LA REPUBBLICA DI SALO' E LA RESISTENZA
di Giacomo Morandi - prima puntata

 

 

Al rientro in Italia, ormai sotto il duro tallone dei tedeschi, non tanto Mussolini quanto i pochi fedeli, fra i gerarchi del vecchio partito, si diedero da fare per ricostituire una parvenza d’autorità statale, di forza armata e polizia, compatibilmente con i mezzi scarsissimi concessi dai tedeschi e con la pure scarsa autonomia decisionale che gli occupanti permettevano.

 Il Duce, dal canto suo, era confinato nella villa Feltrinelli di Gargnano, sul Lago di Garda, messagli a disposizione dal comando tedesco che lo teneva sotto sorveglianza ed aveva ottenuto che la sua amante Claretta Petacci fosse alloggiata in una villa vicina, nonostante la furiosa opposizione della moglie Rachele. Praticamente, per tutto il periodo di esistenza della sua Repubblica, Mussolini non si mosse dalle rive del Lago di Garda salvo che per recarsi un paio di volte in Germania, a Milano per il discorso del Teatro Lirico nel dicembre 1944 e poi sempre a Milano negli ultimissimi giorni, prima del tragico epilogo a Dongo. A Gargnano era costantemente vigilato da un reparto tedesco.

Andò in Germania ad ispezionare i campi di addestramento delle divisioni di Salò in corso di formazione e per incontrare il Fuhrer proprio nei giorni dell’attentato del luglio 1944, ma in Italia non si vide mai, tanto che nei primi mesi la voce pubblica diceva che fosse morto o prigioniero in Germania.

Graziani emise un bando di arruolamento dopo l’altro, minacciando di fucilazione i militari sbandati ed i giovani delle classi richiamate, con scarsissimo successo. Coloro che si presentarono, spesso dovettero tornare a casa perché non c’erano strutture per accoglierli, non c’erano divise, non c’erano armi. Anche i tentativi fatti presso i prigionieri italiani in Germania, parecchie centinaia di migliaia, non sortirono alcun effetto pratico se non molti mesi dopo e con risultati modesti, quando furono reclutate nei campi per l’addestramento, da effettuare in Germania, alcune unità di alpini e bersaglieri che, una volta inviate in Italia mesi dopo, in buona parte disertarono. Anche queste unità, d’altra parte, non furono impiegate contro gli alleati ma solo come unità di polizia per la lotta anti partigiana, perché i tedeschi, a ragione, non se ne fidavano. Pochissimi furono i militi di Salò che ebbero “l’onore” di combattere contro le truppe alleate, ad Anzio e, più tardi, in Garfagnana. Perfino gli uomini della X Flottiglia Mas, al comando del principe Junio Valerio Borghese, furono quasi esclusivamente utilizzati contro i partigiani, anche perché non avevano a disposizione mezzi marittimi.

La gente era frastornata, delusa, amareggiata. Pochi avevano previsto un crollo così totale delle nostre forze armate, eccettuata la Marina che invece aveva ricevuto ordini precisi ed aveva obbedito disciplinatamente. Pochi avevano ritenuto possibile che i tedeschi si impadronissero così facilmente di tutta l’Italia non ancora occupata dagli alleati, con grande efficienza e disponendo di forze largamente inferiori. Pochi, neppure gli stessi fascisti che avevano buttato alle ortiche la camicia nera ed il distintivo durante i quarantacinque giorni, avevano considerata possibile una restaurazione del regime caduto così ignominiosamente il 25 luglio.
La grande maggioranza della popolazione aspettava di giorno in giorno la liberazione da parte degli alleati e il miracolo da parte di qualche unità del nostro esercito sfuggita alla cattura o allo sbandamento.

La sospirata liberazione non sarebbe invece arrivata per altri 19 mesi e la guerra continuò sul suolo italiano, i bombardamenti si intensificarono e la gente conobbe gli orrori dell’occupazione nazista, la persecuzione più spietata degli oppositori veri o presunti, dei ribelli, dei soldati sbandati e della stessa popolazione civile che cercava di aiutare gli uni e gli altri.

Carcere, deportazioni in massa, torture, fucilazioni, incendi di paesi e di cascine, requisizioni e furti furono all’ordine del giorno e l’umiliazione più grande era rappresentata dal fatto che molti italiani si erano messi al servizio dei nazisti ed infierivano contro i loro connazionali più ancora degli occupanti. Alcuni storici revisionisti chiamano tale lotta fra italiani “guerra civile”, ma io ho sempre avuto difficoltà ad accettare tale definizione. La Resistenza fu un movimento popolare di ribellione contro l’occupante straniero e la lotta partigiana ne fu l’espressione militare che  sarebbe stata combattuta contro i soli tedeschi se i fascisti di Salò non si fossero messi al loro servizio. Del resto, i fascisti che aderivano in un modo o nell’altro alla repubblica di Mussolini rappresentavano ormai una piccola minoranza della popolazione ed i pochi che avevano accettato di vestirne la divisa volontariamente non ne avevano affatto l’appoggio. Una canzone molto popolare fra le truppe fasciste diceva

 

“Le donne non ci vogliono più bene

perché portiamo la camicia nera

e dicon che siam gente da catene

e dicon che siam gente da galera.”

 

Ciò non toglie che anche nelle loro file vi fossero giovani convinti in buona fede di combattere per l’Italia, a fianco di un alleato che, se avesse vinto la guerra, avrebbe trattato il nostro paese da pari a pari, convinti di combattere per un nuovo ordine mondiale governato da puri e duri, nel nome della superiorità naturale della nostra razza. L’Ordine Nuovo, appunto, governato dai migliori.

La grande maggioranza di coloro che aderirono al nuovo fascismo, alle sue organizzazioni e alle sue milizie armate, tuttavia, non apparteneva a detta categoria. Erano in parte ex gerarchetti di terza categoria, gente che tentava di emergere dopo una frustrante mezza carriera, estremisti che volevano qualche vendetta, criminali che non avevano nulla da perdere, affaristi che tentarono di approfittare della situazione per farsi un po’ di soldi, ufficiali della Milizia o delle altre forze armate che erano stati umiliati da qualche avversario durante i quarantacinque giorni badogliani (esempio per tutti il Maresciallo Graziani) e poi i soliti opportunisti che riuscirono a servire il potere del momento senza troppo sbilanciarsi in suo favore e furono subito pronti, all’atto della Liberazione, a dichiararsi antifascisti e magari, in molti casi, a vantare meriti nella Resistenza.

Vi furono alcuni tentativi, nelle prime settimane dopo l’armistizio, da parte di fascisti moderati, come ad esempio quello del federale di Venezia Montesi, di trattare con alcuni esponenti dell’antifascismo una sorta di collaborazione per cercar di mitigare le conseguenze dell’occupazione militare tedesca, ma i duri del nuovo fascismo repubblicano fecero subito naufragare ogni tentativo che del resto non poteva essere accettato neppure dalla nascente Resistenza, perché implicava la cessazione di ogni lotta contro l’invasore ed una sostanziale collaborazione alla politica di repressione, spoliazione, rapina di ogni risorsa disponibile da parte dell’occupante, cosa che poi si verificò puntualmente, senza alcuna opposizione significativa da parte delle autorità fasciste.
(continua)