Ricordi indelebili ("amarcord" di Lorenzo Milanesi)

Siamo nel 1946. Alla fine di ottobre fui convocato per essere assunto alla Banca Commerciale Italiana di Milano. Mi presentai all’Ufficio del Personale, al 1° piano del palazzo di Piazza della Scala, il cui capo era il dott. Rossi coadiuvato da Roggero. Dopo i convenevoli, questi chiamò il capo del Reparto estero della Sede di Milano, Muzzi (orbo di un occhio, ma con l’altro ci vedeva per quattro) e mi consegnò a lui. Era un uomo di poche parole, basso di statura, tarchiato ma svelto di gambe, generoso di cuore sotto una maschera da burbero. Il Reparto estero era dislocato a pian terreno sulla destra entrando nel salone del pubblico. Scendemmo rapidi e mi assegnò alla sezione ‘ricavi esportazione’ il cui capo era un certo Pennoncelli, presto sostituito dal suo collega Strada. Il Reparto era concentrato in un enorme stanzone che dava con le finestre verso l’esterno in Piazza della Scala e verso l’interno in un salone sul quale si affacciavano otto sportelli per il pubblico. A questo reparto facevano capo l’ufficio Forestieri (al quale si accedeva entrando a destra dalla piazza), l’Ufficio Benestare bancari, l’Ufficio Rimesse emigrati e, in un soppalco, successivamente soppresso, la sezione verificatori. Il personale si poteva idealmente suddividere in tre comparti generazionali. Vi erano i più anziani, in procinto di andare in pensione. Ricordo Lombardo, un signore siciliano vecchio stampo, che si dilettava di pittura, Bagini, che veniva ogni mattina da Voghera e pagava allo sportello le rimesse degli emigrati, Mazza, che curava le pratiche dei brevetti, Mastrobuono, capo dell’Ufficio rimesse emigrati, Villani, Ferradini, capo ufficio benestare bancari, Isella, che curava i clearing con la Banca d’Italia, Battistolo, che era mutilato del braccio sinistro, Gazzi, Nosotti, che – esperto di meteorologia – forniva i dati al “Corriere della sera”, Beneventi e Masciocchi, entrambi verificatori e Maslowski. Poi vi erano quelli di mezza età a cominciare dal capo servizio che era Aquenza e dal suo vice Happacher e poi da Muzzi e dal suo coadiutore Zacchi, poi Malerba, Fumagalli, Borri (nemico acerrimo delle finestre aperte), Boni, capo dell’Ufficio Forestieri e i commessi Manassero e Pedretti. Venivano infine quelli della terza generazione alla quale appartenevamo un po’ tutti a cominciare dai capi sezione Vercelli, Pennoncelli, Cividini Garavaglia, Strada, Fuga, Illuzzi e la schiera dei numerosi neo-assunti. Cito alla rinfusa: Martignoni, Viganoni, Cerri, Parentela, Palma, Panizzari, Sioli, Bozzetti, Castagnetti, Morandi, Chiurlotto, Ghidini, Gallini, Chioatto, Magini, Servodio, Molgora e tanti altri che mi sfuggono, Ogni tanto facevano la loro fuggevole comparsa gli stagisti, fra i quali rammento Siglienti (figlio del Presidente dell’ABI,  poi diventato a sua volta Presidente della Comit), Rossi, i brasiliani facoltosissimi Matarazzo, ecc.  Si lavorava con la macchina per scrivere che faceva corpo con il piano della scrivania diventando chiudibile. Non pochi rimediammo la scoliosi. Gli straordinari erano all’ordine del giorno e divennero assillanti nel 1947 quando, a seguito della svalutazione della sterlina, ci portavano fino alle 11 di sera a compilare le lettere di ricavo delle esportazioni nei locali di via Campo Lodigiano che è una traversa di Corso Italia. Gli stipendi per i neo assunti si aggiravano sulle 30.000 lire. Sul finire degli anni ’40 fu scoperta una truffa organizzata dal capo dell’ufficio Operatori cambi e dal suo collega della segreteria estero, che furono immediatamente licenziati. Così i due uffici vennero riorganizzati e io fui prescelto per far parte appunto del rinnovato ufficio operatori cambi. Tempi lontanissimi di un mondo che non c’è più.  

LORENZO MILANESI - settembre 2010                                                                                              

 

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Piazza Scala - settembre 2010