PARTE PRIMA (geologico/dimostrativa)


Pochi avevano sino a qualche decennio fa, ad esempio, posto attenzione ad un aspetto molto strano della superficie terrestre e cioè la presenza all’interno dei continenti di vaste estensioni di laghi salati,
disseccati o acquei (che, peraltro, nel corso dei millenni sono stati “addolciti” dai fiumi e dalle piogge).
Vediamo gli esempi più interessanti investigati:
• i laghi Van e Urmia nei pressi del Monte Ararat, rispettivamente a 1670 e 1250 metri sul livello
del mare, hanno entrambi un alto grado di salinità di tipo marino;
• il lago Aral ha pure acque molto saline;
• il Mar Caspio non solo presenta un analogo tasso di salinità, ma possiede anche una fauna tipica
dell’ambiente marino (aringhe, salmoni, storioni, foche e focene); entrambi questi due ultimi specchi d’acqua distano oltre 800 chilometri dall’oceano più vicino;
• il vasto bacino dell’Eyre nel sud australiano, posto a circa 150 metri sotto il livello attuale del mare, evidenzia nella stagione secca uno strato di circa 40 centimetri di sali d'origine marina;
• anche il lago andino Titicaca, posto a 4000 metri sul livello del mare, oltre ad avere uno strato di sale sul fondo, possiede anch’esso una fauna d'animali marini (pesci, ippocampi, ecc.); altrettanto
dicasi dei due grandi “salar” disseccati, a sud del lago anzidetto, i cui depositi presentano,
oltre a sali di origine marina, anche resti di flora e fauna di tale origine;
• il grande deserto salato dello Utah è anch’esso di origine marina.
Queste affermazioni dei geologi sono scientificamente suffragate dalle ispezioni geochimiche effettuate,
mediante studi sulle acque, sui sali, sull’ambiente e confortate da opportuni carotaggi dei fondali
di tali bacini, che hanno in particolare evidenziato (oltre una certa profondità: in genere un paio di metri sotto gli attuali fondali) un preesistente ambiente di acque dolci.
Pertanto e proprio per capire la dinamica del fenomeno, si è ritenuto di testare quali conseguenze può aver avuto l’anzidetto impatto.
Seppur sperimentalmente, il prof. David Crawford dei ben noti Sandia National Laboratories statunitensi,
utilizzando il supercomputer Tesaflops della Intel, ha riprodotto un impatto con un corpo celeste del peso di un miliardo di tonnellate che precipitasse nell’oceano.
Dopo cinquanta ore di lavoro, il computer ha evidenziato che l’impatto (e, si noti, che il peso del corpo celeste preso in esame è circa diecimila volte più piccolo di quello stimato per la cometa Hale-
Bopp, che molti di noi hanno osservato nelle ore serali nei nostri cieli qualche anno fa) avrebbe provocato un’esplosione che avrebbe vaporizzato circa 300 chilometri cubi di acqua marina, oltre a generare una colossale onda anomala, tale da travolgere tutte le zone del pianeta al di sotto dei 500 metri di quota. Non solo, poiché una volta placato l’effetto iniziale del fenomeno, il vapore ed i de-triti rimasti nell’atmosfera avrebbero oscurato per anni i cieli terrestri, con conseguenze devastanti sui superstiti (uomini, animali o piante che fossero).
Un altro esperimento fu condotto dai proff. Gault e Sonnet del dipartimento di scienze planetarie dell’Università dell’Arizona.
Attinsero i dati ricavati dagli esperimenti nucleari degli USA e li incrociarono con i dati di laboratorio
ottenuti servendosi del poligono di tiro verticale della NASA per far esplodere in un bacino d’acqua delle sfere di pirex sparate in modo da ottenere delle velocità di testata pari a 2,7 chilometri il secondo; usarono poi un cannone leggero a gas per ottenere delle velocità d’impatto di 5,6 chilometri
il secondo (velocità di caduta stimata per un corpo celeste, pari a 36.000 km/h). Le collisioni furono filmate con un apparecchio ad alta velocità, così da poter studiare i meccanismi di formazione
delle ondate.
Il risultato osservato fu che l’impatto di un corpo celeste nell’oceano avrebbe provocato un enorme pennacchio, formato da un miscuglio di materiali allo stato di vapore (acqua del mare, materia del corpo celeste, roccia del fondo marino); tale pennacchio sarebbe stato risucchiato molto in alto nell’atmosfera a causa dell’attenuazione di pressione provocata dal passaggio del corpo celeste in caduta.
L’energia provocata inizialmente dall’impatto avrebbe inoltre proiettato verso l’alto e verso l’esterno un enorme anello d’acqua, determinando così una potentissima onda anomala (alla quale ne sarebbero seguite altre per riflusso, seppur di minor intensità). Queste onde possono percorrere distanze enormi, perdendo solo una piccola parte di energia, e ad una velocità di circa 700 km/h. E questa è solo la prima fase del fenomeno!

 

(continua)

 

     

 

Piazza Scala - febbraio 2010