VIRUS - decima parte
da LABIRINTI di Fortuna Della Porta

 

Ma ciò che lo colpì furono i foglietti attaccati alle pareti: Cerco Lavinia Forleo, se sapete qualcosa vi prego di scrivere qui. Grazie.
Proprio accanto, Carla chiedeva notizie di Mario. Sono dalla zia Erminia, vieni a prendermi. Poi lesse di Lucio, di Benito, di Marika interessati a Lucrezia, Vincenzo, Saverio. Le pareti insomma erano
coperte di implorazioni. Cercò di immaginarsi i visi di quella gente dietro le suppliche e poi gli venne in mente che probabilmente parecchi di loro non c'erano più.
Si era distratto ancora una volta mentre era in coda. Una coda larga pensò, senza contatto, tutti impegnati a cautelarsi, molti con la mascherina, altri con un fazzoletto a tappare le narici.
Invece Fabio non aveva pensato alla prudenza, si era persino avvicinato alle colonne in piazza S. Pietro, attratto da una curiosità morbosa, commentando l'imprudenza col solito intercalare:-Chi se ne frega? Era solo un'imprecazione.
In vero non voleva ammalarsi, aveva progetti incompiuti, un figlio che voleva avviare all'università e al matrimonio, più in là desiderava un nipote, comprargli i giochi, portarlo ai giardini, alla partita. I suoi genitori avevano ripreso la vita da capo con la nascita di Daniele. Poi doveva vedere il mondo, viaggiare, quando avrebbe finito di risarcire il mutuo della casa, fare il giro delle grandi capitali, il Sahara, la barriera corallina. Voleva farlo da ragazzo, ma si era innamorato e aveva pensato di partire insieme a Clara.
Quando avevano sistemato il forno e cominciato ad avere qualche soldino per incamminarsi, nel mostrarle i biglietti per Parigi, sussurrandole mentre tentava di abbracciarla che erano in primi di una lunga serie, Clara aveva ribattuto:
- Mettili via. Ho minacce di aborto.
Aveva saputo in questo modo di Daniele, ma Clara era fatta così, sempre diretta al cuore delle cose.
Era rimasto frastornato come un baccalà, ma felice, subito leggero ed emozionato, senza peso.
- Chi cerca?
L'impiegato sbadigliò.
Indicò Clara col cognome da nubile e poi il piccolo col suo. L'uomo digitò su un computer i dati. Fabio rilevò allora che anche lì come nella città del Vaticano persisteva l'elettricità. Del resto dal soffitto pioveva una luce bianca e piatta che gli era sfuggita perché la sala era colma della luce naturale. Si augurò che fosse stata ripristinata in tutta la città, in modo da assicurare l'acqua ai piani alti, il riscaldamento e tutto il resto per i tanti disgraziati che non avevano altro posto o le
possibilità economiche per cercare un'apparente scampo, rifugiandosi altrove.
- Non mi risultano.
Rimase imbambolato per qualche secondo.
- Ha sentito?
Abbassò ripetutamente la testa e sussurrò:
- E adesso?
L'altro rispose meccanicamente: -La Caritas. Via Marsala. 
Su uno dei gradini della piazza, Fabio si sedette. D'improvviso era lucido. Visse per qualche minuto l'incubo che lo avrebbero sbattuto da un ufficio all'altro, da una competenza ad un'altra senza venire a capo di nulla. In condizioni normali la burocrazia avviluppava nei suoi tranelli, ma con la caduta della rete pubblica di servizi sospettava che si fosse trasformata in un buco nero.
Si vide canuto, barba lunga, a bussare a un ufficio sempre chiuso chiedendo della sua famiglia. Ora aveva paura.
Davanti alla stazione Termini un cane prese a seguire la bicicletta, col muso tra la via e il marciapiede. Agitava la coda seguendo la sua andatura a passo d'uomo. Daniele sarebbe stato felice con un cane così, un incrocio tra un volpino e un pechinese verosimilmente, con tanto di collare, ma forse oramai non apparteneva più a nessuno. Si domandò se i cani fossero soggetti al contagio, ma non aveva saputo di un cane malato né ne aveva visti morti lungo le strade.
Sperò che questo che lo seguiva non lo lasciasse, ora che persino i suoi genitori avevano pensato solo a se stessi andandosene così lontano.
- Io non lo avrei fatto!
L'esclamazione lo sorprese.
Aveva bisogno di parlare e avere un parere. Non si fidava della sua testa e delle idee che vi circolavano. Forse stava agendo da balordo, non faceva le cose ovvie.
Aveva bisogno di suo padre, come quando gli raccontava di un problema e lui gli dimostrava che non lo era, quasi possedesse una scatola che doveva contenere un serpente ed era vuota.
Alla Caritas avevano già cominciato a distribuire il pasto delle dodici.
Alcuni individui imbacuccati sedevano sulle panche lungo il muro.
L'aroma dei condimenti gli pizzicò l'esofago e un rigurgito acido gli bruciò l'epitelio fin dietro il naso.
Anche sulle pareti del refettorio notò i foglietti con gli appelli per amici e parenti persi di vista. Una volontaria in abito grigiolino, foulard sui capelli, gli chiese immediatamente di cosa avesse bisogno.
Aveva un sorriso gentile, una mano tesa. Da quante settimane non stringeva la mano di uno sconosciuto? E allora si mise a piangere a singhiozzi, senza riuscire a rispondere, piangeva rumorosamente, senza contenersi, mentre la donna rimase con la mano tra le sue.
Gentilmente gli disse:
- Si calmi. Parliamo un po'. Cosa le è accaduto?
Con la voce spezzata Fabio le spiegò che si buttava nel Tevere.
- Ecco sì, nel Tevere, se non li trovo e subito dopo raccontò di Clara e di Daniele.
Prendendo una scodella di minestra in cui galleggiavano grossi bocconi di carne, la donna, oramai sulla cinquantina, la spolverò di formaggio e la porse a Fabio.
- Non le do alcuna indicazione se non mangia.
Ubbidì come uno scolaretto, ma lentamente perché neanche il brodo ne voleva sapere di calare giù. Poi la fissò senza domande.
Incrociando le mani sul petto, come per dire mi creda, gli spiegò :
- Al S. Pietro. Lei deve andare sulla Cassia.
- Vengo proprio di là.
Dopo aver scarabocchiato su un tesserino che aveva preso da una tasca lo porse a Fabio.
- Lo mostri all'entrata. Qualcosa le diranno.
Accavallando i passi Fabio era di nuovo all'aria aperta nelle prime ore del pomeriggio in mezzo al vento. Una distorsione interessò il campo visivo e gli edifici si inclinarono a destra. Si rese conto allora che non gli bastavano le forze per inforcare ancora la bicicletta. I muscoli erano rotti, avvelenati dall'acido lattico, incapaci di rispondere ai suoi desideri.
Cominciò a perdere sangue dal naso.
Tornò sui suoi passi e cercò di nuovo aiuto nel refettorio perché gli permettessero di riposare per qualche ora. Lo chiese timidamente a una ragazzina con gli occhi invasati e una voglia di fragola sulla tempia che gli era venuta incontro vedendo il sangue sgorgare a fiotti per domandargli:
- Vuole mettere una pezza bagnata sulla fronte?
Senza guardarla perché già con le palpebre chiuse, rispose:
- Una panca per dormire mezz'ora.
Era caduto disanimato in due secondi e non si svegliò per le tre successive distribuzioni di pasti. Si sarebbe sorpreso se fosse stato sveglio. Accanto ai tipici frequentatori delle mense pubbliche, sedeva a contatto di gomito gente ben vestita, che per essere rimasta sola e senza mezzi veniva a chiedere un piatto di pastina. Sull'andirivieni tuttavia aleggiava una particolare assenza di rumori. Solo brusii, come se ci si trovasse in chiesa, inoltre piatti posate e bicchieri erano del tipo usa e getta e nessuno che avesse proprio voglia di conversare.
Poi all'improvviso due erano venuti alle mani:
- Mi hai spinto, dove hai la testa?
- Sei ancora tutt'intero.
- Vorrei vedere,

e giù uno spintone anche all'altro che finì con l'omero in un piatto schizzando brodo dappertutto. Stava per cominciare una rissa che in qualche modo alcuni volenterosi riuscirono a soffocare sul
nascere. Neanche questo fu abbastanza per svegliare Fabio. Quando guardò l'orologio erano passate esattamente 24 ore dalla scoperta della sua casa vuota. Sobbalzò per il tempo che aveva dormito come se avesse potuto stabilirne la durata con la volontà. Intorno era cambiato il personale ma gli avventori sembravano i medesimi. Uscì senza salutare nessuno. Lo colpì, prima di finire ancora nella notte, una signora impellicciata e parecchio anziana che più di tutti sembrava in contrasto con l'ambiente e il tipo di avventori. Ad un tratto, proprio mentre Fabio le passava di fronte, si mise a fissare davanti a sé come in un sonno ipnotico.
Uscì con la luna quasi al colmo e andò a riprendersi la bicicletta che aveva risolto di occultare a poca distanza in un angolo tra due caseggiati, dietro una lastra zincata, appoggiata al muro maestro.
Non c'era. Guardò lungo il perimetro dell'edificio temendo di aver dimenticato il luogo dove l'aveva effettivamente nascosta, ma non era da nessuna parte. Cominciò a riaffiorare la stanchezza.
Voltò tentennando sulla sinistra nella direzione di piazza dei Cinquecento, verso via Veneto, pensando a come potesse fare per ritornare sulla Cassia più in fretta che affaticandosi a piedi, quando come un miracolo, all'altezza di S. Maria degli Angeli, anch'essa coi battenti spalancati, vide legata ad una albero una bici. Non stette neanche a domandarsi se al proprietario servisse con la medesima urgenza e necessità che a lui.
Non gli parve un furto, ma una grazia.
Ricominciò a pedalare e ad un tratto ebbe una sensazione del già vissuto, come se stesse percorrendo l'ansia della notte precedente e non questa. Controllò, non appena se ne ricordò, il tesserino che gli aveva consegnato la volontaria della Caritas e ebbe una visione di lei in preda alla febbre, alle papule che la sfiguravano e alle emorragie, col sangue che si tuffava da tutti gli orifizi, dalla cornea nera di capillari scoppiati, col respiro affannoso per i liquidi vischiosi e le lesioni che intasavano bronchi e polmoni.

 

Fortuna Della Porta
 

 

 

 

 
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Piazza Scala News - novembre 2011