Leggo su Libertà del 10 agosto l'intervento di Don Stefano Antonelli che con tono accorato ma pacato risponde a un articolo di qualche giorno fa del signor Maurizio Astorri sul tema dell'ormai annosa penuria di preti e in particolare di parroci nella nostra diocesi, un problema ormai diffuso in tutto il mondo, specialmente nei paesi più sviluppati.

Tralascio la polemica che a quanto leggo ha rattristato non poco Don Antonelli per i toni e le espressioni del suo interlocutore e cerco di spiegare, da laico poco credente ma amico di molti preti, che cosa penso dell''argomento che non riguarda solo i praticanti, data la tradizionale meritoria funzione sociale delle parrocchie e di chi le regge.

Mi spiace anzitutto  mettere a punto la base di tutto il problema delle cosiddette "vocazioni": Se, come sostiene la Chiesa da sempre, si tratta di una "chiamata" spirituale di provenienza divina, non si vede perchè il flusso si sia arrestato o, nell'ultimo mezzo secolo almeno, sia fortemente diminuito fino a lasciare senza guida migliaia di parrocchie e milioni di fedeli. Viene spontaneo pensare, non solo a un laico come me, che non si sia mai trattato di chiamate ma semplicemente di scelte individuali, come per tutti gli altri indirizzi professionali o scelte di vita, come quelle dei medici, degli insegnanti, degli artisti. E' vero che la parola fede ha perduto ai giorni nostri buona parte del significato che aveva una volta e anche chi dice di averla ha ormai molti dubbi, magari senza ammetterlo..

Posso sbagliarmi, ma penso che sbagli soprattutto la chiesa a non dare la giusta importanza all'obbligo del celibato che condanna i preti alla solitudine per tutta la vita. Non è ovviamente la sola causa della crisi delle vocazioni. Un tempo il "mestiere" godeva di un prestigio infinitamente maggiore e anche dal punto di vista economico la vita dei preti e soprattutto dei parroci era  molto più agiata. Gli stessi erano circondati da comunità di fedeli o praticanti molto più numerose e coese.

C'erano corti di parrocchiani intorno al parroco e al curato e di questi ultimi c'era abbondanza. I curati facevano carriera, ottenevano prima o poi la loro parrocchia e il loro gregge. Nei paesi il prete era importante, con il sindaco, il medico condotto, il maresciallo, il farmacista. L'isolamento dovuto al celibato, alla mancanza di una famiglia, era alleviato in buona parte dalla comunità.

E' brutto affermarlo, ma in parte l'attaccamento alla parrocchia e alla religione in modo acritico era dovuto anche alla diffusa ignoranza.  La scolarizzazione di massa ha generato fatalmente il dubbio, con domande senza chiare risposte da parte delle chiese, non solo di quella cattolica. Le omelie durante le messe sono ascoltate spesso distrattamente, se non con indifferenza e non è colpa dell'officiante. E' proprio quell'indifferenza che rattrista molti preti, ma la ripetitività dei temi e le incongruenze di molti passi delle scritture anche per le menti semplici sono tali da provocare spesso  atteggiamenti di indifferenza anche in molti praticanti abituali.

Don Antonelli espone il problema dei parroci e delle parrocchie in tutta la sua crudezza. Dai cinquecento e più si ridurranno presto a non più di una sessantina, poco più di uno per comune, escludendo il capoluogo di diocesi. Già ora moltissime parrocchie di montagna e collina sono scoperte, oppure sono faticosamente aperte saltuariamente da pochi parroci ultrasettantenni o ultraottrantenni che corrono da una all'altra per assicurare la messa domenicale alle piccole comunità.

Il problema riguarda anche noi laici perchè tante belle chiese di montagna, veri tesori d'arte, sono semi abbandonate o affidate alle cure precarie di qualche donna o famiglia volonterosa.

Parzialmente le diocesi ricorrono da qualche tempo all'aiuto dei cosiddetti diaconi, ordinati anche se sposati, ma si tratta di un palliativo, del tutto insufficiente. Esiste naturalmente anche un aspetto economico che non può essere sulle spalle della sola Chiesa.

A mio parere, ovviamente da estraneo e sostanzialmente ignorante di tutta la complessità della materia, anche la Chiesa cattolica romana, come hanno già fatto la maggior parte delle altre confessioni cristiane, perfino quella dei cattolici uniati di obbedienza romana, dovrà estendere prima o poi il sacerdozio ai preti sposati, consentirne il matrimonio e la formazione di una famiglia e soprattutto l'ordinazione delle donne. Su quest'ultimo tema non riesco proprio a comprendere l'ostinazione della Chiesa a tenerle fuori. Ho conosciuto e conosco alcune donne parroco di chiese cristiane evangeliche che svolgono egregiamente il loro compito.

 

 

 

 

 

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Piazza Scala - settembre 2014