto sommerse e cancellò…”.
Sono parole che tutti conosciamo, spesso come mito storico o religioso, ma che, analizzate attentamente nelle lingue in cui furono trascritte, descrivono un fenomeno geologico molto preciso: un impatto disastroso con un corpo celeste.
Vediamo pertanto come sia stato possibile ricostruirlo da un punto di vista strettamente scientifico.
Anzitutto le dimensioni del meteorite (o cometa che fosse) devono essere state enormi, per intenderci forse anche maggiori del corpo celeste che investì il pianeta circa 65 milioni d'anni fa e che diede origine all’attuale forma del Golfo del Messico, ponendo termine in breve lasso di tempo all’era dei dinosauri.
La localizzazione di questo più recente impatto è posta nell’Oceano Pacifico, il più esteso mare terrestre, la cui massa d’acqua rappresenta circa due terzi degli oceani. Questa localizzazione spiega non solo l’effetto “diluvio”, ma anche le fasi collaterali del fenomeno, la cui entità fu molto prossima a cancellare quasi ogni forma di vita sul pianeta, anche perché l’effetto “tsunami”, determinato dall’impatto, ha certamente provocato ondate tali da superare molte catene montuose, coprendo enormi
distanze.
Ma cosa conferma questa catastrofe?
In primo luogo l’accertato cambio di posizione dei poli in ragione di qualche migliaio di chilometri (a Nord, dalla parte meridionale della Groenlandia, all’attuale posizione; a Sud, da un punto al largo dell’Antartide, all’attuale posizione grosso modo al centro del continente) ed il conseguente spostamento dell’asse terrestre (in precedenza quasi verticale al moto intorno al Sole e da quel
momento oscillante tra i 24,50 ed i 21,50 gradi, in un periodo di circa 26.000 anni, originando così quel fenomeno astronomico noto come “precessione degli equinozi”).
Lo studio del paleomagnetismo delle rocce ha permesso di ricostruire, come mostra il grafico a lato, il percorso del Polo Nord dal Carbonifero ad oggi, ponendo in evidenza che, in circa 300 milioni di anni, esso si è spostato, con una serie di salti discontinui probabilmente derivanti da impatti e dallo scorrimento delle placche tettoniche, dai pressi delle isole Hawai fino all’attuale posizione (si noti l’ultimo salto, in relazione a quanto sopra esposto).

In secondo luogo la rapida conclusione dell’ultima glaciazione a noi nota, con effetti stravolgenti,
da un lato sul livello dei mari, dall’altro sul mutamento climatico, specie nelle preesistenti zone
temperate del pianeta.
I cambiamenti del livello del mare nel passato possono essere ricostruiti in base alla datazione
al C/14 dei gusci fossili d'organismi marini tipici delle acque costiere, che ora si trovano a varie profondità sulle piattaforme continentali. Il grafico a sinistra illustra le fluttuazioni del livello del mare negli ultimi trentacinquemila anni, ricostruite in base agli studi effettuati con tale metodo di datazione.
Per fare un preciso esempio, basta considerare la superficie dell’Italia durante il periodo Wurniano (alla fine del Pleistocene) ben maggiore di quella odierna, vale a dire dopo l’innalzamento del livello dei mari:
Di questi fenomeni fisici e geologici ci sono prove inconfutabili che, unite alle altre che vedremo
nel seguito di questo lavoro, c’illuminano sulle parole degli antichi.

 

(continua)

 

     

 

Piazza Scala - gennaio 2010