Piazza Scala

Capitolo 4 - LA RIVOLUZIONE UNGHERESE (ottobre-novembre 1956)


Quando quella sera Giorgio ed Ester entrarono nella sala conferenze del Grand Hotel et de Milan, dove si teneva la conferenza del Rotary sulla Rivoluzione Ungherese, suo padre non era ancora arrivato. L'aula era deserta e desolata come un museo chiuso. Erano arrivati troppo in anticipo. I soci erano ancora impegnati a terminare la loro cena conviviale e i giornalisti non erano ancora presenti. Si sistemarono comunque in quarta fila, un po' decentrati, rispetto al tavolo dei conferenzieri. Giorgio, essendo il figlio dell'oratore, non avrebbe voluto dare nell'occhio. Poi, prima pian piano, poi sempre più in fretta, i posti a sedere vennero occupati. In prima fila i giornalisti. Quando arrivò il professore la sala era al completo.
Il discorso di Gabor Bernardi fu introdotto dal chairman, il Presidente del Rotary Club Milano, che non mancò di sottolineare l'esperienza diretta che il professore aveva maturato sul campo, come testimone oculare della rivoluzione ungherese nel suo svolgersi e gli cedette la parola.
Bernardi esordì premettendo che, sebbene sarebbe stato possibile considerarlo di parte proprio perché personalmente coinvolto, avrebbe cercato di essere il più schematico e oggettivo possibile nella esposizione degli avvenimenti. Estrasse dalla sua valigetta un fascicolo con il testo della sua relazione, bussò due volte sul microfono, per verificarne l'efficienza, e avviò il discorso.
Preferisco, in prima istanza, riassumere la cronaca di questo sofferto evento storico, per passare poi, insieme a voi, cioè a coloro che vorranno pormi delle domande, a esaminare ipotesi, realistiche, circa il futuro dell'attuale Ungheria nel contesto degli Stati Europei controllati dall'Unione Sovietica.
Negli anni dei dopoguerra il confine tra est e ovest non era ancora insuperabile e per tutti gli anni '50 molte persone cercavano di fuggire verso ovest. Per la maggior parte erano giovani con meno di 30 anni e spesso persone con una buona formazione professionale, laureati, operai specializzati e artigiani, che all'ovest si aspettavano un futuro più redditizio e più libero. In particolare, in Germania Est, questo continuo dissanguamento stava diventando un pericolo serio ed era un'ulteriore causa delle difficoltà economiche di questo Stato.
Nelle prime ore del 13 agosto de! 1961, le unità armate della Germania dell'est interruppero tutti i collegamenti tra Berlino est e ovest e iniziarono a costruire, davanti agli occhi esterrefatti degli abitanti di tutte e due le parti, un muro insuperabile che avrebbe attraversato tutta la città, che avrebbe diviso le famiglie in due e tagliato la strada tra casa e posto di lavoro, scuola e università. Non solo a Berlino, ma in tutta la Germania il confine tra est e ovest diventò una trappola mortale. I soldati ricevettero l'ordine di sparare su tutti quelli che cercavano di attraversare quella linea rossa che, con gli anni, fu attrezzata con dei macchinari sempre più terrificanti, con mine anti-uomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione, e, addirittura, con degli impianti che sparavano automaticamente su tutto quello che si muoveva nella cosiddetta "striscia della morte".
Questa premessa serve a sottolineare lo stato di oppressione che interessava non solo la popolazione tedesca, ma anche quelle degli altri Stati dell'est controllati dall'Unione Sovietica.
La Rivoluzione Ungherese fu poderosa ma di breve durata, compresa tra il23 ottobre e l'il novembre 1956. Fu Nazionale e Democratica, fu un'azione coraggiosa indirizzata alla liberazione del paese dal gio¬go sovietico e, in particolare, contro la dittatura di Màtyàs Ràkosi, il miglior discepolo ungherese di Stalin. Prese le mosse a seguito di una manifestazione degli studenti di Budapest a sostegno di quelli della città Polacca di Pozncin che erano stati repressi dalle forze governative di quel paese. Ma il suo vero humus era riconducibile al vuoto di potere ai vertici dell'Unione Sovietica creatosi a seguito della morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953.
Il cosiddetto "periodo di destalinizzazione" inizia il 17giugno 1953 quando il Cremlino convoca i dirigenti ungheresi, defenestra Màtiàs Ràkosi, assegnando il posto di primo ministro allo statista riformatore Imre Nagy. Ma dura poco, il 18 aprile 1955 viene rimpiazzato da Andràs Hegedus, un uomo di Ràkosi.
Il 14 maggio 1955 nasce il Patto di Varsavia che lega l'URSS e i paesi satelliti, inclusi quelli alleati di Hitler e quindi usciti sconfitti dalla Seconda Guerra Mondiale - Ungheria, Romania e Bulgaria - a un'alleanza militare di reciproca assistenza e stabilisce la costante presenza delle forze armate sovietiche in Ungheria, come deterrente verso i Paesi Occidentali.
Nell'ottobre 1955, circa sessanta scrittori e artisti famosi firmano un manifesto di protesta contro la linea dei comunisti ungheresi, sempre controllati dai sovietici, corrispondente a un sistema di potere accentrato di chiara matrice stalinista nonché contro i metodi brutali usati nei confronti degli intellettuali.
Nell'ottobre 1956, viene eletto a capo del Partito Comunista Polacco Wladyslaw Gomulka che ispira speranze di grandi riforme e maggiore autonomia nell'Europa Orientale.
Alle ore 14 e 30 del23 ottobre 1956, a Pest, gli studenti del Politecnico avviano una manifestazione pacifista a favore di Gomulka, a cui, lungo il percorso, si aggregano sempre più ungheresi sino a raggiungere circa 200.000 unità. Nagy è reclamato dalla folla. Intorno alle 21 i dimostranti, invece di fare rientro a casa, raggiungono le sedi della stazione radio, della redazione del quotidiano "Szabad Nep", della centrale telefonica e di altri centri sensibili come una fabbrica di armi e un deposito di mezzi militari. Gli operai delle periferie catturano autocarri, armi e munizioni e abbattono la statua dell'odiato Stalin, simbolo dell'oppressione sovietica.
Alle 23,30 il Comitato Centrale del Partito Comunista chiede l'intervento delle truppe sovietiche ma, con diplomazia, decide anche la sostituzione a Capo de! Governo di Andràs Hegedus con il ritrovato Imre Nagy, inneggiato dai manifestanti.
Nagy è costretto a scegliere tra il preciso desiderio del popolo di avere un governo democratico e Usuo dovere di sostenere il regime vigente a partito unico. Alle 8 de! 24 ottobre si apre una seduta straordinaria del Consiglio dei Ministri. Intorno a mezzogiorno, Nagy, per radio, rivolge un appello al paese invitando i rivoltosi a deporre le armi, garantendo la piena immunità a quanti aderiranno. Tutto è vano. Il 25 la segreteria del Partito comunista viene assegnata a Jànos Kadàr, già Presidente della Repubblica Ungherese dal 1946 al 1948. Scoppiano gli scontri armati. Il 25 pomeriggio la folla si raggruppa nella piazza antistante il Parlamento. Intervengono i carri armati sovietici che rispondono al fuoco causando centinaia di morti. Il 27, Nagy costituisce un nuovo Governo e, avvalendosi di questa innovazione, ordina alla radio la fine delle sommosse. Aggiunge, con compiacimento, di aver appena concluso un nuovo accordo con l'Unione Sovietica per l'evacuazione completa delle truppe militari presenti in Ungheria ed altri importanti innovazioni politiche. Ma la situazione, piuttosto che stabilizzarsi, prende una piega inaspettata. Il 28 ottobre le truppe sovietiche, assieme ad elementi dell'esercito ungherese fedeli al vecchio regime, concepiscono un piano d'attacco. Per scongiurare una carneficina, Nagy tratta una tregua con Khruscev.
Tra il 31 ottobre e il 1° novembre, vi è un colpo di scena. Nagy, di nuovo attraverso la radio, chiede il sollecito e completo ritiro delle truppe sovietiche da tutto il suolo ungherese, proclama l'Ungheria Stato Neutrale e dichiara di voler uscire dal Patto di Varsavia, sperando nell'aiuto e nella protezione dell'ONU - che, in effetti, invia a Budapest sedici membri, ma senza risultati apprezzabili - nel vano tentativo di scongiurare l'oltranza militare sovietica. Nagy sottolinea il concetto di neutralità: Ungheria non più satellite, ma tuttalpiù colonia indipendente dell'Europa dell'Est.
Nagy fa trasmettere dalla radio di Stato il seguente messaggio: "Qui parla il Primo Ministro Imre Nagy. Le truppe sovietiche hanno aggredito la nostra capitale con l'evidente intento di rovesciare il governo legale e democratico di Ungheria. La nostre truppe sono impegnate nel combattimento. Il Governo è al suo posto. Comunico questo fatto al popolo del nostro paese e al mondo intero".
L'Armata Rossa, appoggiata dall'aviazione, trova un'accanita resistenza nei Centri Operai.
All'inizio, il Paese è completamente in mano ai patrioti. Le sparatorie tra i panzer russi e le mitragliette dei rivoluzionari si intensificano per alcuni giorni senza tregua. Già il 1° novembre, vigilia dei morti, freddo intenso, vi erano cadaveri appena sepolti in tutta la città, disseminata di lumini accesi, a migliaia: sembrava un'immensa fiaccolata in sosta.
Il 2 novembre viene proibita la partita di calcio che avrebbe dovuto svolgersi l'indomani nel Nepstadion tra l'Ungheria, vice campione del mondo, e la nazionale svedese.
La rivoluzione è al suo apice, ma è una lotta impari, la sproporzione delle forze in campo è netta. L'Armata Rossa ha schierato circa 2000 carri armati, una terrificante colata di acciaio. I vetri dei palazzi tremano sotto il loro sferraglio. La resistenza è destinata ad avere vita breve. Tuttavia la rivolta è tenace, armata dalla disperazione e dalla miseria dei suoi abitanti, stremati da undici anni di regime comunista implacabile, cementata da una comune disperazione. Con un accanimento che ricorda le guerre di religione, ogni casa viene trasformata in fortino, ogni finestra in feritoia. Non ce finestra da cui non si spari. Muoiono dei carristi. Budapest ne espone i cadaveri appesi agli albe¬ri, con orgoglio, come le signore espongono i loro gioielli. Il sogno di un'Ungheria indipendente, neutrale e occidentale è nel cuore del popolo. Ma ben presto Budapest appare una necropoli dissepolta, tanti sono i cadaveri per le strade, dopo quattro giorni e quattro notti di accanita battaglia: appare come una fornace, un uragano di fuoco. Il gracidio delle mitragliette si mantiene costante, petulante e implacabile, ma i colpi di cannone sono in media circa tre al minuto per ciascun panzer. Le strade sono pavimentate di morti.
Kadàr e il partito sono convinti del fatto che la situazione abbia assunto connotazioni controrivoluzionarie, il 4 novembre sconfessano il Governo Nagy e ne costituiscono uno alternativo. Le unità dell'Armata iniziano la grande offensiva. Nagy e diversi suoi compagni trovano rifugio nell''Ambasciata jugoslava.
Martedì 6 novembre, le cannonate dei panzer riducono Budapest a un'enorme forma di formaggio gruviera.
L'8 e il 9 novembre La Svizzera, interviene in posizione di neutralità e si prodiga per trasportare con la Swissair, i primi 400 profughi a Kloten, nel Cantone di Zurigo. Sono ungheresi che abbandonano tutto e portano con sé solo una valigia con pochi beni, ma salvano la pelle.
Il 10 novembre gli ultimi nuclei di resistenza: consigli di lavoratori, studenti e intellettuali, chiedono il cessate il fuoco. La rivoluzione è sconfitta, le perdite per gli ungheresi ammontano almeno a cinquantamila morti, i profughi sono oltre centomila.
Subentra il Governo di Jànos Kadàr. Nagy viene arrestato.
Quello stesso giorno, all'alba, io, mia moglie e i miei due figli partiamo con una vecchia automobile alla volta di Vienna. Si è trattato di una fuga vera e propria. Per fortuna, percorrendo strade secondarie, nel gelo e sotto sprazzi di neve che riducono la visibilità, riesco a portare la mia famiglia in salvo. Se mi avessero catturato, credo che per me sarebbe finita, come lo è stato per diversi intellettuali che erano miei colleghi all'università di Budapest.
Qui il professor Bernardi fece una comprensibile pausa emozionale. Bevve un bicchier d'acqua. Il chairman ne approfittò per sottolineare la fortuna di avere ospite del Rotary Club non solo un testimone oculare della rivolta, ma anche un militante intellettuale della corrente democratica.
Il Professor Bernardi riprese il discorso ricordando l'incontro con il giornalista italiano Indro Montanelli.
"Ricordo che il giorno prima di lasciare Budapest, ero riuscito a raggiungere l'Hotel Duna dove alloggiavano da una settimana, prigionieri del coprifuoco, cinque coraggiosi giornalisti italiani, tra cui Indro Montanelli. Rischiai non poco per raggiungere quell'albergo e poi ritornare a casa, ma speravo di avere da loro dei riscontri aggiornati e più obiettivi sullo stato degli avvenimenti. Indro mi strinse la mano, illuminando i suoi occhi istrionici, e mi rispose: Ormai la società ungherese è in pezzi, non ha più un'economia, né una gerarchia. E alla deriva. Anche quella risposta contribuì a consolidare in me la necessità di arrendermi, di evadere da quell'inferno e di salvare la mia famiglia".
Bernardi fece di nuovo una pausa, controllò con lo sguardo la platea, tra cui scorse anche suo figlio, a aggiunse: "Seppi poi che uno dei giornalisti, Mario, il più anziano, malato di cancro, con un'assicurazione sulla vita a beneficio della sua famiglia, usci dall'Hotel Duna, andando incontro a morte sicura. Colpito, cadde a terra impugnando non una bandiera, bensì quella polizza che avrebbe consentito ai suoi il sostentamento dopo la sua mancanza. A mo' di vessillo la sventolò prima di cadere a terra... Nel 1960, Indro Montanelli scrisse l'opera teatrale intitolata I sogni muoiono all'alba che si soffermava sullo stato d'animo e sul comportamento di quei cinque giornalisti. L'anno dopo la cinematografia italiana ne realizzò un film... Se è vero che i sogni muoiono all'alba, penso che sia altrettanto vero che risorgeranno nella volontà di nuovi uomini leali, più risoluti e più capaci... Ma ritorniamo al novembre 1956. Che cosa succede in quei giorni di fuoco in Italia?".
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Piazza Scala - luglio 2012