La processione

 

Uno scoppio cupo, fortissimo, lontano, di quelli che, precedendo l’avvio delle feste religiose, hanno lo scopo di richiamare in chiesa gran numero di fedeli, ricordò ai due che stava per iniziare in paese la processione di Sant’Elia
Pietro si alzò quasi di scatto, frastornato dalla nuova teoria sui miracoli e, con l’aria rammaricata di chi deve soggiacere a una grave rinuncia “Devo correre in paese” disse “perché ho un voto da sciogliere. Sono dispiaciuto di interrompere un discorso che mi stava tanto a cuore e che, se avete la bontà, continueremo, anzi continuerete domani o un altro giorno, quando vorrete voi, ma non ne posso fare a meno. Vi ringrazio e vi saluto”.
“Tu mi ringrazi? sono io che dovrei farlo” rispose Pertinace “perché hai avuto la pazienza di ascoltare le mie chiacchiere. Vai, vai, ti saluto. Io mi trattengo ancora una mezz’oretta. Ci vedremo un altro giorno e continueremo”.
In effetti Pietro e sua moglie avevano attraversato un triste periodo per via di una malattia di un figlio che, pur essendo di quelle cosiddette infantili, non accennava a cessare, anzi tutte le volte che sembrava sul punto di risolversi, riprendeva con maggiore virulenza. Fu allora che Pietro e la moglie, pur insistendo con le medicine, si raccomandarono a Sant’Elia promettendogli una bella offerta per la festa.
Il figlio guarì e, ora che si festeggiava il Santo, Pietro si accingeva a saldare il suo debito, come del resto aveva fatto coi medici.
Si avviò lesto e percorse un buon tratto di strada sotto lo sguardo lievemente accigliato di Pertinace. Quando i castagni divennero radi, gli giunse all’orecchio il suono della banda che accompagnava la statua del Santo. Accelerò i passi per arrivare a casa prima che la processione si portasse nel suo vicolo e vi giunse trafelato ma in tempo.
Non era la prima volta che Pietro arrivasse ad un appuntamento importante col cuore in gola, quasi in ritardo, e non era la prima volta che sua moglie, conoscendolo, lo aspettasse armata di occhiate di fuoco. Lo incenerì senza parole. Gli sospinse il bambino beneficato e gli mise in mano qualcosa voltandogli sdegnosamente le spalle per portarsi al piano di sopra sul balcone, dal quale ondeggiava, accarezzato da un sospiro di vento, un copriletto di raso beige con fiori giallo-marrone, esposto, come tante altre donne avevano fatto con le più belle e variopinte coperte dei loro corredi, in segno di omaggio al Santo ormai nelle vicinanze.
Pietro prese in braccio il bambino, gli diede un bacio, aprì la mano senza sollevarla per vedere quanto denaro sua moglie vi avesse deposto e si appoggiò al portone aspettando che la statua, com’era consuetudine, fosse fermata davanti a casa sua.
Sfilarono dapprima i confratelli dell’Assunta in tunica bianca e mozzetto rosso, quindi, con i ceri accesi in mano, i chierichetti, fra i quali erano gli altri due figli di Pietro che salutarono il padre e il fratellino con l’aria di personaggi importanti, poi ancora le bambine vestite da angioletti azzurri e infine il parroco in pompa magna davanti alla statua portata a spalla dai parrocchiani più giovani e vigorosi.
Dai quattro angoli del grande basamento in legno dipinto a fiori su fondo verde chiaro, sul quale il Santo poggiava, si partvano altrettanti giombi retti a mano dalle personalità più in vista del paese, o che tali si ritenevano. Esse, più numerose dei giombi, di tanto in tanto si davano il cambio con un cenno del capo. Era curioso, quasi divertente, osservare tutte queste persone indaffarate intorno alla statua, unicamente preoccupate più di rispettare e far rispettare i turni per potersi mettere in vetrina che di rendere omaggio al Santo. Il quale, incurante della grottesca commedia che si recitava ai suoi piedi, guardava fisso il cielo coi suoi occhi chiari fra l’azzurro spento e il verde cilestrino.
Un’occhiata d’intesa fra il parroco e Pietro fece fermare la statua. I movimenti dei portatori, per quanto esperti, non sono mai perfettamente sincronizzati, talché si ebbe l’impressione, ma soltanto l’impressione, che il Santo scendesse da una scala.
Pietro avanzò col piccolo in braccio, lo adagiò sul basamento della statua con le gambette ciondoloni, distese bene i soldi di carta che gli aveva messo in mano la moglie, ne prese altri dalla tasca e li spillò al largo nastro rosso che cingeva, già abbondante di altro denaro, la parte inferiore della statua di Sant’Elia.
Ne baciò i piedi, riprese il piccolo per le ascelle, lo sollevò istintivamente verso il Santo e si ritrasse nel portone.
Poi la processione riprese il lento cammino lungo il vicolo, che fece da cassa di risonanza alle vivaci note della banda in grande uniforme al seguito del Santo.
Quando il lungo corteo scomparve in fondo al vicolo, nell’aria non rimase che l’eco delle note musicali, il lezzo dei ceri accesi in mano ai chierichetti e il vociare di quattro amici che riprendevano, in un vicino cortile, il gioco delle carte, interrotto per portare l’offerta in denaro.
Pietro ripose il piccolo a terra, lo prese per mano e tornarono insieme a casa, silenziosi. La moglie li accolse sulla porta, si piegò verso il piccolo e lo sollevò in braccio, lo strinse a sé, lo baciò più volte con lo sguardo sorridente rivolto al marito come per suggellare con quest’atto l’adempimento del voto.
Pietro capì che una parte di queste tenerezze erano per lui e che soltanto la presenza del piccolo ne tratteneva la moglie. Le sorrise soddisfatto e si limitò a dirle “Aspettiamo a mangiare che rientrino i ragazzi”. Pertinace, di ritorno dal bosco, incrociò la processione ai margini estremi della piazza. Si fece di lato, quasi defilandosi alla vista e, quando la statua del Santo gli fu vicina, si tolse d’istinto il cappello e si avviò verso casa.
La serata in paese fu tutta per i bambini, eccitati dalle bancarelle dei dolci e dei giocattoli e per le ragazze e i giovanotti i quali, conclusa la solenne funzione in chiesa, continuarono a scambiarsi, fra i lampi dei fuochi d’artificio che chiudevano la festa e l’allentata vigilanza dei genitori, occhiate e cenni galeotti fino a tutto lo sciamare dalla chiesa alle case.
Passarono diversi giorni senza che Pertinace e Pietro si potessero incontrare. L’uno fu convocato alla Direzione didattica del circondario per motivi di lavoro e si trattenne fuori paese per tre giorni. L’altro fu impegnato per tutta la settimana a ultimare una cristalliera di palissandro a due giovani ormai prossimi alle nozze.
L'incendio comunque era ormai appiccato e continuava ad ardere nella mente di Pietro, a tal punto che durante la finitura . lei mobile per i promessi sposini s’era più volte ferito alle mani con gli attrezzi da lavoro, per distrazione, come non gli accadeva da moltissimo tempo.
Anche sua moglie lo aveva sorpreso spesso con lo sguardo nel vuoto e ne era preoccupata. Quando gli chiedeva “Cos’hai? Stai poco bene?” si sentiva invariabilmente rispondere “No, non ho nulla". E se insisteva portando il discorso sulla vita di tutti i giorni  "Ma, allora, perché sei così pensieroso? Hai chiesto qualche prestito?”, non otteneva che risposte vaghe e, seppure rassicuranti per i debiti non contratti, egualmente poco persuasive.
Dal canto suo, Pertinace era tornato alle occupazioni di sempre senza darsi eccessivo pensiero per la solita bonaria ramanzina elargitagli, in mezzo alle tante parole lusinghiere, dalle autorità scolastiche alle quali era giunta all’orecchio la lamentela per certa severità di giudizio nei confronti di qualche suo alunno. Egli invece sapeva bene che quei giudizi erano esatti e che raramente  i genitori li accettano come stimoli al miglioramento dei figli, anzi era perfettamente persuaso che le voci sulla sua severità erano state messe in circolazione e fatte giungere alla Direzione didattica proprio dai genitori di quelli nei confronti dei quali era stato meno severo, per non dire magnanimo.
Ne era abituato e ne sorrideva. Del resto un’infinità di volte aveva ripetuto agli altri - parafrasando Tacito - “Se fai del bene preparati all’ingratitudine” che, quasi quasi, ci rimaneva un po’ male senza la benevola lavata di capo dei superiori. Alla quale lavata attribuiva, paradossalmente, conferma indiretta d’aver lai lo il proprio dovere. Peggio per i superiori, pensava, se non i apiscono queste sfumature e ogni volta ripetono le stesse sciocchezze senza fare distinzione fra un dovere d’ufficio e l’altro.
Ora però stava assaporando il piacere dello scampato pericolo di perdere per lungo tempo l’assistenza di Mariascia che, nei giorni precedenti, accusando un disturbo al basso ventre, temeva di dover essere ricoverata per accertamenti medici. Il riposo invece di un’intera giornata e la successiva visita del medico diradarono i sospetti e così ora egli stava sorbendo, nella penombra della sua stanza, la spremuta di arance che la governante gli aveva preparato per la solita ora con la dose abbondante di zucchero, come a lui piaceva.
Mariascia aveva ricevuto una richiesta di colloquio per Pertinace da parte di Pietro ma non gliela comunicò subito, un po’ per non guastargli il piacere delle sorsate, alla fine delle quali le giungeva, puntuale e gradito, un ‘grazie’ a piena gola, ancora intriso di arance e di zucchero (Mariascia viveva anche di queste cose), e un po’ per rivalersi su Pietro verso il quale nutriva - s’è capito da un pezzo - una certa avversione che aveva radici nella gelosia.
Era fatta così e una volta ricevuto il ‘grazie’ che si aspettava e fatto pagare a Pietro il pedaggio, facendolo attendere più di un quarto d’ora senza motivo, si recò da Pertinace e gli disse “C’è Pietro” con un filo di voce senza inflessione, quasi afona, sperando segretamente che l’annuncio cadesse nel vuoto. “Ah, sì, può entrare” rispose invece Pertinace ritraendo le guance in un mezzo sorriso che indispettì ancora di più Mariascia. Questa richiuse la porta, si recò da Pietro e, senza neppure guardarlo, alzò il braccio indicandogli di accomodarsi.
Quando entrò si cominciò a scusare per l’improvvisa interruzione del discorso nel giorno di Sant’Elia e aggiunse che fu indaffarato per via dell’impegno della cristalliera e per altri lavoretti che aspettavano da parecchio tempo. “Anch’io non ho avuto molto tempo disponibile nei giorni passati” rispose Pertinace “dimmi comunque cos’hai bisogno”. “Bisogno nulla” disse Pietro “sono venuto per sapere se avete ancora desiderio di continuare il discorso interrotto al bosco. Eravamo alle quattro C”. Pertinace lo corresse: “Alle tre C, perché una l’avevamo sviscerata, non ricordi?”. “Sì, sì è vero, dicevo quattro per inquadrare tutto l’argomento. La prima riguardava il cervello” disse Pietro “Esattamente” continuò Pertinace “Non abbiamo di sicuro esaurito l’argomento; ne abbiamo soltanto delineato i contorni, seppure a livello grossolano, perché il cervello è un organo tanto straordinario quanto misterioso, geloso forse - come già ti dissi - dei suoi segreti, e perciò dobbiamo accontentarci di quel poco, pochissimo che sappiamo, specialmente noi che non siamo della materia, e di quello che riusciamo a intuire, grazie proprio al suo aiuto”.

" Ad ogni modo ora non ho tempo per parlare di queste cose; devo finire uno scritto a tutti i costi. Dopo pranzo vado per la solita passeggiata al bosco. Se vuoi ci vedremo là”.
Le ultime parole non ammettevano repliche. Pietro si alzò, abbozzò un “sì” retrocedendo, salutò e uscì senza neppure far caso a Mariascia che lo sbirciò di traverso e si precipitò ad abbassare  rumorosamente il catenaccio del portoncino con l’aria e forse con l’inconscio desiderio di farglielo cadere in testa.

 

Lorenzo Milanesi - Milano

 

Da "Tiramisù - Ossia l'incontenibile desiderio"
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