La Banca Commerciale Triestina (BCT), fondata nel 1859
dai settori più attivi della borghesia imprenditoriale triestina, fu
all'inizio "una roccaforte del diffuso azionariato locale, composto in larga
misura da esponenti delle case commerciali, poi dalle fortune industriali e
finanziarie. Esercitavano un ruolo dominante le famiglie Brunner ed Economo"
(cfr. Giulio Sapelli,
Trieste italiana. Mito e destino economico, Milano, 1990, p.
29).
Nel 1904 la BCT passò sotto il controllo del Wiener Bankverein, che la legò
strettamente all'ambiente finanziario viennese; non risultò, comunque,
modificato il tradizionale indirizzo della BCT nel finanziamento delle
attività commerciali e industriali dell'area triestina, in concorrenza con
le filiali delle banche austriache.
Dopo la prima guerra mondiale, nell'ambito della "italianizzazione" delle
attività austriache, la BCT passò sotto il controllo diretto di alcuni tra i
maggiori gruppi imprenditoriali triestini (oltre ai Brunner si aggiunsero i
Cosulich); si rese così più oneroso rispetto al passato, dopo
l'allontanamento delle banche austriache dalla piazza di Trieste, il suo
tradizionale ruolo di sostegno all'imprenditoria locale.
Ciò fu particolarmente evidente quando alla fine degli anni Venti i gruppi
familiari che controllavano la BCT furono travolti da una gravissima crisi
economica e finanziaria che aveva sconvolto la città giuliana, trascinando
con sé nel crollo la banca.
Come prima misura la BCT fu ceduta alla Comit e di conseguenza, nel
Consiglio di amministrazione del 21 maggio 1930, furono eletti come nuovi
consiglieri vari esponenti della BCI, tra cui Enrico Marchesano come
amministratore delegato, e Giuseppe Toeplitz, come vice-presidente della BCT
e con l'incarico di presidente del Comitato Esecutivo.
Il 24 aprile 1932, la BCT venne fusa nella Banca Commerciale Italiana e le
sue attività confluirono in quelle della preesistente filiale triestina
della Comit, aperta nel marzo 1919. |