LA REPUBBLICA DI SALO' E LA RESISTENZA
di Giacomo Morandi - quarta puntata

 

I primi mesi del 1944 passarono fra privazioni, bombardamenti aerei, rastrellamenti tedeschi di manodopera da inviare in Germania, violenze fasciste nelle città e nelle campagne, limitate inizialmente dalla scarsezza di forze disponibili nella polizia e nelle milizie del partito. I carabinieri che non avevano ancora disertato furono incorporati nella Guardia Nazionale Repubblicana, una nuova milizia in camicia nera comandata da Renato Ricci e la maggior parte di essi disertò allora. Nel piacentino molti carabinieri fuggirono in montagna ed una parte di loro costituì uno dei primi nuclei di partigiani in Val Trebbia, comandato dal capitano Fausto Cossu, ufficiale dell’Arma fuggito dalla prigionia, e dal Brigadiere Alberto Araldi, nome di battaglia Paolo, fucilato l’anno dopo a Piacenza.

La guerra in Italia si trascinava e l’avanzata alleata proseguiva a passo di lumaca. Solo ai primi di giugno del 1944 Roma fu liberata dopo uno sbarco in forze sul litorale di Anzio, a sud di Roma e dopo mesi di resistenza tedesca sulla linea Gustav, intorno a Cassino, dove erano schierati, dalla parte degli alleati, anche i soldati italiani del nuovo Esercito di Liberazione.

Nonostante gli sforzi della propaganda delle radio alleate in lingua italiana, la gente non si rendeva conto del perché le forze angloamericane ci mettessero tanto a risalire la penisola. Lo si capì in giugno quando, quasi contemporaneamente alla liberazione di Roma, gli alleati sbarcarono sulle coste francesi della Normandia, in una delle operazioni belliche più mastodontiche della storia. Il fronte italiano era del tutto secondario nei loro piani, anche perché non sarebbe stato agevole raggiungere ed invadere la Germania da sud, attraverso gli Appennini e le Alpi. Il fronte italiano, sul quale erano state concentrate forze eterogenee provenienti un po’ da tutto il mondo, indiani, marocchini, senegalesi, polacchi, brasiliani, francesi, greci, italiani ed altri, aveva il compito di  tenere impegnato il maggior numero possibile di truppe tedesche, in vista della grande invasione attraverso la Francia.

Lo stesso sbarco di Anzio della primavera, destinato a prendere alle spalle l’esercito tedesco dislocato più a sud, fu attuato con forze probabilmente insufficienti e, mal comandato da generali americani ed inglesi troppo prudenti, poteva portare alla conquista di Roma in pochi giorni, ma, come si è detto, gli alleati non vollero approfittare della sorpresa avanzando subito verso la capitale, in difesa della quale non c‘erano in quel momento che forze tedesche del tutto trascurabili.

Quando, dopo qualche mese di combattimenti, finalmente gli eserciti alleati entrarono in Roma, furono accolti da grandissime manifestazioni popolari di giubilo. Furono accolti da liberatori, non da nemici. Gli italiani avevano già dimenticato le piazze osannanti alla guerra contro “la perfida Albione”, le bandierine sulle carte geografiche per marcare le conquiste in Africa, in Russia, nei Balcani, l’ubriacatura di nazionalismo e di imperialismo degli anni trenta. Roma, la città dei burocrati statali, dei gerarchi, degli Stati Maggiori militari, della piccola borghesia giò filofascista, era tutta in piazza e nelle strade a festeggiare i soldati inglesi ed americani, molti dei quali furono sorpresi da tale accoglienza da parte del nemico di pochi mesi prima.

La liberazione della capitale italiana portò ad una svolta importante nella posizione del governo italiano che nel frattempo si era trasferito da Brindisi a Salerno ed aveva allargato la base rappresentativa cooptando al suo interno i rappresentanti di alcuni partiti del Comitato di Liberazione Nazionale. Palmiro Togliatti, tornato alcuni mesi prima dall’esilio di 

Mosca, aveva preso le redini del PartitoComunista Italiano e, in contrasto con la maggioranza dei capi degli altri partiti antifascisti e lasciando perplessi gli stessi militanti del suo partito, era già entrato nel governo Badoglio di Salerno, accantonando per il momento e fino a guerra finita la questione monarchica e la pregiudiziale di un’abdicazione immediata del re Vittorio Emanuele, come richiesto invece energicamente dagli altri partiti.

All’atto della liberazione di Roma, come era nei patti con il Comitato di Liberazione Nazionale, Vittorio Emanuele accettò finalmente di farsi da parte, ma  non volle abdicare per non ammettere le gravi responsabilità sue e della corona nell’instaurazione della dittatura e nell’entrata in guerra dell’Italia a fianco dei nazisti e, pur restando formalmente Re d’Italia, nominò suo figlio Umberto Luogotenente del Regno, in attesa che un referendum popolare, dopo la fine della guerra, decidesse fra monarchia e repubblica. Il re e la regina Elena partirono per l'Egitto su una nave della Marina militare italiana, sulla quale, per inciso, era imbarcato anche un ufficiale di nome Giuseppe Perletti (Pippo, mio cugino). Il re finalmente firmò l’atto di abdicazione a favore di Umberto nel maggio 1946, poco più di un mese prima del Referendum Istituzionale del 2 giugno che diede la vittoria alla repubblica. I due ex sovrani morirono nell’esilio egiziano alcuni anni dopo.

Badoglio, sempre in base agli accordi con i partiti, rassegnò le dimissioni e fu formato un nuovo governo comprendente tutte le forze politiche presenti nel C.L.N., ed Ivanoe Bonomi, un vecchio uomo politico del periodo prefascista, divenne Presidente del Consiglio dei Ministri.

La Resistenza, nell’Italia ancora occupata dai tedeschi, cominciò subito dopo l’annuncio dell’armistizio e si estrinsecò in varie forme. Nei primi giorni alcune unità dell’esercito, praticamente solo per iniziativa di qualche comandante locale, resistette ai tedeschi difendendo alcune città, alcune vie di comunicazione, alcune caserme, ma la lotta organizzata durò poco ed il clima di generale smobilitazione e di sbandamento ben presto prevalse. Gran parte dell’esercito si arrese ai tedeschi e fu instradato in Germania su carri bestiame, fra mille privazioni ed angherie. Una parte degli ufficiali e soldati riuscì a disperdersi ed a ritornare nei luoghi natii, mentre altri si rifugiarono sulle montagne dell’Appennino e sulle Alpi, specialmente in Piemonte, dando origine ai primi gruppi partigiani che si riconoscevano nel governo del sud. Questi gruppi, definiti autonomi perché non si identificavano con alcuna corrente politica, occuparono alcune valli del Piemonte e del Friuli, oltre che, in misura minore,  in alcune zone dell’Italia Centrale.

In altre zone si costituirono invece le prime brigate partigiane con connotati politici che facevano capo soprattutto al Partito Comunista (le Brigate Garibaldi) e al Partito d’Azione, una formazione a tendenza liberalsocialista (le Brigate Giustizia e Libertà). Formazioni minori del Partito Socialista (Brigate Matteotti), della Democrazia Cristiana (Fiamme Verdi) e del Partito Repubblicano (Brigate Mazzini), erano pure presenti qua e la. Nelle città si formarono spontaneamente piccole formazioni di guerriglia urbana chiamate S.A.P. e G.A.P. che compivano attentati ai comandi tedeschi e fascisti e tendevano agguati ad esponenti del Partito fascista e ai militari tedeschi.

In tutti i paesi europei occupati dai tedeschi si svilupparono movimenti di resistenza che diedero molto filo da torcere agli occupanti costringendoli ad impiegare per il controllo del territorio e delle vie di comunicazione e per i necessari rastrellamenti molte truppe e mezzi che sarebbero stati necessari sui vari fronti. Le brigate partigiane spesso riuscirono a controllare più o meno stabilmente intere provincie o vallate costituendo zone liberate e basi per i rifornimenti alleati. La guerriglia fu particolarmente intensa ed efficace in Ucraina, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Jugoslavia, in Francia ed in Italia.
(continua)