LA MALATTIA POLITICA   
 
 


Era arrivato con qualche minuto di ritardo, assai più d’uno a dire il vero, scivolando dall’ingresso principale fin nello sgabuzzino ove si appendevano i soprabiti, facendo poi il suo ingresso disinvolto al tavolo di lavoro ove pensava essere il collega, già chino sulle monotone scartoffie.
A quarantotto anni era ancora un modesto Capo Sezione. È vero che il suo carattere non era dei più felici, ma di quelli che volevano aver sempre ragione, comunque il suo lavoro lo conosceva a perfezione e questo ringalluzziva le sue pretese.
Dimenticava però che chi vuol dimostrare di saperne più dei Capi non ha la vita facile, perchè rappresenta un’ombra sulle carriere già predestinate, il cui percorso deve essere liscio, suadente, pulitino: per qualcuno poi tutto può far ombra, anche i più innocui, e la paura è cattiva consigliera.
Smussato continuamente dall’essere zittito, l’albero si piegava lentamente poiché la radice delle prospettive future si inaridiva sempre più. Lui mancava anche di psicologia, il che poteva significare di smettere di questionare prima che qualcun’altro glielo facesse fare, poi mancava di tatto perchè se aveva torto non sapeva rassegnarsi e se aveva ragione diventava insopportabile.
Alcune volte faceva interminabili questioni perchè gli seccava stare in piedi, alla sua età, tutto il giorno, con la sua anzianità di servizio! ! Lo sportello era per i giovani che ancora dovevano farsi venire il mal di reni; e gli sarebbe bastato sedersi e star seduto, in silenzio, per risolvere la questione. Suonò questa musica per parecchi secoli, fin che, per grazia di Dio e volontà della Nazione, gli fu trovato un posto tranquillo con un amico tranquillo, poco più giovane di lui, già commesso ed ora impiegato di seconda, per un lavoro seduto, organizzativo, di concetto. L’avere un dipendente, anche modesto, era già una conquista e fu ancora di più quando, con politica ed alta strategia, la Direzione gli fece avere quel piccolo grado a recupero dell’esilio.
Il patos durò tre mesi poi il meschino si accorse di come la trappola fosse scattata inesorabile, perchè dopo tre mesi appunto il servizio che gli era stato consegnato era stato centralizzato, togliendogli il pane di bocca (non il lavoro perchè subito gli furono accollati altri lavoretti secondari di spunto e di controlli vari) e conseguentemente scemò anche l’importanza del suo incarico.
La reazione alla truffa fu lenta ma costante, partì dal di dentro, con quel rosicchio continuo che la mente turbata e contristata produce sul fegato e sul rendimento di ogni lavoratore. Perchè era un lavoratore e su questo nessuno poteva trovargli a ridire sarebbe stato come scatenare un putiferio, lo stesso putiferio di quando occorreva introdurre cambiamenti di impostazione del lavoro o certe modifiche di procedura diverse dalle pratiche in uso che ricevevano naturalmente le più ampie critiche negative, prima di entrare nel ritmo del lavoro.
Allo stato delle cose saggiò allora il suo Capo Contabile per vedere un possibile cambiamento, sorrise ai funzionari chiedendo se la segreteria necessitasse di un esperto, leccò il Vice Direttore anche se lo disprezzava cordialmente e, per Natale, gli mandò un enorme tacchino, un « essere familiare » dei poderi dello Zio che, in una casa cantoniera distante almeno trecento chilometri e perciò incontrollabile, aveva un allevamento...
Ma la risposta, più o meno esplicita, più o meno seccata o suadente, era veramente monotona.
Il fegato peggiorava.
Pur tenendo conto che tre quarti del lavoro umano è svolto da gente malata ed indisposta e quindi l’essere depressamente ammalato era la normalità, il reddito pro capite del suo ufficiò cominciò a diminuire, aumentando però proporzionalmente presso il compagno di sventura, unitamente alla reiterata commiserazione delle proprie sventure.
C’è chi ascolta in silenzio, c’è chi reagisce. L’aiutante era dei primi e forse soffriva dello stesso complesso di incomprensione, poiché, acquisita una certa posizione, magari dopo anni di attese e richieste, si era già quasi in diritto di averne un’altra.
Ascoltava quindi ad assentiva, con qualche raro commento e molti scuotimenti di testa, suddividendo nella sua mente i pro ed i contro, la verità e le pretese, le contestazioni ed i diritti del collega, che potevano essere applicati anche a lui. In effetti, con lo stesso desiderio, non aveva ancora in mente una propria strategia per uscire dall’immobilismo dell’impiego e perciò ascoltava il lagno del collega anziano che partiva dalla voglia di appiccare il fuoco a tutto il complesso edile o immettere in una cassetta di sicurezza una bomba atomica, al rompere la faccia a chi si intendeva lui o vincere un tal premio al totocalcio da poter fare una pernacchia che si udisse fino alla Sede Centrale. Ovviamente però erano solo fantasie di scarico emotivo per riacquistare il calmo equilibrio del lavoro d’ogni giorno che, manco a farlo apposta, tendeva ad un continuo aumento.
L’arma gli si disvelò quando uno scivolone casalingo gli procurò una slogatura della mano destra che lo costrinse ad alcuni giorni di riposo forzato. Il riflesso del suo mancato lavoro si ripercosse su altri uffici che, già tirati dal loro, ne accusarono nettamente il colpo, per cui perfino il Capo Contabile dovette accollarsene una parte. Se quella fu una disgrazia, divenne una arma, l’arma del ricatto. Nei momenti di maggiore richiesta lavorativa in cui tutti gli ingranaggi umani, sempre inferiori alla bisogna, dovevano girare all’unisono, interveniva la ‘malattia politica’, quei tre giorni di indisposizione o d’influenza che qualunque medico della mutua prescrive, bastevoli a provocare quei dissesti tanto disturbevoli da far smoccolare il Capo Contabile per il fatto di dover far girare gli ingranaggi ad una maggiore velocità, provocando scricchiolii e tensioni notevoli.
L’apparato totale, spinto così a tutta forza girava egualmente a tempo, mentre agli ingranaggi umani girava di solito qualcos’altro.
In tal modo veniva ad attirare l’attenzione su di sè, sul suo lavoro, sulla sua indispensabilità, sul suo merito.
Tutto questo aveva spiegato ben chiaro al suo più giovane collega, il quale intuiva che una gran parte di questo sforzo dimostrativo si sarebbe riversata in altrettanto lavoro su di lui, primo compartecipe di quell’ufficio.
A parte tutto questo dunque, lo vediamo ora entrare in ufficio con quel suo caratteristico ritardo normale, e fermarsi ad ammirare attonito il posto vuoto del suo collega.
« Che mai? Dov’è andato il mio braccio destro? »
« Influenza! » gli rispose una voce anonima di passaggio da quelle parti.
« Che? Influenza? Che carogna di un collega. Proprio in questi giorni. Sapeva bene che toccava a me di avere l’influenza! »


POST SCRIPTUM
Il collega, più giovane, aveva quattro figli ancora piuttosto piccolini che, per via delle vacanze scolastiche e d’asilo, erano in quel periodo a casa.
In effetti lui poteva anche avere l’influenza o una grande stanchezza fisica e chiamò il dottore per mettersi al coperto con una giustificazione valida. Il dottore, prima di rilasciare il certificato, impressionato dalla vivacità dei ragazzi e relativo frastuono, gli disse : « Penso che lei più che altro abbia bisogno di riposo tranquillo: dia retta a me, torni in Ufficio... ».
E per lui finì subito l’esperimento della malattia politica.


 

 

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Piazza Scala - maggio 2014