LA CASA DEL SEPOLTO VIVO   
 
 

Ipogeo, secondo la traduzione letterale, significa sottoterra.
Tutte le banche hanno il loro ipogeo, chiamato coi termini più vari a seconda da chi viene nominato: Caveau, alla francese, nome che risveglia un certo interesse esotico, detto a labbra un po’ strette dal personale direzionale, oppure ‘sacristia’, detto dalla vecchia guardia, per indicare quel luogo appartato e silenzioso ove si possono celebrare i riti di adorazione ai cospicui capitali che la clientela affida in amministrazione per vedere di evitare di pagare, al momento giusto, le tasse di successione. Invece i giocatori in Borsa si divertono a muoverli con tanta sollecitudine ed altrettanta rabbia di chi invece li deve manovrare.
Chi ci lavora però in questo ipogeo non lo chiama così. I termini più civili sono: cantina, tomba di famiglia, polveraio pulciposto, sottoterra... quelli meno civili sono lasciati alla fantasia di chi legge.
L’impressione di chiunque varchi la massiccia porta corazzata ed il susseguente cancello di solide sbarre di ferro, è che gli manca il respiro, quella del sepolto vivo della miniera di carbone, quello di una cella del quinto raggio.
Forse Verdi, per scrivere il suo magnifico duetto dell’Aida con Radames, avrà passato una giornata nel sotterraneo di una banca...
In qualche raro esemplare di caveau moderno c’è anche l’aria condizionata ed allora viene riportata nell’ambiente una certa normalità di vita, ma nella gran parte delle piccole Filiali con amministrazione di titoli, si è ancora allo stato brado. Nelle grandi Sedi, il Caveau è tanto grande che ci si perde nel vortice delle casseforti, ma nelle piccole il freddo metallico che t’investe discendendo dal salone all’ipogeo, dà quel brivido che accappona la pelle e fa subito sternutire. Il dubbio più atroce ti assale però quando, discendendo, oltre che dal falso fresco vieni colpito dalla esalazione del topo che è morto, poverino, sotto i pacchi dell’archivio li accanto, forse ucciso dallo stesso veleno di cui sono impregnati tutti i documenti che riguardano il denaro e l’interesse.
Fatto sta che si è assaliti dal dubbio che si stia decomponendo il sepolto vivo bancario.
In altri invece la puzza della nafta della caldaia ristagna per ore e si annega nel fumo delle sigarette che la rabbia, la concentrazione, la mole del lavoro fanno bruciare con insolita abbondanza.
Nei più vetusti polverai, in cui l’assalto della natura è stato costante per decenni, lento ma inesorabile, nelle piccole chiazze di genuina umidità che trasudano dallo spessore impressionante dei muri corazzati, piccoli ma industriosi ragnetti mirano esterrefatti dall’alto i congestionati lavori di quegli uomini che tessono per altri una complicata rete di interessi.
Quando la sede, riveduta e corretta sotto la vigile direzione del Geometra della manutenzione generale e del vetusto ingegnere, consigliere a vita, aveva aperto i suoi sportelli, il sotterraneo aveva un accogliente aspetto esteriore. Vi era una scrivania non nuova ma abbastanza stilè, ampi tavoli, sedie, casseforti riverniciate e quell'illusorio ma gradito fresco che i calori del luglio facevano desiderare ed invidiare dai colleghi al sepolto vivo. Dopo un mese erano iniziati i primi assestamenti ai vari uffici: la segreteria aveva reclamato una nuova scrivania per cui essa dal basso era risalita ad alto livello, due sedie erano state ‘rapite’ perchè, essendo esse in filiale in numero perfettamente eguale all’organico, quando arrivava uno in missione oppure quando una sedia era rotta, a turno uno doveva rimanere in piedi. Non parliamo poi della macchina calcolatrice e di quella da scrivere che, prestate per un quarto d’ora erano diventate proprietà di quell’altro Ufficio.
Comunque, passato quel primo periodo di interessamento interessato ed inviato ‘in cambio’ tutto quanto più non poteva essere usato pubblicamente in fatto di mobilio, il disinteresse dilagò come nebbia in Val Padana e la tomba chiuse i suoi battenti sulle relazioni umane. Ci fosse o non ci fosse il cassiere titoli addetto al caveau nessuno se ne accorgeva tranne quello che doveva sostituirlo nelle pratiche più urgenti. Uno ci poteva anche morire, che avrebbe fatta solo una sorpresa atta a rompere la monotonia del lavoro quotidiano.
Il commesso avrebbe esclamato: «Toh, è morto!» e con la scopa e secchiello l’avrebbe raccolto, mentre il centro elettronico avrebbe tolto dalla sua mente la matricola numero 123710.
Certo però vi era l’altro lato della medaglia: l’indennità cioè di sotterrante che intendeva tacitare la coscienza di chi in sotterraneo non ci stava più di dieci minuti per volta e proprio in caso di necessità d’ufficio, oppure voleva giustificare lo sforzo umanamente comprensivo di compensare la progressiva diminuzione nella circolazione sanguigna dell’ossigeno ridotto a sparute larve e la lenta e sicura penetrazione dell’artrosi.
Quest’ultima di tanto in tanto prorompeva nel suo grido di conquista delle ossa del sepolto vivo che corrispondeva camminando zoppicando e sollevando rigido, tutto d’un pezzo, le pesanti cartelle piene di valori azionari ed obbligazioni, mormorando fra i denti il fatidico motto: «Mi spezzo ma non mi piego!!» (però ci assomiglia).
Le grosse lampade bianche, quasi sempre al neon, sovrastavano le scrivanie ed i tavoli con quel bianco pallido giallastro che penetrava nei capelli invecchiandoli, che si depositava sulla pelle schiarendola, quasi concorrente della T.B.C. o almeno parente stretta di essa.
Nella piccola filiale, in solitaria malinconia, il cassiere passava la sua vita in mezzo alla polvere costante poiché la pulizia era solo prevista, ma gli addetti vi giungevano sempre a banca chiusa o quando era chiuso il caveau.
La sua compagnia era ogni qualche tempo, quella di qualche ispettore che veniva a scandagliare nelle pratiche, col cuore teso non si sa se per la paura o per la gioia di scoprire qualche infrazione, magari grave, da permettergli un avanzamento ed una certa notorietà.
Quando in effetti venne e trovò che la quantità dei titoli immessi in un dossier non corrispondeva a quello espresso nel contenitore (ed era un semplice errore di somma, del resto assai comprensibile se tutto doveva essere fatto senza l’ausilio delle macchine contabili) uscì in un commento ancora molto benevolo: «Qui qualcuno ha smesso di parlare per fare qualche cosa!!»
Il cassiere si era guardato in giro per vedere con chi avesse potuto parlare e senza dir parola, che del resto sarebbe stata inutile, pensò che era il caso di far mettere degli specchi per avere un’immagine a cui rivolgersi, anche se da soli, in genere, parlano solo i matti.
Nelle grandi sedi invece era assai diverso.
C’era compagnia, c’era fumo, c’erano gli ozonizzatori. Tutto era mastodontico e metodico, accavallato e controllato, eseguito alla Charlot, stufevole fino all’inverosimile, ma la sepoltura collettiva rinfrancava, nè a torto i romani avevano coniato il detto: «Solatium miseris Socios habere penantes!»
Se non altro, il Capo sovrintendente della grande cantina, l’amministratore delle stoviglie ammirando quelle nuove che gli erano state concesse per tacitare le innumerevoli richieste e proteste, poteva con orgoglio esclamare: «In fondo si lavora in un ambiente moderno! !»
Una parola usata spesso per giustificare cose che non hanno altro merito.
 


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Piazza Scala - agosto 2014