LA REPUBBLICA DI SALO' E LA RESISTENZA
di Giacomo Morandi - terza puntata

 

 

La Resistenza non fu tuttavia un movimento di tutto il popolo italiano in armi, fu un movimento elitario, di una minoranza, spontaneo, come nel Risorgimento, ma godeva comunque dell’appoggio della massa e combatteva in suo nome. I fascisti si Salò erano dei sopravvissuti, fedeli ad un’alleanza criminale che ormai il popolo italiano, nella sua grandissima maggioranza, rifiutava.

Kesselring era riuscito a fermare l’avanzata degli angloamericani su una linea poco a nord di Napoli e resistette su quel fronte fino alla tarda primavera. I primi gruppi di combattimento italiani, cioè le divisioni Cremona e Legnano che formarono il nerbo del nuovo Esercito di Liberazione, furono schierati contro i tedeschi a Cassino e ricevettero le lodi degli alleati per il loro comportamento sulla linea del fuoco. L’eccessiva prudenza dei comandanti angloamericani, la scarsità dei mezzi impiegati, le difficoltà del terreno e, all’opposto, l’efficacia dei piani di resistenza tedeschi rendevano la conquista dell’Italia lenta e sanguinosa. Roma fu liberata solo nel giugno del 1944 dopo un ulteriore sbarco ad Anzio, per poco non risoltosi in un disastro per gli alleati i quali, nelle ore immediatamente successive allo sbarco stesso, che fu una sorpresa per i tedeschi, ebbero la possibilità di marciare su Roma, distante qualche decina di chilometri, e chiudere in una sacca le truppe tedesche che combattevano più a sud, ma sprecarono l’opportunità per eccessiva prudenza. Si pensi che alcune pattuglie, dopo lo sbarco, avevano raggiunto la periferia di Roma senza incontrare sul loro tragitto truppe tedesche, ritornarono a riferire ma i comandi per prudenza non fecero nulla ed attesero lo sbarco dei mezzi corazzati e delle artiglierie, dando così modo ai tedeschi di inviare rinforzi ed attestarsi a difesa..

La vita nell’Italia occupata dai tedeschi era sempre più difficile. Mancava tutto. La razione giornaliera di pane arrivò ad un certo punto a 100 grammi per persona, non c’era carne, mancava lo zucchero, il sale, il caffè ed ogni altro genere di prima necessità. Il mercato nero fioriva ed i prezzi salivano ogni giorno in misura geometrica. I tedeschi requisivano tutto, grano, bestiame e tutte le materie prime che riuscivano a trovare. L’industria lavorava solo per loro ed alle forze repubblichine restavano solo le briciole. Mancava spesso e per molte ore la corrente elettrica e non si trovavano altri combustibili. I bombardamenti alleati si intensificavano di settimana in settimana e sconvolgevano le vie di comunicazione.

Il 13 ottobre 1943 il governo italiano da Brindisi aveva dichiarato guerra alla Germania. Il ritardo di oltre un mese, dopo che le truppe italiane erano state attaccate dai tedeschi e dopo che il territorio italiano era stato occupato con la forza, fu causato dall’iniziale resistenza del re che era restio a formalizzare uno stato di guerra con l’ex alleato che già esisteva in pratica, resistenza tutto sommato comprensibile visto che i trattati con la Germania portavano anche la sua firma. La dichiarazione formale era in ogni caso necessaria ed urgente perché i tedeschi, loro che avevano sempre attaccato senza dichiarazioni formali, trattavano gli italiani catturati non come prigionieri di guerra, ma come ribelli, franchi tiratori o terroristi, anche se l’aggressione era venuta da loro e l’azione

bellica era il risultato di piani preparati molto tempo prima, in vista di uno
sganciamento dell’Italia dall’alleanza, ritenuto possibile anche con Mussolini al potere.

In tutte le province del centro nord si era intanto costituito il Partito Fascista Repubblicano, pieno di estremisti ed a ranghi ridotti. Il partito tenne a Verona il suo primo congresso dal quale uscì un manifesto con un programma socialisteggiante. Fu in particolare decisa la socializzazione delle industrie, scoperto tentativo di guadagnare l’appoggio delle classi operaie che non abboccarono, naturalmente, all’amo. Fu anche decisa la severa punizione di quei fascisti che avevano “tradito” la causa ed in particolare dei membri del Gran Consiglio che il 25 luglio avevano votato a favore dell’Ordine del Giorno Grandi. Mentre il congresso era in corso arrivò la notizia che il segretario federale del partito di Ferrara era stato ucciso in un attentato. Una parte dei congressisti, in perfetto stile squadristico, corse a Ferrara a bordo di autocarri, fece una retata di notabili in odore di antifascismo e di ebrei e si fece consegnare alcuni detenuti politici, nessuno dei quali implicato nell’attentato e, in pieno centro città, li trucidò. Si disse, e si sostiene ancora, che il segretario federale fosse stato eliminato su mandato di un suo avversario all’interno del partito.

Molti firmatari dell’Ordine del Giorno del 25 luglio erano riusciti a fuggire o a nascondersi, fra i quali lo stesso Grandi, ma altri furono catturati dai tedeschi e consegnati ai fascisti. Hitler teneva in particolare che Galeazzo Ciano, il genero del duce, fosse giustiziato in quanto lo riteneva ormai un acerrimo nemico della Germania.

In gennaio si tenne un processo farsa con giudici in camicia nera ai quali era già stata ordinata la sentenza, che doveva essere di morte, con uno speciale decreto che non lasciava spazio ad alcun atto di clemenza, neppure nei confronti dell’anziano maresciallo De Bono, uno dei quadrumviri della rivoluzione fascista. Non è mai risultato chiaro il ruolo di Mussolini in tale vicenda. Il fatto è che, nonostante le forti ed angosciate pressioni di sua figlia Edda, non volle intervenire per non perdere la faccia nei confronti del Fuhrer che voleva vendetta contro i “traditori”.  

Tutti gli imputati furono condannati alla fucilazione salvo uno, Cianetti, condannato a 30 anni di reclusione. Cianetti, dopo aver votato a favore, aveva ritrattato subito ed aveva scritto una lettera di pentimento a Mussolini. I condannati furono fucilati la mattina dopo. Fu chiaramente un crimine, perché il Gran Consiglio era un organo costituzionale dello stato, con funzioni, nella dittatura, sostanzialmente consultive e l’ordine del giorno era stato regolarmente messo ai voti dallo stesso Mussolini.

Secondo la versione di alcuni gerarchi di Salò la domanda di grazia dei condannati non fu fatta pervenire al Duce per risparmiargli una decisione dolorosa, ma il generale Wolff, comandante delle SS in Italia, ha invece dichiarato che Mussolini seppe della domanda e si rifiutò di intervenire, nonostante gli appelli disperati della figlia, dopo che Wolff gli disse al telefono che il suo capo, Himmler, voleva l’esecuzione e che il prestigio di Mussolini nei confronti dei tedeschi avrebbe fortemente sofferto da un eventuale provvedimento di clemenza. La domanda di grazia fu quindi respinta, dopo un vergognoso palleggiamento di responsabilità fra il partito, i comandi militari ed il Capo della Provincia di Verona.
(continua)