Pertinace occupò la sua “poltrona” dopo aver rinnovato il cuscino con felci
fresche e Pietro gli sedette a fianco su quelle scartate. “Quattro C” esordì
Pertinace poggiando la schiena al tronco del castagno, “ma non in
quell’ordine”. Fu come se Pietro fosse piombato in un fittissimo banco di
nebbia. Non era abituato ad ascoltare da Pertinace linguaggi ermetici e
restò perplesso. Ma questi lo tolse d’impaccio precisando: “L’ordine è:
Cervello, Confronto, Consapevolezza, Compensazione. Che poi abbia necessità
di usare questi termini, per così dire, alla rinfusa, non significa che
l’ordine non debba essere quello che ho detto. Però intendiamoci subito
prima di addentrarci in qualche discorso lungo e impegnativo”.
"Io non sono, come già ti dissi, uno specialista che aspiri a sconfinare in
campo altrui o - per carità - a pontificare su materie complesse come sono
quelle che riguardano in genere le
manifestazioni del cervello umano. Non è nel mio stile e sarebbe un
imperdonabile atto di presunzione”.
"Io sono soltanto quello che tu sai, cioè un uomo di modesta cultura, con
qualche briciola di conoscenza filosofica che mi consente però, combinandosi
con l’esperienza, di arrivare a conclusioni che mi sembrano importanti
perché confortate dal buon senso”.
"Non pretendo, si capisce, né di scoprire l’acqua calda e neppure di
impersonare una nuova corrente di pensiero”.
"Però dimmi tu cosa servirebbe avere letto tanti libri, averne assimilato la
parte che è concesso a ognuno di assimilare, avere avuto rapporti con tanta
gente dell’età più disparata e di sesso e razza diversi, avere viaggiato,
gioito e sofferto, avere accumulato un prezioso bagaglio di esperienza, se
poi ci fosse negata la possibilità di tirare le somme, di dire infine a
qualcuno come la pensiamo su qualche aspetto della vita e di portare il
nostro piccolissimo contributo alla crescita della società? Cosa ci
servirebbe avere avuto l’immensa fortuna di esistere dopo i lumi se poi non
mettessimo a disposizione, almeno del nostro prossimo immediato, il frutto
più qualificante della nostra esistenza e cioè il nostro pensiero?”.
Pertinace tirò il fiato, accavallò la gamba destra sulla sinistra e si portò
la mano aperta sulla fronte - a mo’ di visiera - come per proteggersi dalla
luce e allungare quindi la gittata dello sguardo per dare un nome alla
figura femminile che intravvedeva in lontananza al confine tra le acacie e i
castagni.
Pietro si sentiva ai sette cieli, come si usa dire, e pensò perfino con
tenerezza alle ultime parole con le quali sua moglie lo aveva fulminato
uscendo di casa.
Una parola di Pertinace gli riuscì difficile da capire e ne chiese
spiegazione: “I lumi?”. “I lumi, i lumi, la luce, l’illuminazione,
l’illuminismo!” rispose pronto Pertinace, accalorandosi.
E proseguì: “Dopo il buio c’è stata la luce. Dopo il Medioevo, a torto
considerato tenebra, l’uomo si ricordò delle sue radici e riallacciò
rapporti più stretti con gli antenati dell’Umanesimo e del Rinascimento che
hanno dato all’Europa una specie nuova di fauna umana, sviluppò energie
sconosciute e ragionò infine in termini moderni riabilitando, se mi permetti
di parlare così, il proprio cervello. In poche parole, prima l’uomo era in
uno stato di minorità, incapace di servirsi del proprio intelletto senza
essere guidato da altri; i lumi o l’illuminismo rappresentarono l’uscita
dell’uomo dalla minorità dovuta a propria colpa. Questo concetto - bada bene
- non è mio ma di Emanuele Kant. Non so se mi spiego”.
La figura femminile prima intravista da Pertinace s’era frattanto avvicinata
ai due, nei pressi dei quali passò accennando ad un saluto senza neppure
alzare gli occhi.
Non era del paese. Pertinace e Pietro risposero al saluto
interrogandosi con lo sguardo se uno dei due la conoscesse e rispondendosi
negativamente col capo. Pertinace continuò: “Hai capito, allora, cosa sono i
lumi?”. “L’avete detto voi. Il cervello...” disse Pietro. “Ecco, bravo” lo
interruppe Pertinace “da qui dobbiamo partire per il nostro discorso sulla
frustrazione”.
Dopo un istante di riflessione continuò: “In passato si designavano quali
sedi di sentimenti o di attività spirituali, parti del nostro corpo diverse
dal cervello”.
“Così il cuore era la parte dove risiedevano i sentimenti in senso lato, il
torace era quella destinata all’anima, il fegato o altri visceri assolvevano
ad altre funzioni similari, e così via”.
“Tra parentesi, a nulla era valsa l’intuizione di Ippocrate, considerato il
padre della medicina, che nel 500 avanti Cristo, aveva scritto: “L’uomo deve
sapere che da null’altro che dal cervello provengono gioie, piaceri, sorrisi
e divertimenti e dolori, tristezze, sconforto e lamenti”.
“Quelle convinzioni, frutto di ignoranza, resistettero fino a quando gli
studi, le ricerche e le scoperte non le spazzarono via. Ci si avvide,
insomma, e ora è universalmente acquisito, che nulla o quasi accade in noi,
di fisico o di metafisico, che non sia espressione diretta o indiretta di
precise funzioni del nostro cervello. Anche quando esse funzioni sembrano
ubbidire a meccanismi di autoregolazione, l’attività connessa è sotto
diretto controllo del cervello”.
“Ne discende che tutte le definizioni generiche, come cuore, mente, anima,
spirito, pensiero, psiche, intimo e simili, identificano di volta in volta
settori circoscritti o attività ben precise di dello straordinario,
sconfinato e, per molti aspetti, misterioso laboratorio-archivio che è
racchiuso nel nostro cranio. In questa sede occorre dunque ricercare la
fonte di tutti i comportamenti umani e in definitiva di tutto il bene e il
male esistenti sul nostro pianeta”.
“Senza l’attività del cervello, nelle sue manifestazioni via via sempre più
evolute, da quando migliaia e migliaia di anni fa l’uomo si alzò in piedi,
maneggiò la clava, pose al suo servizio il mondo circostante, inventò la
ruota, si destreggiò nell’elemento liquido dal quale forse proviene, costruì
palafitte, giù giù fino alle piramidi, a Ulisse, al pensiero di Socrate e
all’arte di Fidia, a Copernico e a Galileo, a Leonardo, a Erasmo, a
Cartesio, a Voltaire, a Mozart, a Einstein e a tantissimi altri
rappresentanti illustri del genere umano, senza questa formidabile e
incontenibile forza propulsiva, protesa in ultima analisi a conoscere e
sapere sempre di più, l’uomo sai cosa sarebbe? Un semplice tubo digerente.
Un essere come tanti altri che non avrebbe altro scopo se non quello di
predare e assicurare la continuità della specie”.
“Ma - in tal caso - a che prò? Se non possedesse le qualità su-periori che
abbiamo detto, se non fosse divorato dal fuoco della conoscenza, se non
fosse il detentore di questa fornace nella quale brucia autoalimentandosi la
preziosa quantità di energia che lo pone nettamente al di sopra di qualsiasi
altro essere vivente, egli - l’uomo intendo - camminerebbe ancora su quattro
zampe, coperto di peli e munito di coda, sperduto nella savana o sulle rive
dei fiumi o abiterebbe sugli alberi della foresta tropicale. Capisci allora
cosa intendo dire quando parlo di cervello?”.
“Sì, sì, capisco” rispose Pietro “un animale straordinario” e, sperando che
Pertinace non lo sentisse, mormorò “una specie di Padreterno”. Ma erano
tanto vicini che lo sentì e lo apostrofò: “Fai in fretta tu a dire che hai
capito, ma se vieni fuori con l’animale e il Padreterno dimostri esattamente
il contrario. Può darsi, è vero, che animale sia stato nel lontanissimo
passato, ma non lo sappiamo con certezza matematica. Ora però non lo è più
se a questa parola diamo il significato che comunemente si dà. Quanto poi al
Padreterno andrei cauto; non vorrei entrare in discussioni di tipo religioso
che potremmo fare in altro momento. Per ora stiamo coi piedi per terra e
limitiamoci a prendere atto dello stadio evolutivo al quale l’uomo è
arrivato grazie unicamente alla meravigliosa struttura del suo cervello”.
“Animale no, Padreterno no, ma allora cos’è l’uomo?” chiese Pietro sicuro di
attizzare un fuoco già gagliardo per proprio conto.
“Uomo e basta” rispose Pertinace “Dici poco? E vero che talvolta si crede o
si sente un Padreterno. Ma quando assume atteggiamenti di questo tipo
sbaglia o finge. Egli è soltanto un essere dotatissimo, coi pregi che
abbiamo enumerato, ma ancora con tanti difetti. Insomma un uomo e basta,
ecco”.
Pietro era estasiato e manifestò il suo stato d’animo con un’esclamazione
che restituì più vigore all’infervorato eloquio di Per-tinace. Disse,
facendo cerchio con entrambe le mani intorno al capo: “Certo, sembra un
prodigio che una scatola così piccola possa celare un meccanismo tanto
complicato e affascinante”.
“Non è soltanto questo” riprese Pertinace “è anche misterioso e fors’anche
geloso della sua complessità. Tant’è vero che quel poco che gli specialisti
presumono d’aver capito, l’hanno desunto dallo studio degli ‘ingressi’ e
delle ‘uscite’, cioè da quanto il cervello eredita o gli perviene (ingressi)
e dai conseguenti comportamenti (uscite). Ma questo metodo, che potrebbe
rivelarsi efficace se il meccanismo fosse semplice, non dà I rutti e
spiegazioni convincenti relativamente alla biologia del comportamento e ai
molteplici stati d’animo dell’uomo”.
“Calma, calma, signor maestro” intervenne Pietro “non vi seguo più. Non sono
argomenti alla mia portata se parlate di biologia e stati d’animo. Mi dovete
scusare”.
“Lasciamo perdere allora” incalzò Pertinace “Ma sai almeno che il cervello
fa i miracoli?”.
“I miracoli?” trasalì Pietro sbarrando gli occhi, lui uomo di chiesa, più
per il sacrilegio che ora sentiva nell’aria che per la curiosità di
apprendere una notizia straordinaria.
“ I miracoli, i miracoli” affermò con tono di sicurezza Pertinace.
"lo ho sempre saputo” azzardò Pietro “che i miracoli sono fatti dal
Padreterno attraverso l’intercessione dei santi. Se le cose ora sono
cambiate...” e lasciò cadere la frase spalancando le braccia con lo sguardo
rassegnato verso il cielo.
" Mettiti l’animo in pace” precisò Pertinace “perché le cose non sono
cambiate. Se puoi trattenerti ancora qualche momento cercherò di spiegarmi”.
Pietro non rispose. Accennò, con uno sguardo misto a disgusto e severità, un
impercettibile assenso col capo quasi a dimostrare alla propria coscienza di
voler rimanere estraneo al sacrilegio che già aveva sentito aleggiare e che
ora, pensò, Pertinace si accingeva a compiere. Sperava che l’accenno al
Padreterno e l’atteggiamento di palese disinteresse bastassero a far
desistere Pertinace dal discorso sui miracoli o, quanto meno, a
procrastinarlo.
Ma Pertinace non abboccò. “Ti potrà sembrare strano” disse "ma dal mio punto
di vista i miracoli esistono, eccome!”.
Ora Pietro si sentì sollevato e, annuendo col capo, abbozzò anche un mezzo
sorriso che, nonostante l’impegno che vi profuse, risultò ambiguo.
Pertinace proseguì: “La scienza ha ormai acclarato che sussistono alcune
patologie, voglio dire malattie, che discendono direttamente dalla sfera
emotiva. In parole povere, grandi dispiaceri, fortissime, laceranti emozioni
danno luogo, nel nostro cervello, a vere e proprie tempeste. Esse scatenano
processi elettrochimici che vanno a colpire e scaricarsi nella parte del
nostro corpo che in quei frangenti risulta più vulnerabile delle altre, meno
protetta cioè dal sistema immunitario. In questo modo nascono talune
malattie che in gergo tecnico si chiamano psicosomatiche. Il che vuol dire
che la sofferenza della sfera emotiva, la psiche, si trasferisce, sotto
forma di malattia, in una parte del corpo, il soma. Da qui, psicosomatica.
Ci siamo?”.
Pietro rispose affermativamente, ma il suo sguardo era obliquo e guardingo
come se fosse in attesa di notizie sgradevoli.
Pertinace riprese: “Per chiarire ancora meglio il concetto, quando il nostro
cervello riceve, attraverso i sensi, informazioni particolarmente spiacevoli
o dolorose, le traduce, in non pochi casi, in turbolenza emotiva e le
scarica, come fossero proiettili di natura elettrochimica, sulla parte più
vulnerabile del nostro corpo, dando luogo alla malattia. Tieni presente che
queste infermità sono più diffuse, a parer mio, nei Paesi industrializzati,
nei quali il cosiddetto progresso pretende dall’uomo, anzi gli impone, un
elevato tributo in termini di stress. Ma lo stress, tutti ormai lo sanno,
altro non è che una micidiale miscela di ansia, tensione e affaticamento
che, alla lunga, produce anch’essa disturbi fisici di vario genere. Fin qui
dunque ci troviamo di fronte a un’attività cerebrale di tipo negativo. Ne
esiste però un’altra di segno positivo, in grado cioè di ‘fare i miracoli’.
Vediamo come. Dalla centrale operativa, cioè dal cervello, stimolato
spasmodicamente dal desiderio della guarigione, che è fortissima volontà di
sfuggire alla malattia (perdonami se devo aggiungere che comunemente si
confonde con la fede) partono, anche qui, informazioni di segno contrario a
quelle che abbiamo esaminato prima e producono effetti terapeutici
mirabolanti sulla malattia in atto. Così avvengono i miracoli. La scienza,
che non è ancora in grado di spiegare questo secondo processo, darà in seguito le
certezze scientifiche e farà piazza pulita delle credenze miracolistiche di
oggigiorno. Quello sarà un grande momento per l’umanità intera. Nel
frattempo ben vengano i simboli e le immagini che l’uomo s’è costruito nei
secoli per le sue insicurezze, come le chiese, i santi, i santoni e
quant’altro, se riescono a far produrre quella che io chiamo spasmodica
stimolazione del ( ci vello grazie alla quale esso produce sostanze ancora
sconosciute che sono in grado di ‘fare il miracolo’ della guarigione”.
Questa teoria, che salvaguardava in certo qual modo le credenze religiose, i
luoghi e gli oggetti di culto, venne accolta da Pietro senza entusiasmo,
anzi con freddezza. In cuor suo si riservò di parlarne al parroco, perché
non lo convinceva il ruolo meramente strumentale che Pertinace aveva
assegnato all’intero patrimonio religioso.
Lorenzo Milanesi
(continua)
Da "Tiramisù - Ossia l'incontenibile desiderio"
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Piazza Scala News - marzo 2013