VIRUS - undicesima parte
da LABIRINTI di Fortuna Della Porta

 

 

Era caduto disanimato in due secondi e non si svegliò per le tre successive distribuzioni di pasti. Si sarebbe sorpreso se fosse stato sveglio. Accanto ai tipici frequentatori delle mense pubbliche, sedeva a contatto di gomito gente ben vestita, che per essere rimasta sola e senza mezzi veniva a chiedere un piatto di pastina. Sull'andirivieni tuttavia aleggiava una particolare assenza di rumori. Solo brusii, come se ci si trovasse in chiesa, inoltre piatti posate e bicchieri erano del tipo usa e getta e nessuno che avesse proprio voglia di conversare.
Poi all'improvviso due erano venuti alle mani:
- Mi hai spinto, dove hai la testa?
- Sei ancora tutt'intero.
- Vorrei vedere,

e giù uno spintone anche all'altro che finì con l'omero in un piatto schizzando brodo dappertutto. Stava per cominciare una rissa che in qualche modo alcuni volenterosi riuscirono a soffocare sul
nascere. Neanche questo fu abbastanza per svegliare Fabio. Quando guardò l'orologio erano passate esattamente 24 ore dalla scoperta della sua casa vuota. Sobbalzò per il tempo che aveva dormito come se avesse potuto stabilirne la durata con la volontà. Intorno era cambiato il personale ma gli avventori sembravano i medesimi. Uscì senza salutare nessuno. Lo colpì, prima di finire ancora nella notte, una signora impellicciata e parecchio anziana che più di tutti sembrava in contrasto con l'ambiente e il tipo di avventori. Ad un tratto, proprio mentre Fabio le passava di fronte, si mise a fissare davanti a sé come in un sonno ipnotico.
Uscì con la luna quasi al colmo e andò a riprendersi la bicicletta che aveva risolto di occultare a poca distanza in un angolo tra due caseggiati, dietro una lastra zincata, appoggiata al muro maestro.
Non c'era. Guardò lungo il perimetro dell'edificio temendo di aver dimenticato il luogo dove l'aveva effettivamente nascosta, ma non era da nessuna parte. Cominciò a riaffiorare la stanchezza.
Voltò tentennando sulla sinistra nella direzione di piazza dei Cinquecento, verso via Veneto, pensando a come potesse fare per ritornare sulla Cassia più in fretta che affaticandosi a piedi, quando come un miracolo, all'altezza di S. Maria degli Angeli, anch'essa coi battenti spalancati, vide legata ad una albero una bici. Non stette neanche a domandarsi se al proprietario servisse con la medesima urgenza e necessità che a lui.
Non gli parve un furto, ma una grazia.
Ricominciò a pedalare e ad un tratto ebbe una sensazione del già vissuto, come se stesse percorrendo l'ansia della notte precedente e non questa. Controllò, non appena se ne ricordò, il tesserino che gli aveva consegnato la volontaria della Caritas e ebbe una visione di lei in preda alla febbre, alle papule che la sfiguravano e alle emorragie, col sangue che si tuffava da tutti gli orifizi, dalla cornea nera di capillari scoppiati, col respiro affannoso per i liquidi vischiosi e le lesioni che intasavano bronchi e polmoni.
Aveva avuto modo di seguire sulla televisione satellitare, in un programma scientifico, l'animazione di tutti gli stravolgimenti fisici dovuti alla malattia e si era affrettato a cambiare canale non appena aveva cominciato a grondare di sudore.
Più assennata di lui, Clara si era sempre sottratta all'asprezza delle spiegazioni e delle immagini.
- Hai ragione, aveva mormorato abbracciandola di spalle. Bisogna essere sadici per resistere.
Clara se lo era scrollato di dosso, con la freddezza delle ultime settimane. Poco dopo saliva per via Veneto, con l'illuminazione pubblica ripristinata e gli alberghi al buio, irriconoscibile. Le aiuole circolari, di
recente sistemate, straripavano di colori. Prese per Piazza Pitagora lungo la discesa e poi di nuovo su Corso Francia verso l'ospedale.
Vi giunse in qualche modo, poco dopo che una spina lancinante gli trapassava la pianta del piede e poi su verso il ginocchio.
- Chi se ne frega, ma gli sembrò che fosse un gemito. 
- Bentornato, percepì proprio in quell'istante, adesso la liberiamo dal tubo.
- Non cerchi di parlare, aggiunse un'altra voce di timbro più acuto.
Tragga un profondo respiro e poi getti fuori il fiato con tutte le forze.
Adesso.
Sentì di nuovo la prima voce che per quanto lo riguardava non apparteneva a nessuno:
- Fabio, l'abbiamo acciuffata per i capelli. Lei è stato baciato dalla fortuna.
Non era lì per farsi togliere un tubo dalla trachea, ma per avere notizie di Clara e Daniele e allora domandò, non appena nella gola scorticata si formarono le prime parole.
- Mio figlio e mia moglie.
L'altro gli prese una mano, su cui erano infilati degli aghi, forse per sentirgli il polso, non appena fu scollegato dalla macchina.
- Non si preoccupi, hanno superato la quarantena e sono stati vaccinati. Complimenti a tutti e tre, siete fuori.
 

Fortuna Della Porta
Fine

 

 

 

 

 

 

Fortuna Della Porta è nata a Nocera Inferiore (SA), scrittrice, poeta e critico letterario. Ha pubblicato cinque raccolte di versi:
Rosso di sera, ed. Il Calamaio, 2003;
Diario di minima quiete ed. LietoColle, 2005;
Io confesso, ed. Lepisma, 2006;
Mulinare di mare e di muri, ed. LietoColle, 2008;
La sonnolenza delle cose, ed. Lietocolle, 2010.
Un poemetto di circa 1000 versi, Canto Primo, è apparso sul periodico letterario Poiesis.
Numerosi i testi in antologie e in rete.
In prosa: Scacco al re è opera teatrale per le edizioni Carta e Penna, 2006. I racconti: Ritratti, Oèdipus edizioni, 2007 e Labirinti, e-book, kultvirtualpress, 2007. Articoli e saggi compaiono con regolarità sui maggiori periodici letterari sia cartacei sia on line. È iscritta al P.E.N. club Italia.
Laureata in lettere, ha insegnato per alcuni anni. Vive stabilmente a Roma, ove è Presidente dell’ass. nazionale Le Melegrane per la diffusione della poesia.

 
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