31 ottobre 2009: HALLOWEEN!

un  raccontino  fra  il  buffo e il satirico ritrovato nei meandri del PC di Giacomo

 

 

 

Da piccolo, quando abitavo in una via centralissima della città ed avevo la camera da letto al primo piano verso la strada, correvo ad aprire la finestra ogni volta che passava un funerale. I cortei arrivavano dalla parte dell'ospedale e si dirigevano, attraversando tutto il centro, verso Barriera Roma ed il cimitero urbano. Un percorso a piedi di un paio di chilometri se non di più. Il morto era alloggiato su un carro nero di legno intagliato, decorato con drappi, accessori dorati ed una o più corone di fiori, trainato da quattro cavalli "vestiti" con mantelli neri e oro e sulla testa portavano pennacchi svolazzanti e paraocchi per impedir loro di distrarsi.
Naturalmente, non tutti i cortei erano ricchi e decorati allo stesso modo. C'erano carri più modesti, trainati da soli due cavalli, spesso ansimanti perché di età avanzata o afflitti da acciacchi, oppure perché il morto era di taglia forte. I funerali erano di 1a, 2a o 3a classe a seconda della capacità o voglia di spesa degli eredi. I funerali di 1° erano sempre preceduti, estate e inverno, da un battaglione di orfanelli vestiti di nero con basco e mantello, guidati, come un gregge, da tre o quattro suore volonterose che li tenevano in riga per quattro e controllavano che i piccoli recitassero con convinzione ed a voce alta i loro "requiem", cercando in tutti i modi di meritarsi l'immancabile generosa offerta. Gli orfanelli erano vestiti allo stesso modo con qualsiasi tempo o temperatura ed avevano un'aria talmente triste e compunta che dimostrava il buon lavoro svolto dalle suore. Uno o più preti, con contorno di chierichetti, precedeva il carro, poi marciavano i parenti dalla faccia compunta, una o più vedove inconsolabili (non capivo questo aspetto, ma mio padre me lo spiegò: una sola era quella ufficiale) e poi gli estranei che chiacchieravano fra loro del più e del meno. Il numero di questi ultimi variava anch'esso a seconda della classe del funerale.
Avevo un interesse ed una curiosità quasi morbosi per questi cortei che erano quasi quotidiani e non raramente ce n'era più d'uno al giorno, alle 9, alle 10 e alle 11 del mattino, perché l'ospedale della mia città serviva a far guarire la gente ma purtroppo le cose di tanto in tanto finivano male.
Io ammiravo in particolare un signore vestito di nero con camicia bianca che dirigeva il corteo, camminando su e giù, facendo star zitte le donne, sospingendo nella colonna chi tendeva a disperdersi sui lati o tentava di guadagnare qualche viuzza laterale e fingeva di non accorgersene quando i cavalli lasciavano sulla strada i loro depositi verdognoli, regolarmente calpestati da una delle vedove.
Una volta avevo visto al cinema un funerale siciliano e speravo che prima o poi qualche scena simile avvenisse nella mia strada. Macchè. Qualche breve pianto pudico e sommesso, in qualche caso imparato la sera prima davanti allo specchio, ma niente urla belluine, grida disperate come se nei dintorni si fosse aggirato Jack lo Squartatore, niente svenimenti e strisciate da serpenti sul pubblico selciato o sul coperchio della cassa da morto, niente "piagnone" a pagamento noleggiate dall'imprenditore.
Quest'ultimo era un vero professionista e di solito, nel suo severo e mesto ufficio, esponeva i diplomi di appartenenza alle associazioni ed alle confraternite di categoria, come l'UDOF (Unione Democratica Operatori Funerari), l'ABAC (Associazione Becchini di Azione Cattolica), la Co.Se.Tra (Confraternita del Sereno Trapasso), nonché medaglie di riconoscimento dell'Unione Tombe Polifunzionali e della Scuola Superiore d'Inumazione Indolore.
Appoggiato alla finestra della mia camera pensavo che un giorno anch'io avrei potuto frequentare quella scuola e diplomarmi come quel signore distinto vestito di nero, avrei imparato le espressioni compunte e dolorose, le strette di mano affrante alle vedove inconsolabili ed avrei ottenuto rispetto e prestigio nella società.
Da grande ho cambiato indirizzo di studi e di carriera, ma mi è rimasta la nostalgia per quello che avrei potuto fare in più nella vita, soprattutto una carriera più brillante nell'ambiente mortuario. Sapevo di averne le capacità.
In anni recenti ho conosciuto uno di questi signori sulla spiaggia di Ospedaletti. Alto e corpulento, parcheggiava vicino al mare una lussuosa BMW ultraaccessoriata e parlava volentieri con tutti del suo lavoro, della sua azienda, dei vari tipi di feretro, di tombe, cappelle, forni, di cremazioni e sfoderava i cataloghi ed i listini, cercando di convincere gli astanti a prenotare presso di lui la dipartita. Un anno tardò ad arrivare e quando si affacciò alla spiaggia tutti lo trovarono più taciturno del solito, sempre di umore nero, pessimista su tutto. Finalmente sbottò. Era stato un anno di crisi, l'influenza asiatica era stata più mite del solito e non c'era stata in giro neppure un'epidemia. I vecchi morivano meno o morivano più tardi. Un vero disastro e il governo di sinistra non faceva nulla per far uscire le aziende dalla stagnazione. Ci voleva qualche incentivo, come era stato fatto per le automobili non catalizzate. Una specie di rottamazione nelle case di riposo, così costose per la società. In America, diceva, almeno c'erano più morti violente, più armi in giro e le aziende che riuscivano ad ottenere l'appalto delle esecuzioni nelle varie prigioni prosperavano Tutto si facevano pagare profumatamente, la corrente elettrica, la sedia, il boia diplomato, l'assistente spirituale di qualsiasi religione, i pasticcini e le tartine per il party d'addio, le necrologie sui giornali. Tutto, ad eccezione degli avvocati, ritenuti giustamente dei nemici della categoria, come i medici in Italia. La categoria dei farmacisti, invece, come pure le case farmaceutiche, erano potenziali alleati.
In Nordamerica tanto sono semplici i cimiteri, veri e propri giardini fioriti e piantumati dove la gente si ritrova per fare jogging o un picnic, quanto sono più cerimoniosi e socialmente importanti i funerali. Dato che non è ammesso tenere in casa i trapassati, se non per poche ore, esistono case di proprietà delle imprese chiamate "funeral homes", dove si svolgono tutte le operazioni cosmetiche e dermatologiche e le cerimonie prepatorie dei funerali. I compianti sono abbelliti, imbellettati, profumati, rivestiti con gli abiti da cerimonia o da mezza sera. La famiglia, successivamente, offre un cocktail, vera mania degli anglosassoni, a casa sua o nella stessa "funeral home", con bibite, liquori, tartine al patè o al formaggio. Una volta, a casa di una signora rimasta vedova da poche ore ma ormai consolata, mi ritrovai con uomini d'affari che a quel tempo mi corteggiavano e mi adulavano perché speravano in finanziamenti destinati a nuove proficue intraprese, come l'importazione di sedie o di gelati (attraverso la rotta del polo) o la confezione di prosciutti e mortadelle. La vedova consolata ad un certo punto si avvicinò a mia moglie e le disse, con le lacrime agli occhi: "Vedrai Teresa, che bello sarà, quando capiterà a te, essere circondati da tanti amici". Mi accorsi che la mia mano destra era scivolata involontariamente dietro la schiena e il dito indice ed il mignolo si erano allungati in un segno inequivocabilmente napoletano.
Da grande ho capito peraltro che anche in quella categoria ci sono persone interessate, come nei banchieri e nei militari, e che non c'è solo buon cuore, etica ed altruismo.
Giacomo Morandi