EL SIUR DIRETTUR   
 
 

Si chiamava Camilla, ma non era parente dell’omonima Vergine. Era impiegata, fac totum cassiera e consulente di una affermata ditta cittadina che figurava come ‘ottima cliente’.
Era abbastanza prosperosa, di età indefinita verso la ‘antina’ e camminava sculettando entro una mini discutibile con un bonario, largo, compiaciuto sorriso che rispondeva agli ammirati sguardi, anche se considerati un po’ indiscretini degli impiegati.
Di questi sguardi ella considerava solo il compiacimento, ella era superiore, ella era la Siura Camilla, divisa da un pezzo da un marito che l’aveva piantata per una bionda svedese, larga la metà ma lunga il doppio. La Siura Camilla, nel suo genere, era una ‘vamp’. Non per molti forse ma per uno in particolare, sì. Per esempio per il ‘Siur Direttur’ che ella, appena varcata la soglia della Banca, andava ad omaggiare nel compito studio.
A lui, ormai in piena confidenza, piaceva dare alla siura Camilla delle schioccanti manate sul largo di dietro femminile, il quale suono, uscendo dalla chiusa porta della Direzione, provocava l’attento silenzio di ogni ufficio, la suspense, per attendere l’immancabile... « Che fai, Carlino?... »
Era l’amante segreta, ma non troppo, anche se tutto l’amore finiva lì, quasi innocente, se non altro semplice come il buon uomo di campagna che era lui ed anche per il fatto che l’aveva conosciuta fin da ragazzo, forse...
In sè il fatto d’essere di origine campagnola e d’aver raggiunto un alto grado nella scala dei valori sociali poteva essere un vanto ed un legittimo orgoglio, se esso fosse stato modellato nel tempo dalla volontà, dalla intelligenza ed anche da un nuovo bagaglio di cultura.
Come ci fosse arrivato fin lì molti se lo chiedevano, e non solo tra i dipendenti, fatto sta che c’era e bisognava tenerselo, e tenerselo buono per non incorrere in quelle odiose diatribe che finivano di solito malauguratamente per il dottore che si credeva di aver ragione e forse anche l’aveva.
La parte più pesante da sostenere era la presenza, divenuta ormai una prassi quasi obbligatoria, alle cene di giubilo che i promossi dovevano offrire e che si svolgevano in una trattoria di collina, un po’ fuori mano.
In esse cene si potevano udire le storie delle avventure galanti, solo giovanili s’intende!, del Capo e ciascuno doveva accennare alle sue come per giustificare ed avallare, con la constatazione che tutti l’avevano fatto, una condotta non del tutto irreprensibile. Non aver avuto avventure galanti significava destar sospetti e contrarietà.
Amava le scene patetiche che lo facevano sentire grande.
« Cosa significa questa nota? È concesso uno sconfinamento provvisorio al tal cliente per la tal cifra? »
« Il dottor ICS ha detto che... »
« Ma il dottor ICS è un semplice Procuratore che non può guidare i vostri passi incerti in questa direzione sbagliata. Quando c’è un problema da risolvere non vi bastano forse un padre ed una
madre?...
Il padre era lui, la madre... il Vicedirettore che assentiva con aria smarrita, dubbioso d’aver ora anche cambiato di sesso e che doveva fare sforzi enormi per essere diplomatico al fine di evitare un trasferimento non richiesto ma permettere che le pratiche seguissero quel corso che dovevano seguire.
In questi casi la diplomazia, come fu poi accertato, consisteva nel dire che il cagnolino era proprio bello fino a che non si riusciva ad agguantare una pietra ed un bastone, il che, metaforicamente ma realmente avveniva quando il Vice usciva dall’Ufficio direzionale.
Perciò, non potendosi usare altri mezzi ci si opportunava, come tutti i deboli ed i non raccomandati che, ad un certo punto, portavano anch’essi, per solidarietà, i calzoni a tre quarti del polpaccio, alla cosidetta campagnola, ed anche due solidi scarponi da far invidia ad un genuino montanaro e che Jannacci nelle sue canzoni definiva in gergo poeticamente milanese, « Papuss ».
Nel piano della Segreteria poi l’adeguamento era quasi completo. In una discussione fra colleghi su questo argomento si era giunti ad accusare apertamente di spudorata acquiescenza ogni membro della Segreteria. Al che il capo aveva prontamente ribattuto. « No! non è proprio vero che noi siamo di quelli che danno sempre ragione al più forte o ai superiori e dicono sempre di si. Se volete saperlo quando il Direttore dice NO, anch’io dico NO!! »
Tutto questo non toglieva che fosse un brav’uomo: molti, per merito suo, avevano avuto quello che da anni attendevano invano sotto altra guida più signorile, cioè quelle promozioni e quel riconoscimento che, solleticando la umana cupidigia, glieli trasformava in arrendevoli e sottomessi.
Non era ignorante come poteva sembrare a prima vista o in qualche sua manifestazione un po’ confidenziale: ecco, non amava le formalità, le costrizioni, sentiva un gran bisogno di sentirsi libero ed imponeva la libertà dall’alto del suo grado, purché quel grado lo riverissero.
Sapeva, se voleva, anche ben conversare purché non si approfondisse troppo l’argomento e sapeva cogliere nelle espressioni altrui il senso della verità, assai più sviluppato in chi crede di essere preso in giro che non negli esseri comuni e benpensanti.
Un giorno era entrato in Ufficio tutto raggiante. Aveva fatto una simpatica scoperta: in un giornale in cui si descriveva la fortuna fatta da Henry Ford veniva riportata questa sua frase caratteristica: « Non trovare difetti, trova rimedi. A lamentarsi son capaci tutti!! »
La frase gli era andata tanto a genio che non vi fu impiegato o procuratore che non se la sentisse ripetere anche due volte il giorno fin che l’avevano ben appresa. In fondo però era una buona massima da tirar fuori ogni qualvolta c’era una lamentela, e questo gli accresceva il prestigio di averla scoperta e trasformata in azione. Forse pensava che al posto del Presidente della Banca, lui l’avrebbe fatta incidere davanti al seggio di ogni dipendente o sulle biro che usavano.
D’altra parte questo senso paterno, questo senso di proprietà della Filiale, lo portavano a difendere con innata energia sè stesso, l’istituto ed anche l’umile personale, dalle escursioni esterne o dagli apprezzamenti poco lusinghieri, dalle stesse note ed osservazioni degli Ispettori dell’istituto.
C’era chi, conoscendo questa sua debolezza, amava stuzzicarlo.
Un giorno, nel salone animato dal via vai della gente, un suo amico che gli dava del tu gli fece osservare che l’istituto concorrente era meglio organizzato. Egli stette a fissarlo incredulo per qualche secondo, poi sbottando in una gran risata, che intanto polarizzava su di sè l’attenzione generale, gli rispose:
« Ma va là, ma non vedi che in quella Banca metà lavorano e metà stanno a guardare. Guarda qui: è tutto il contrario!! »
 


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Piazza Scala - dicembre  2013