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L'antagonista



Irina, istruita alla severità e alla grazia nelle scuole russe più prestigiose, levita sostenuta da una striscia di nastro con una rosa rossa
alla caviglia, in una luce di fosforo, mentre il pubblico ammutolito trattiene il respiro.
Lei, azzurrina, si solleva e ricade di alcuni metri più in basso, abbandonandosi sinuosa e sensuale all'evoluzione, in un abito bianco
scollato, dall'orlo asimmetrico. Una musica sostiene ad uno uno i suoi slanci da astronauta in assenza di peso, fata incantevole, magnolia leggiadra.
Dietro la tenda di velluto bordeaux, che delimita la pista dal regno della confusione da cui nascono ogni volta avventurosamente i
numeri, Jim, l'inserviente, pensa a queste cose e cerca di fermare il cuore. Anche lui è quasi senza fiato.
-Jim, lo chiama Star a bassa voce, ma il compagno fa un gesto con la mano per dire che parleranno dopo.
Star, ex contorsionista, lo guarda compatendolo e scuotendo il capo, ma finisce con l'ammonirlo:
-Rassegnati, è sposata. Sposata, aggiunge riferendosi al marito, ad un vero gorilla. Fattene una ragione.
Il marito di Irina è soprannominato proprio così per l'aspetto pesante e quasi brutale. Riesce a sollevare una piramide di sei ragazzoni in un numero non meno straordinario e avvincente di quello di Irina.
-A quell'età età…mormora Star, rimpiangendo la sua passata forza muscolare, l'antica flessuosità, che ancora s'intravedono nel corpo
sottile e tuttora ben allenato. La sua pelle scura luccica per la traspirazione, ha la barba di alcuni giorni. Capillari infiammati
intersecano la cornea.
Jim si asciuga in filo di sudore appena sotto i capelli a spazzola, da albino, e cerca di pensare che tra poco si dovrà montare la gabbia delle tigri, ma non riesce a tenere lontano il ricordo di quando la stella era lui e il pubblico andava ogni volta in visibilio, guardandolo quasi sorvolare il cavo metallico dal diametro di appena un centimetro, un percorso quasi naturale per i suoi piedi velocissimi: una sedia a cavallo della corda, un ombrello in una mano e il suo funambolismo di alta classe per le capriole.
Anche nei paesi più sperduti o nelle piazze estere, dove la fama non riusciva a precederlo, era sempre un successo la sua camminata sul filo a quattro metri da terra, il salto mortale, con l'unico punto di approdo su quella fune sospesa da un capo all'altro del tendone. Allora anche la sua muscolatura guizzava come un'imbottitura, stridendo per contrasto col suo colorito da bimbo, dalle tinte annacquate e gli occhi sbiaditi.
Sa bene come si sente Irina; conosce la fatica occultata dalla leggerezza dei movimenti e l'esaltazione procurata da tanti occhi
incantati dall'esibizione.
A Jim, come sempre ogni sera, a questo punto viene quell'altro ricordo, vale a dire la sua caduta rovinosa, dopo la quale gli avevano
destinato quel ruolo da nulla oppure, lo avvisarono, si sentisse libero di cercarsi un ingaggio migliore.
Star sembra leggergli nel pensiero:
-In fondo, sussurra, non ti restava molto. Il tempo passa per tutti.
Guarda me. E aggiunge dopo una pausa: -Di', quanto avevi ancora? Un anno? Due?
-Quelli che mi aveva dato il padreterno, risponde distratto Jim, continuando a fissare il nastro che sostiene miracolosamente Irina.
Il cavo quella sera aveva ceduto subito, sotto la leggera pelle della pantofola, ma l'inchiesta era andata per i fatti suoi, intanto che lui era in coma. Errore umano: questo aveva letto sulle carte, non appena si era ripreso.
Il circo, pensa, all'apparenza mondo dell'innocenza, non è meno feroce di altre comunità di lavoro. Lo avevano scaricato senza un
grazie, impedendogli di riscuotere un risarcimento più congruo dall'assicurazione. Se avessero ammesso anche una lieve negligenza, il risarcimento sarebbe stato consistente. Invece per non avere grattacapi avevano preferito accusarlo di una disattenzione.
Dalla sua personale e discreta inchiesta era venuto fuori che quella sera alla fune aveva lavorato il gorilla. Immaginava che chi non aveva teso il cavo a dovere quella sera aveva sperato anche che crepasse per evitare una versione più aderente all'accaduto, ma Jim, quando tornò dall'ospedale, alle conclusioni dell'indagine non si era opposto, non aveva fornito alcun resoconto. Aveva detto al poliziotto, non appena ripresa conoscenza, a voce bassa e con una smorfia delle labbra:
-Non ricordo e quello aveva scritto un po' ed era andato via con il fascicolo sotto l'ascella.
Il gorilla se ne stette per tutto il tempo dietro la porta dell'ufficio del direttore, quando Jim fu interrogato l'ultima volta, aspettando l'esito
della deposizione, e Jim uscendo lo guardò a lungo, senza espressione.
Poi si strinse nelle spalle come fosse incerto e finì addirittura col rassicurarlo, sfoderando dopo un minuto la medesima bugia anche con lui.
-Non sono stato d'aiuto, non ricordo nulla.
Doveva risolvere la questione a modo suo e aveva bisogno di tempo per riflettere. Sulle prime non ne fu affatto cosciente, ma si era
fermato nel luogo dei suoi peggiori ricordi solo per vendicarsi; per lo stesso motivo non aveva cercato un altro ingaggio appena rimesso a nuovo, sebbene dubitasse di riuscire a librarsi per aria cercando l'approdo sulla fune, senza sentire, dopo la disavventura, un pizzicore alla nuca.
In ogni modo per lui la faccenda non si era affatto conclusa.
Fu allora che cominciò a guardare Irina e a fantasticare sul modo di portarla via all'energumeno, così, solo per vendicarsi in quello che il gorilla aveva di più caro. Ma poi era rimasto invischiato come una mosca sul miele e aveva perso la pace. Si era innamorato e ora era questa la ragione a trattenerlo più dell'altra.
Irina gli scompaginava il cuore, gli seccava la bocca e farfugliando non si può fare una dichiarazione d'amore. Con lei non aveva neanche tentato di accennare ai suoi sentimenti, ma Jim sperava di riuscirci prima o poi.
Vedendolo più imbambolato del solito, il compagno lo incita a tenersi pronto perché Irina ha quasi finito. Dopo le tigri, toccherà proprio al gorilla
, che da qualche parte sta facendo il riscaldamento e Jim vorrebbe il rivale nelle fauci di una delle fiere, in particolare in quelle
di Safira, la tigre siberiana, che spalanca una bocca in cui entra una testa umana. Ogni sera di spettacolo, quella del suo domatore
scompare per un attimo oltre i canini adunchi per ricomparire subito dopo. A Jim d'un tratto, in mezzo ai denti, sembra di vederne un'altra e subito dopo immagina di sentire lo scricchiolio dei canini sulle ossa del cranio del gorilla e allora avverte un brivido.
Fantastica di dargli un sedativo e di gettarlo nella gabbia, sollevando la sua massa spropositata con uno sforzo atroce. Pensa a un piano che contempla parecchie soluzioni sul modo di addormentarlo e di caricarselo addosso fino al recinto delle tigri o dei leoni.
Fargli precipitare un peso dall'alto, un riflettore per esempio, non è impossibile per lui, perché sistemare i proiettori rientra nelle sue
mansioni. Occhio per occhio: potrebbe distrarsi anche lui nell'issare il faro pesantissimo lassù, come si era distratto il gorilla appresso ai casi suoi quella volta, distruggendogli la carriera e dunque la vita. Deve solo trovare il sistema per farlo precipitare sulla testa giusta.
Seccato dalla svogliatezza del compagno, Star, che lavora in coppia con lui dalla disgrazia, deve scuoterlo per farlo muovere. L'altro
apparentemente si trasforma e comincia ad agire come un forsennato.
-Stasera sei più irritante del solito, dice Star.
Sollevando la passerella delle tigri, Jim non ci bada. Sta riflettendo su come liberarsi dell'ostacolo che si frappone tra sé ed Irina, perché si è convinto da certe occhiate di non esserle indifferente.
Negli ultimi tempi ha notato che Irina lo cerca con gli occhi dietro lo spiraglio della tenda, ogni sera, appena rimessi i piedi a terra. Gli
manda segni sbattendo le ciglia, ammiccando, ma soprattutto frugando lo spazio fino ad incontrarlo con lo sguardo. Non manca mai di girarsi verso la tenda e fare dei cenni con la fronte concava, contratta in alcune rughe longitudinali, col serico velo del sudore che la forte luce mette in risalto.
Una volta gli lanciò un bacio sulla punta delle dita alla fine del numero e allora avvertì le ginocchia molli e un vuoto allo stomaco.
In genere però gli sembra che Irina gli confessi coi suoi messaggi dissimulati che ha paura. Paura del gorilla, pensa Jim. Di chi altro, se no? Irascibile e vendicativo, il gorilla rischia quasi ogni giorno di ficcarsi in una rissa e molti, conoscendolo, si tengono a debita distanza. Non lo ama nessuno.
Irina, continua a rimuginare Jim, è soggiogata da un marito manesco, sollevatore di piramidi umane, ma senza troppa intelligenza, dai tratti istintivi e arcaici. Forza bruta e basta, riflette ancora Jim, contrapponendo ai difetti dell'altro la sua innata gentilezza.
Il numero delle tigri è finito, ma non ne ha recepito il minimo particolare. Riprende a smontare le inferriate con furia, sempre con Star a contatto di gomito.
-Sembri la mia ombra, si lamenta Jim.
Il gorilla entra poco dopo sulla pista e riscuote il suo applauso ancor prima di incominciare, mentre Jim pensa alla boccetta di sonnifero che ha preso in infermeria. Aveva allungato una mano e il flacone si era fatto prendere senza resistere: tutte le porte aperte, la vetrina persino spalancata volevano pur dire qualcosa. Un segno del destino, pensa Jim.
Eppure non ha deciso. Ancora l'idea di provocare un incidente gli sembra la congettura migliore.
Ho tutto il tempo che voglio, ripete per l'ennesima volta, continuando a barcamenarsi tra le ipotesi.
Alcune ore dopo non saprebbe riferire come sia andato lo spettacolo e quanto tempo abbia lavorato quella notte per mettere a posto ogni cosa. Non avverte nemmeno stanchezza, non ha sonno.
Chiede a Star se si ferma a bere qualcosa perché non ce la fa a sopportare tanti pensieri che non portano a niente, ma l'altro risponde
che è tutto intorpidito, essendo ormai quasi mattina.
-Chiedilo a Charle, lui non rinuncia mai ad una bevuta.
-Per poi tenermelo a russare per il resto della notte. Meglio di no.
Si salutano per due direzioni diverse e Star se ne va con una mano in tasca, fischiettando.
Jim beve da solo, continuando a pensare.
Mi devo decidere, continua a ripetere ossessivamente, ma poi come in uno squarcio un'altra considerazione occupa la sua mente.
Mi mantengo sul vago, pensa disorientato, perché non ho il fegato di fare ciò che va fatto, ecco la verità. Sono uno smidollato, un essere senza spina dorsale.
D'improvviso gli sembra che la vaghezza sconclusionata dei suoi piani dipenda dal rifiuto profondo di macchiarsi di un omicidio. Non aveva ammazzato una mosca in vita sua, come aveva potuto considerare di applicarsi a una barbarie del genere? Non ci sarebbe mai riuscito. Eppure il nuovo se stesso, nato dopo la caduta, non intende abbandonarlo. Erano cambiate tante cose, oltre al suo carattere, da allora. Una collera sorda appesantiva ogni gesto. Aveva dimenticato come si possa tranquillamente conversare e addirittura ridere con gli altri. Questa condizione di sofferenza, pensa, può ammettere un assassinio.
Continua a lungo a tormentarsi con la stessa domanda se una volta almeno nella vita sarà capace di comportarsi da uomo, è stanco di girare a vuoto.
A questo punto prende un foglio e stende il piano punto per punto in forma scritta per dargli consistenza e a se stesso un po' di sollievo.
Lo legge e lo rilegge e per la prima volta gli pare adeguato, con un buon margine di riuscita e soprattutto congegnato in modo che sia alta la possibilità di farla franca.
Deve essere un lavoro subdolo che simuli una disgrazia, quindi la caduta di un peso dall'alto rappresenta la risoluzione su cui
concentrarsi. Gli serve almeno un mese per seghettare, anzi per consumare, il gancio di sostegno del riflettore, in modo da simulare un cedimento con un opportuno strattone quando il gorilla occuperà il punto centrale della pista per le prove di sollevamento, che precedono il numero vero e proprio.
A questo punto sta figurandosi che, immediatamente dopo, Irina sarà libera di stare con lui.
Va a letto col sangue che si placa mentre ad est si apre uno squarcio più chiaro, mentre la prima rondine esce dal nido, mentre Irina con una valigia e Star che le cinge la vita si allontanano verso i loro disegni senza salutare nessuno.

Fortuna Della Porta
Da LABIRINTI
febbraio 2010


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