Il carattere malinconico e solitario del prof. Terliti era stato
motivo di preoccupazione per sua madre sin da quando era studente.
La misantropia non aveva accennato a mutamenti col trascorrere degli
anni nemmeno quando ormai adulto era divenuto professore di lettere
all'Università di Bologna quindi con maggiori occasioni di incontri
e possibilità di stringere amicizie. La sola persona nel paese per
la quale nutriva ,a modo suo, stima e affetto era il dottor Giberti
conosciuto all'Università
quando eran studenti , ma non frequentava neppure lui. Più tardi
mamma Agnese,vedendogli continuare a trascorrere gli anni fra studi
e Università era stata presa dall'angoscia ed aveva fatto tutto il
possibile perchè facesse delle amicizie e chissà incontrasse una
donna capace di comprenderlo e stargli vicino.”Che ne sarebbe stato
di lui quando lei non ci sarebbe più stata?” Era religiosa e questo
era il motivo dominante delle sue preghiere.
Quando un bel giorno il suo Giovanni le aveva annunciato la simpatia
per Anna, che lavorava nella biblioteca dell'Università, senza
attendere conferme si mise a ringraziare il cielo come per un
miracolo ricevuto.
Per il professore si era trattato di una passione che aveva
raggiunto subito il suo acme senza fasi preliminari . Anna, a sua
volta, dolce e sensibile , si era innamorata di quel taciturno ed
austero professore, avendone intuito un'anima limpida e trovato in
quel sentimento la pace e l'equilibrio che le arano mancati nella
sua famiglia. Mamma Agnese l'aveva accolta come una grazia , come
una risposta alle sue preghiere. In effetti miracolosa era stata la
trasformazione che aveva visto operarsi nel figlio divenuto sereno
ed espansivo. Tutto di Anna era piaciuto per il senso di allegria
che infondeva il vederla girare per casa con la figura slanciata e
la chioma dai colori tizianeschi, ma sopratutto per il suo tatto ,
la sua riservatezza.
La serenità era durata fin quando Agnese aveva cominciato ad
accusare i malanni dell'età avanzata. Era stato a quel tempo che il
dottor Giberti era divenuto medico di famiglia. Giberti era un bravo
medico ma anche uomo ,ricco di umanità, aveva la capacità di
suscitare confidenza e cordialità. Egli diagnosticò subito la
gravità del male con il quale si era imbattuto tante volte nella sua
lunga vita professionale. Seppe trovare le parole e l'atteggiamento
giusto per informare il professore e per accompagnare
psicologicamente la sua paziente sino alla fine.
Le sue cure erano state chieste da lì a poco per seguire la tardiva
gravidanza di Anna, sopraggiunta quando le speranze al riguardo
stavano per tramontare. La gestazione era stata difficile ma poi il
parto era stato regolare ed era nata Giulia .Una nascita tanto
attesa quanto deludente.
“Quando nascono son brutti i bambini, questa invece è bellina”
diceva la governante magari mentre faceva il bagno alla neonata,
come pensasse ad alta voce e parlasse al vento.
Terliti sapeva benissimo che a lui eran dirette le promettenti
previsioni, che nelle intenzioni avrebbero dovuto consolarlo e che
invece lo irritavano.
Crescendo , ahimè, Giulia aveva smentito gli auspici : decisamente,
irrimediabilmente brutta.
Il professore aveva assorbito la prima delusione riversando nella
piccola tenerezze e attenzioni come a volerla compensare di quanto
la natura le aveva negato. Anna si era mostrata invece indifferente
all'aspetto esteriore della figlia ed il suo amore di madre era
quasi anche un “memento” per il marito che aveva accettato che “una
figlia è una figlia”.
L'annuncio della seconda maternità di Anna era giunta del tutto
inaspettata ma gioiosamente accolta anche se presto erano
sopraggiunte preoccupazioni per malesseri connessi anche all'età
giudicata un po' avanti per una nuova gravidanza.
Le frequenti visite mediche e le cure avevano però fugato le
apprensioni. Nulla aveva lasciato presagire la tragedia. Nei tempi
giusti Anna aveva dato alla luce un bel maschio, Fabrizio ma subito
dopo era stata assalita da febbre altissima. Dopo giorni di lotta ,
di terapie e visite specialistiche i medici avevano formulato una
sentenza terrificante: nessuna speranza.
Con la morte di Anna , il professore aveva imboccato il tunnel delle
stranezze della mente , dal quale non sarebbe mai uscito del tutto.
Dopo un lungo periodo di depressione , così cupa da lasciar temere
sbocchi imprevedibili , Terliti aveva ripreso il suo posto
all'Università.
Adducendo motivi economici aveva lasciato la casa ove aveva vissuto
con Anna e si era stabilito a Bologna alloggiando in una piccola
stanza in affitto e si recava a visitare i figli saltuariamente
lasciando la loro cura alla governante divenuta dopo tanti anni una
componente della famiglia.
I motivi economici erano stati gli argomenti sostenuti per evitare
il trasferimento di tutta la famiglia. Non ve ne erano stati altri
impalpabili come bolle d'aria nascosti dietro la facciata dello
stato di necessità? Oppure era stata una scelta a lui congeniale per
non essere distratto dalle vicissitudini familiari ed essere
lasciato in pace a soffrire e ribellarsi al tempo che fa impallidire
i ricordi ed attenua i dolori? Egli si ribellava all'attenuazione
della sofferenza che lo faceva sentire abbarbicato ad un passato
felice.
“Il destino della nostra vita non è una linea che si muove nello
spazio isolata dall'origne alla fine. Essa in realtà si interseca
con tante altre linee e tutte insieme si influenzano
inconsapevolmente l'una all'altra.”
Era un concetto che all'inizio della sua carriera talvolta il
Professor Terliti enunciava ai suoi dubbiosi allievi durante le
lezioni di letteratura quando recitava pagine di opere di vari
scrittori. Non immaginava quanto quel concetto dovesse assumere
concretezza nella sua famiglia. Raggiunti i limiti di età era stato
posto in pensione. Aveva continuato ad isolarsi ponendo fra sè ed i
figli ormai grandi fossati sui quali raramente abbassava ponti
levatoi.
Tanto Fabrizio era remissivo e dolce tanto Giulia era divenuta aspra
e carica di una inesauribile astiosità verso il prossimo, nei
riguardi del quale , era naturalmente atteggiata a difesa, come se
dai suoi simili non avesse dovuto mai aspettarsi nulla di buono.
Sembrò aver conquistato un certo equilibrio quando si iscrisse ad un
corso per infermieri tenuto nel locale ospedale. Ma proprio durante
quel corso era accaduto qualcosa nella sua vita che aveva
influenzato definitivamente la sua rotta psicologica.
Si era invaghita di Bruno , un compagno di corso massiccio , con i
capelli neri arruffati e un'espressione bonaria. Era stata lusingata
dal modo con il quale egli la trattava: proprio come le altre,
quelle carine e spiritose. Anzi le era parso che egli le rivolgesse
particolari attenzioni come quando , durante una discussione con
un'insegnante , egli si era alzato per prendere le sue difese.
L'immaginazione ne aveva fatto l'unico essere al mondo capace di
comprenderla e sul filo dell'illusione aveva preso a leggere ogni
parola di Bruno con quella chiave. E aveva attribuito il suo non
essersi espresso a timidezza e da quel giudizio le era venuta nuova
spinta propulsiva alla fantasia.In quei giorni - chi avrebbe mai
potuto immaginarlo?- Giulia aveva cercato la solitudine in un
piccolo angolo aperto sopra la valle . E in una delle ultime pagine
del suo discontinuo diario aveva scritto: “oggi mi sono recata a
cercare oblio nel mio boschetto sopra la valle. Avevo una gran
voglia di piangere e non sapevo perchè....”. Proprio pochi giorni
dopo aver vergato quelle parole era avvenuto l'irreparabile : un
colpo d'accetta netto e crudele sulle sue prime illusioni. Una sera
in classe , parlava con i colleghi del futuro professionale che li
attendeva a Torino, con un pizzico di humor , d'apprensione e
soddisfazione insieme. La presenza di Bruno aveva insinuato in
Giulia una leggera eccitazione e ne aveva esaltato la propensione a
guardare al futuro. Un po' per adeguarsi , un po' per provocarlo
aveva esclamato “chissà cosa mi accadrà a Torino da sola..”. A quel
punto Bruno con leggerezza ma senza l'intenzione di ferirla , le
aveva fatto eco : “ ma chi vuoi che ti tocchi a te ...”.
Quel “ti e te” sgrammaticati ma così peggiorativi le erano
rintronati nelle orecchie , mentre un coro di risate aveva
gratificato la spiritosità di Bruno.
Quella sera era stato segnato definitivamente il suo destino. La
generalizzata ostilità era insorta questa volta per qualificarsi :
odio verso gli uomini. Presuntuosi e inadatti a capire di che fosse
capace una donna: da sola.
Con le idee confuse sul da farsi, aveva abbandonata la scuola.
Mania di persecuzione e angoscie represse divennero l'alimento delle
sue ribellioni nei confronti anche del padre così violente da
rendere evidente ad entrambi l'impossibilità di continuare a
coabitare. In attesa di trovare con serenità soluzioni definitive,
di comune accordo decisero che per un certo periodo Giulia entrasse
nel vicino collegio delle suore. Ciò che avvenne. Sembrò la
soluzione giusta . Il professor Terliti ritrovò un'apparente pace.
Così superficiale da essere messa ben presto in crisi dalla partenza
di Fabrizio teso a realizzare il suo sogno artistico all'Accademia
di Brera a Milano .
Anche quel pomeriggio, chiuso nel suo studio , s'accorse del
violento temporale quando ormai stava stemperandosi nelle ultime
gocce.
Con la testa leonina curva e la robusta persona abbandonata sulla
poltrona fissava, senza vederlo, un libro. Il fascio di luce della
lampada sul tavolo sembrava voler circoscrivere lo spazio e
facilitargli intime riflessioni . Anche Fabrizio stava per lasciare
quella casa...
Chiuse il libro, si alzò e si avvicinò alla libreria con sportelli a
vetri. Lo colsero a tradimento memorie lontane, ricordi sempre
rimossi dalla mente. Era sempre riuscito ad evitare di analizzare
quanto la realtà si fosse mischiata alla immaginazione nel “trance”
di quella notte lontana quando da quella vetrina aveva estratto un
revolver dal calcio di madreperla attratto dal suo fascino insano ed
una mano invisibile lo aveva fermato in tempo.
Cosa aveva desiderato quella notte?
Realtà o no che fosse stata c'era certamente stato almeno un
pensiero, forse un progetto non attuato perdutosi nei giochi della
mente. Tentò di scacciare i pensieri ma quel pomeriggio non ci
riuscì. Lottò ma la sua volontà fu sbaragliata. E gli apparvero
chiare forse come in quella notte lontana le sue responsabilità. Che
padre era stato? Si era arreso troppo facilmente alle difficoltà
incontrate con Giulia?. Aveva veramente cercato di capirla e
meritarne la confidenza?
Ricordò che l'indomani sarebbe stato il compleanno di Giulia. Decise
di andarla a trovare. Non aveva una strategia. Obbediva ad un
impulso improvviso e consolatorio.
L'esperienza del collegio era stato un autentico disastro, ma forse
non tutto in negativo. Anche Giulia aveva scoperto l'autocritica ed
il vuoto e l'inutilità di una vita senza affetti. Per la prima volta
aveva cercato di analizzarsi ed aveva scoperto in sé tanta aridità:
la via era ancora avvolta nella nebbia ma era la via maestra che
stava per rivelarsi.
Il professore era stato ammesso nella sala delle udienze ove, in
quell'ora, giungeva l'eco dei canti religiosi che, al pov'eruomo,
era sembrato creassero l'atmosfera propizia per attuare il suo
proponimento: gettare un ponte fra sé e la figlia, dissolvere
l'ostilità.
Quando Giulia era entrata nella sala , rigida e goffa, col volto
lentigginoso e lucido, le era andato incontro offrendole un
pacchetto, un piccolo dono con parole di augurio.
Lei aveva accettato senza una parola. Poi con voce rotta
dall'emozione , si era decisa a parlare: “qualcuno se ne ricorda”.
Il professore aveva accennato ad una affettuosa protesta: “ma che
dici ....io ti penso”.
Era stato quello il momento in cui Giulia aveva pronunciato quelle
parole che avevano profondamente ferito il padre: “tu? Tu mi pensi?
Tu pensi solo alla mamma che è morta e che era tanto bella!”.
La frase era rimasta a mezz'aria con una inflessione di pianto .
Giulia aveva abbandonato la sala di corsa, lasciando il padre in una
solitudine abissale.
Nel pomeriggio di quello stesso giorno era fuggita dal collegio. A
quell'ora il professore si trovava fra le pareti del suo studio e
rielaborava con amarezza l'incontro della mattina e quelle poche
parole . Così improvvise così imprevedibili. Sentiva la
spiacevole sensazione di essere stato frugato dentro l'anima
e,
come era uso fare nei momenti peggiori , guardava il S. Sebastiano,
che occupava tutta l'altezza della parete
alla sua sinistra, con masochistica identificazione.
Quando Giulia era giunta dinanzi al portone di casa aveva esitato
prima di tirare la leva del campanello, poi l'aveva agguantata dando
strappi prolungati e provocando scampanellii come il professore non
ne aveva mai uditi. Ad aprire era andato proprio lui essendo in quel
momento solo in casa.
Quando la porta era stata aperta gli sguardi del padre e della
figlia si erano incrociati . Si erano guardati e studiati un
momento. Il padre aveva percepito negli occhi della figlia , un
aspetto della sua stessa disperazione che dava a quel volto che gli
stava dinanzi come una sorta di bellezza per il contrasto fra l'età
acerba e l'espressione sofferta di una donna.
Giulia aveva compreso quanta genuina fosse la gioia del padre , con
l'espressione , come se l'avesse attesa da tempo ed era scoccata
un'ora felice della loro esistenza.
Senza parole si erano gettati l'una nelle braccia dell'altro.
Nel flash di quel momento furono cancellati anni di incomprensione e
si trovarono sorprendentemente pronti per la vita che li attendeva, come miracolati dalla misericordia.
Giovanni Noera - gennaio 2012
Giovanni Noera (ex Comit) |
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