Da Saint Jean Pied de Port a Santiago de Compostela  (passando da Roncisvalle)
Settima puntata
 

9 aprile – venerdì - Logroňo/Najera (ottava tappa)

 

Tappa dura e lunga (33 km) con il caldo che si fa sentire e lo zaino che diventa più pesante. Verifichiamo con il contapassi di Marinella che le distanze riportate dalla guida sono nette e si riferiscono dall’uscita della città all’ingresso della successiva. Nelle città un po’ grandi si fanno dai 4 ai 5 chilometri in più. 

Il sole è caldo e provo la sensazione del pellegrino che si abbronza solo sul lato sinistro, dato che si procede sempre verso ovest.

Anche qui si fa un ponte e si raggiunge la zona dell’albergue che è un prefabbricato dove alla reception troviamo un hospitalero americano con il pizzetto.

La zona notte è ben tenuta, ma la doccia ci tocca farla con l’acqua fredda!

Marinella vuole cucinare e si esce a fare la spesa. Optiamo per pasta al ragù, insalata, formaggi e salame. Birra e coca-cola. Anche qui un bel momento conviviale.

Città movimentata e popolata che sorge sul fiume Najerilla.

Vado a vedere la prima cicogna sul tetto della Chiesa di Najera. Kina mi insegna che in inglese si dice stolken. Anche nei paesi nordici è lei che porta i bambini. Mi fa impressione che fra di esse comunichino facendo dei segnali battendo il loro lungo becco.

 

10 aprile – sabato – Najera/Graňon (nona tappa)

 

Si è unito a noi anche Angelo, un loquace farmacista milanese che ha superato la settantina, ma che, con un po’ di civetteria, non ci vuol dire l’età esatta. Starà con noi per una settimana. Non è nuovo del cammino che ha percorso a tratti in altri anni. Intende battere Giovanni sul tema della distrazione e inizierà a fare – per errore - un donativo di 50 euro, tentando poi vanamente e comicamente di rimediare; in seguito perderà i suoi bastoncini.

Si fa colazione al Bar Janika, da me adocchiato la sera prima e dove spiccava un cartello che apre alle sette del mattino! Imparo che in Spagna, a differenza dei bar italiani, i croissants non te li puoi prendere tu dall’espositore.

Arriviamo a Santo Domingo della Calzada e con Marinella visitiamo la famosa cattedrale (a dire il vero non scorgiamo la famosa gabbia con i polli vivi di cui alla famosa leggenda). Sono appena le dodici e ci va di continuare, proseguendo per Graňon che dista altri 6,5 km.

Giovanni preferisce fermarsi in quello che viene definito il più bell’albergue del cammino (di fronte vedo anche il primo parador).

L’albergue di Graňon è ricavato nella vecchia chiesa di San Giovanni e ha la caratteristica di non avere il suo sello  da apporre sulla credenziale e di chiedere solo un donativo.

Arturo, lo spagnolo che da qualche giorno marcia con noi lo definisce “muy precioso”.

In effetti è molto particolare: la cena e la colazione sono comunitari, non ci sono letti, ma solo materassi disposti per terra. Gli hospitaleri sono la spagnola Marina, un canadese e l’abruzzese Desiréè con la quale, ovviamente, è facile parlare. Il prete della chiesa è a Roma.

Dall’alto del campanile ho la conferma che il paese è microscopico.

Dopo la cena, fra l’altro buona e abbondante, ci si trasferisce nella chiesa per un momento di preghiera.

Marinella è sfinita e se ne va a dormire.

Marina, la spagnola, in inglese e francese ci spiega la preghiera che ha due momenti toccanti: il Padre Nostro recitato da ognuno nella sua lingua (inglese, francese, spagnolo, tedesco, fiammingo e italiano); nel secondo viene spenta la luce e una candela accesa passa di mano fra i pellegrini in circolo; a chi se la sente viene chiesto di esprimere a voce alta e nella sua lingua un  pensiero, un’intenzione, passando la candela a chi sta sulla sua destra ed esprimendogli un augurio, sempre nella lingua di origine.

Faccio i migliori auguri di salute e serenità in italiano ad un canadese e ricevo, da uno dei due cognati belgi, degli auguri in fiammingo di cui non comprendo nulla.

Al di là di un certo manierismo da parte della spagnola che coordina il tutto, il momento è davvero intenso e particolare, nella vecchia chiesa di San Juan di Graňon.

Nella notte, sui materassi dapprima un tedesco si alza e oscilla pericolosamente franando su Marinella e fracassandole la conchiglia da pellegrina (sbalzo di pressione, eccesso di alcool?). Si farà perdonare comprandole poi una nuova concha. Poi i teutonici si esprimono con una sinfonia di russare e altri suoni che, solo i tappi per le orecchie, riescono a placare. 

Notte agitata e accompagnata da brutti sogni. Mi sento in colpa, come se avessi abbandonato Maria e le mie donne. I materassi non aiutano di certo.

La colazione è buona e abbondante e si parte rinfrancati per la nuova tappa, con un saluto particolare a Desirèè e gli auguri a un pellegrino tedesco che soffre di un terribile mal di denti.

 

11 aprile domenica – Graňon/Belorado (decima tappa)

 

Si riparte e le nuvole nella mia testa permangono.

Alle dodici circa siamo a Belorado; la Plaza Mayor è deserta e circondata dai platani che in Spagna fanno crescere facendo saldare i rami di un albero con l’altro accanto.

Con Marinella si pranza sulle panchine della piazza a base di jamon e pane.

E’ presto e sono tentato di proseguire per Espinosa che dista dieci chilometri. E’ domenica, gli sms che mi invia Elena, il fatto che sia domenica e le insistenze di Marinella unite al desiderio di ricongiungerci agli altri mi convincono a restare a Belorado.

Troviamo un albergue privato (Cuatro Cantones) che ci ospita per 5 euro.

Non è male e ha un giardino interno con una piscinetta.

Ci raggiungono Giovanni (ha commesso un peccato veniale ci confessa accettando un passaggio per un paio di chilometri), Kina la norvegese, Roque il brasiliano e Angelo il milanese.

Il pomeriggio è dedicato a un po’ di riposo e sul cellulare arrivano dall’Italia notizie calcistiche sulla giornata di campionato che vede impegnata la mia Roma nel sorpasso – ahimè temporaneo – dell’Inter di Mourinho.

La cena a Belorado è una scelta facile: si va nell’unico locale aperto che dà sulla piazza!

Il gruppo si è ricompattato: Kina, la coppia di giovani canadesi, i due francesi anziani, Michael l’americano/messicano dagli occhi azzurri, Roque il brasiliano.

Al tavolo ci serve la rumena Maria e per 10 euro non si mangia male: arroyo a la cubana (riso al pomodoro con sopra un uovo fritto), carne e patatine e per dessert riso al latte.

Mentre ceniamo ci raggiunge, letteralmente stremata, la coppia di giovani coreani, reduce da un tour de force: lui taciturno e torvo, lei sempre più stralunata!

 

12 aprile – lunedì – Belorado/Agès (undicesima tappa)

 

La colazione ai Cuatro Cantones è semplicemente da dimenticare: pane duro e marmellata rancida con latte che presumo sia scaduto.

Fa freddo e non si vede il sole; a fine giornata la faccia mi brucerà un po’ lo stesso. Parto piano.

A San Juan de Ortega ci scappa il bocadillo, ma preferiamo proseguire per Agès che dista tre chilometri e mezzo.

Anche Agès è molto piccola e troviamo un buon ostello, il Refuge Rafael.

Fare il giro del paese è molto semplice, date le sue dimensioni ; riesco a vivere un bel momento nella minuscola e deserta chiesa. La presenza di Dio c’è anche in questa chiesetta, solitaria, sperduta e disadorna.

Angelo, il milanese, azzanna un pellegrino austriaco in bici con il quale intavola una conversazione lunghissima. Ne uscirà con la convinzione che l’affare del secolo sia il fotovoltaico.

La cena è a  all’ostello e ci serve la signora Ana Maria. Per 9,50 euro lenticchie, merluzzo e yogurt.

Prima di dormire Roque, che a Curtiba fa il dentista, ci impartisce una lezione di igiene  sull’uso del filo interdentale.

Siamo solo in sei nell’albergue: Giovanni, Marinella, Angelo, Roque, il ragazzo di Vienna ed io. Una pacchia!

Fuori fa molto freddo, ma si sta bene dentro il sacco a pelo.

 

13 aprile – martedì – Agès/Burgos (dodicesima tappa)

 

La signora Ana Maria si guarda bene di svegliarsi presto e il desajuno va a farsi benedire!

Lo faremo ad Atapuerca, dove attraversiamo la zona preistorica, un sito archeologico. 

Mi arriva un sms che, a sorpresa, Maria ha fatto la gastroscopia. Mille pensieri mi assalgono mentre marcio verso Burgos con Roque e Marinella che mi sopravanzano.

Dovrò tornare indietro, come sarà andato questo esame che da tanto tempo doveva essere eseguito?

Poi Maria mi chiama al cellulare e mi riferisce e tutto si ridimensiona. Il mondo mi riappare azzurro e colorato

A Villafria, come consentito dalla nostra guida, e dopo aver percorso gli orribili chilometri che costeggiano un aeroporto che sembra dismesso, prendiamo il bus numero 8 che lì fa capolinea. Ci sembra strano stare seduti su un bus che ci fa risparmiare chilometri di tratto cittadino e poco adatto a un pellegrinaggio: negozi, uffici, auto, mezzi pubblici. Scatto una foto a Roque.

Il conducente e i passeggeri sono ben disposti verso i pellegrini e ci dicono che Burgos è alta (quasi 900 metri slm) e che non è strano che possa nevicare di questi tempi, a metà aprile.

Al segnale del guidatore scendiamo e seguiamo le sue indicazioni e la conchiglia che troviamo sul marciapiedi e che ci indica il cammino verso l’ostello.

L’albergue è nuovo e confortevole e ci ospita per soli 3 euro; assomiglia a quello di Pamplona con letti a castello, ma senza i cameroni, con pareti insonorizzate e ogni letto dotato di presa di corrente e luce personalizzata. Docce ben tenute e servizi igienici puliti. Bello il cartello all’entrata: RISERVATO AI PELLEGRINI e bella la statua di San Giacomo all’ingresso.

Mi viene il sospetto di aver preso un raffreddore; che me l’abbia trasmesso Roque? 

Oggi ho un appuntamento con Maria e le ragazze: nella Plaza Mayor, dove troneggia la statua de El Cid Campeador, vi è una webcam che trasmette immagini via internet. Da Lecco si collegano al sito e cerchiamo di incontrarci così. Al cellulare mi dicono di spostarmi verso l’insegna di una farmacia e riesco a salutarle con ampi gesti delle braccia. I passanti mi guardano incuriositi, ma io sto salutando le mie donne è questo è bellissimo

La Cattedrale è stupenda (2,50 euro il biglietto per i pellegrini) e vi incontro Marinella. All’interno vi sono opere meravigliose, non ultimo il famoso San Giacomo matamoros (*), così poco politically correct di questi tempi!

Mangio una tortilla in un baretto tranquillo indicatomi da Marinella e poi decidiamo di fare il giro della città con il trenino turistico (4 euro per un tour di 45 minuti). Questi trenini, in genere non mi piacciono, ma la stanchezza dissolve ogni dubbio; pensare di raggiungere a piedi il Castillo, nella parte alta della città è impensabile. Sul trenino incontro un ragazzo di Sortino che da sei anni vive in Andalusia.

Un po’ di riposo nel pomeriggio e poi cena (insalata, calamari e yogurt) serviti da una cameriera frettolosa.

Il freddo e la stanchezza hanno il sopravvento e si torna in albergue: i letti ci attendono.


(*) San Giacomo a cavallo con la scimitarra mulinante che taglia la testa ai Mori.

 


(Fine settima puntata - continua)

 

 

Clicca sull'immagine per ingrandirla

 

 

Vai alla pagina indice

Vai alla puntata precedente

Il  collega Marco Vedovato ha realizzato un'interessante guida Internet sulla Via Francigena: clicca qui per visualizzarla

Segnala questa pagina ad un amico:




 

 

 

Piazza Scala - novembre 2010