Leggo su “Piazza Scala” , pur
senza mettere in atto movimenti scaramantici di rito, come
normalmente si fa per casi della specie, la anamnesi del Collega
Giacomo Morandi di Piacenza, in relazione alle “obsolete”
imprese di trasporto all’ultima dimora, come le chiamava il
famoso Gilberto Govi nelle sue comiche performances.
Dico subito che il direttore del nostro sito on-line, Alfredo
Izeta, al quale va un forte plauso per la fatica e
soprattutto per la professionalità con cui ci intrattiene tutti,
più o meno direttamente, mi ha chiesto quale fosse la mia
sensazione prima di pubblicare il pezzo in quanto temeva di
determinare un po’ di…tristezza (chiamiamola così) fra noi
anziani che, di certo, non siamo più alla ricerca del
primo…lavoro, ma che invece preghiamo ogni giorno - stante il
continuo aumento del debito pubblico del governo Berlusconi -
che l’INPS non vada a rotoli…
Ebbene, fatto questo preambolo, aggiungendo qualche mia
argomentazione se vuoi anche non pertinente con quanto scrive
Giacomo, ma sicuramente riconducibile al tema, vorrei
commentare, mettendoci del mio, come in appresso.
Primo, per sgomberare il campo da dubbi, il pezzo di Giacomo mi
è piaciuto, non solo perché l’ho capito forse meglio degli altri
in quanto sono in linea, pressappoco con la sua età (e qui un
purtroppo ci vuole !), ma anche perché al mio paese allora
vigevano le stesse ritualità.
Anzitutto confermo che allora i funerali erano di prima, seconda
e terza classe, così come lo erano gli scompartimenti delle
FF.SS., forse perché il fascismo aveva fatto metabolizzare una
traccia comune anche per i morti…(ma questa è una battuta).
Quanto alle vedove inconsolabili che seguono il feretro, di cui
una “ufficiale”, non ho capito bene se Giacomo volesse alludere
al fatto che il morto, oltre alla moglie “legittima”, avesse più
donne in qualche modo legate a lui… Mi chiedo, anche qui a mo’
di boutade, avuto riguardo alla posizionatura delle vedove
ufficiali o non durante il corteo funebre, a chi delle stesse,
sfortunatamente capitasse di calpestare i depositi verdognoli
dei cavalli che, secondo me, dovevano essere sulla stessa
traiettoria della vedova ufficiale, presumibilmente più vicina,
anche per una certa forma, al povero trasportato… almeno così mi
sforzo di concepire la scena per carpire il buon umore.
Quanto all’uomo in camicia bianca che dirigeva il corteo, una
sorta di cerimoniere insomma, verso il quale Giacomo mostrava
allora una certa versatilità per quando sarebbe diventato più
grande, mi sono venuti in mente i cerimonieri di Palazzo Chigi e
Palazzo Madama, i quali, vestiti di tutto punto, guadagnano
senza fare un granché…
Se poi .- come dice Giacomo - si ricordano le varie associazioni
funebri di categoria, come l’Unione Democratica Operatori
Funerari, la Confraternita del Sereno Trapasso, l’Associazione
Becchini Cattolici ecc. ecc., allora si ha un transfert
immediato verso gli enti inutili che ancora esistono,
profumatamente retribuiti anche ora… se non addirittura ai
partitini della politica attuale
Commentato questo alla carlona chiedendo scusa a Giacomo, vorrei
aggiungere del mio, come anticipavo prima.
Ebbene, mio padre, negli anni 30-35, era impiegato presso
un’impresa trasporti (di cui parlava spesso tanto che ricordo
anche ora il nome: la ditta Campesan di Mestre-Venezia). Allora
non c’erano le lussuose Mercedes “accompagnadefunti” di adesso,
ma cavalli, cavalli e solo cavalli. Erano di colore diverso.
C’erano quelli bianchi che servivano in occasione dei matrimoni
e delle Cresime-Comunioni, quelli neri, austeri, eleganti al
massimo, al punto da incutere un certo timore reverenziale,
utilizzati per il trasporto dei morti verso l’ultima dimora.
Nota curiosa: succedeva spesso che, quando un cavallo era
ammalato o una cavalla era gravida, si poneva rimedio alla
sostituzione con cavalli di diverso colore, esattamente come si
fa per la…posa in opera delle piastrelle (mi è venuto spontaneo
l’accostamento peraltro non del tutto pertinente) perché proprio
mentre scrivo, una rottura dei tubi dell’acqua all’interno di
salotto e cucina della mia casa, mi ha costretto a sistemare i
pavimenti facendo di necessità virtù, con le piastrelle che
avevo di riserva… Ah. Dimenticavo, che questi cavalli servivano
sia i morti che i vivi…
In apertura di questo pezzo ho detto che, non essendo del tutto
pertinente il mio commento con quanto ha
scritto Giacomo, ma
sicuramente riconducibile al tema, vorrei raccontare un
fatterello, piuttosto ilare, o meglio, fra il serio ed il
faceto.
Ebbene, ad un mio caro Collega, Livio Raimondi, funzionario di
Mestre, Venezia, Trento ed altre sedi che non ricordo, un giorno
gli dissi che, durante la settimana, avrei visitato, per
sviluppo, tutte le impresi di pompe funebri della mia zona in
quanto - era noto – non mancavano di liquidità e neanche di
lavoro..
Fu un successo enorme per la raccolta dell’Istituto. Ricordo che Raimondi, quando parlavo delle imprese di pompe funebri, si
metteva sempre le mani in quella parte che prende avvio dopo il
termine della la pancia…e non c’era solo una componente
scaramantica in questo, ma per Raimondi, lo si capiva benissimo,
nasceva una sorta di intensa e ossessiva paura… quasi una
patologia di natura psicologica. Ebbene, un giorno, (non ricordo
se gliela chiesi io come… “campione” o mi fu regalata) un certo
Leonildo Sartori, il più grande impresario di pompe funebri
della zona, mi fece dono di una cassa da morto in miniatura (5
cm x 10 cm) . Cosa pensai al momento di farne ?
Pensai subito a Raimondi. Quando tornai in banca dopo la mia
visita al cliente, dissi a Livio: “Questo è un omaggio che ti
fa, nella tua veste di settorista, il signor Sartori che ti
prega di metterla sopra la tua scrivania, raccomandando di
fargli pubblicità, anche in funzione della raccolta della banca,
non solo, ma egli mi ha anche detto che, in caso di bisogno, ti
avrebbe fatto prezzi buoni.....
Questa volta, Livio andò fuori di senno (si fa per dire), tanto
da essere costretto a toccarsi dal vivo…
Arnaldo De Porti - 2 novembre 2009
|