Il dott. Nicola Aguanno è un ex primario di psichiatria all'Ospedale di Feltre. Amico d'infanzia. Tuttora, dopo la pensione, riveste la carica di Presidente della DUMIA, SerT deputato al recupero dei tossici. Ha svolto diverse relazioni sul settore tossicodipendenza, spesso in contrasto con le regole tradizionali che non sempre portano a risultati apprezzabili, come si evince anche dal suo stesso pensiero riportato nell'articolo. 

Arnaldo De Porti - dicembre 2011
 

 

TOSSICODIPENDENZA : CRISI PERSONALE O IMPASSE DEL SISTEMA?

 

Appare periodicamente, in occasione di qualche furto, scippo, che salti alla ribalta il problema sempre presente della tossicodipendenza e dei tossicodipendenti. Non è raro che, in occasione dei frequenti episodi di microcriminalità, sia imputato vero o presunto, in maniera spesso gratuita e pretestuosa un non meglio identificato “ tossicodipendente “. A volte l’imputazione è del tutto gratuita, ma spesso il tossicodipendente è protagonista di fatti di una certa gravità in genere legati al reperimento di risorse per rifornirsi di sostanze.
Non mancano dati, spesso sensazionali, forniti da varie fonti, che pongono l’accento sul fenomeno sempre in crescita e sempre più grave.
Passato l’episodio scatenante non se ne parla più fino alla prossima occasione quando si ripete il tutto con le stesse modalità e le stesse sterili motivazioni.
Difficilmente, almeno a livello giornalistico, appaiono argomentazioni tendenti ad approfondire il fenomeno a cercarne la causa ed a trovarne delle possibili soluzioni se non la pressante richiesta di inasprire le pene.
I Servizi pubblici – SerD – e del privato sociale – Comunità Terapeutiche, Coop. Sociali – sappiamo non incidono sull’andamento del fenomeno se non in maniera marginale e fondamentalmente si limitano a tamponare situazioni di emergenza.
Cosicché in genere, specie nelle grandi città dove alta è l’utenza e scarsi gli operatori, si risolve nell’erogazione di farmaci sostitutivi, altrettanto simili alle sostanze stupefacenti, però legali. Si chiama “riduzione del danno”: lo Stato ti dà delle sostanze altrettanto dannose degli stupefacenti, senza peraltro essere perseguibile come spacciatore.
Il fenomeno così complesso viene pertanto affrontato somministrando farmaci sostitutivi e soprattutto inasprendo le pene interventi che, come dimostra l’esperienza, non raggiungono lo scopo se non quello d’un controllo sociale che , pur facendo diminuire, e non sempre, fatti delittuosi, non prende minimamente in considerazione la motivazione per cui tanti giovani e non più giovani, fanno uso di sostanze. Lo stesso dicasi di altre dipendenze, fumo, alcool, e, non ultima la dipendenza da gioco che sta assumendo notevole gravità per la notevole diffusione ed il numero di persone interessate e le spesso disastrose conseguenze.
Anche in questi casi lo Stato percepisce un grosso guadagno per le tassazioni imposte e nello stesso tempo, in maniera contraddittoria, consuma risorse per combatterle
Inutile portare in Tribunale ed infliggere una pena, come da tanti invocato, a persone che neppure si rendono conto d’aver commesso un reato.
La stessa cosa vale per quei giovani trasgressivi per i quali il perdono non ha senso in quanto non riconoscono la colpa.
Sono tutti i figli della nostra generazione a cui nessuno ha insegnato la non violenza, fanno parte d’una generazione che proviene da un mondo adulto che giustifica le guerre definendole missioni di pace, umanitarie,chirurgiche ed intelligenti. Guerre i cui morti sono definiti “danni collaterali”
Sono figli di una politica che decide solerte di intervenire con i nostri aerei a difesa della popolazione libica e non si cura di quella della Siria, dello Yemen,del Barhein.... ed allora sopravviene il dubbio che ci si muove a difendere il petrolio di cui siamo assetati piuttosto che le persone.
E’ forse giunto il momento di riflettere seriamente sulla condizione giovanile di cui si parla tanto e poco si fa, della famiglia in crisi, della scuola incapace di creare un processo di autostima ed al contempo la capacità di accettazione del negativo indispensabile a far fronte agli inevitabili eventi avversi della vita.
La famiglia e la scuola, due istituzioni oggi in profonda crisi, non sono sufficientemente attenti, o preparati, ad affrontare processi di autostima ed autoaccettazione o li tengono in minimo conto scambiando, specie la scuola, l’autostima in presunzione e l’autoaccettazione come un riconoscimento d’una propria incapacità.
E cresce sempre più la dimensione del vuoto intorno all’adolescente, vuoto che spesso porta a gesti inconsulti. Spesso ci siamo chiesti come mai i ragazzi del cavalcavia per passare il tempo gettavano sassi sugli automobilisti nell’autostrada sottostante, come mai due adolescenti hanno trucidato una suora, come mai i “fidanzatini” hanno ucciso mamma e papà oppure uno studente esemplare s’è tolta la vita. Tali eventi ci preoccupano e turbano non poco perché apparentemente non si trova un movente, una causa.
Il suicidio nei giovani è la seconda causa di morte dopo gli incidenti automobilistici. La morte per over-dose, che solo per un differente livello di coscienza può essere tenuta distinta dai suicidi propriamente detti, nell’età compresa tra i quindici ed i venticinque anni, conta quattromila soggetti all’anno. Il fine di chi si droga è pressoché costantemente lo sballo cioè l’uscire dalla realtà, il non esserci, un piacevole suicidio. Lo stesso dicasi per l’immergersi nei decibel della discoteca, nell’isolarsi con i-pod costantemente all’orecchio, nell’uso del cellulare sempre in funzione incuranti della ostentata pericolosità delle onde elettromagnetiche: sono tutte modalità per sfuggire ad una realtà sempre immobile ed “all’insignificanza dell’esistere”; ed allora dice U. Galimberti “, bisogna avere il coraggio di vivere fino in fondo anche l’insignificanza dell’esistenza per essere all’altezza d’un dialogo con loro”.
Come si pone la scuola nei confronti di questi giovani, probabilmente disattenti perché nulla ormai è più interessante ?
Trovai un giorno durante le pretese azioni di prevenzione nelle scuole, un giovane che mi ha esternato tutta la sua delusione per non aver trovato nella scuola ciò che più si attendeva: alludeva ad una vicinanza affettiva che invano andava cercando. Sembra essere questo vuoto affettivo che porta al gesto suicida o omicida nel tentativo di poterlo in qualche maniera riempire.
Cosa fare? Il problema non è solo di casa nostra ma investe ormai tutta la società “ civile”. e sicuramente è legato ad una organizzazione sociale e sfugge chiaramente al controllo dei singoli paesi: sicuramente è possibile in questo marasma sociopatico rivolgersi alle istituzioni che sempre nel tempo hanno dimostrato una certa validità e far si che la crisi che attualmente drammaticamente vivono, possa essere in qualche  maniera risolta con adeguati interventi che non possono che competere alla politica. Il discorso allora diventa notevolmente complesso; vorrei solamente convincere chi, molto semplicisticamente, colpevolizza l’ultimo anello della catena del malessere, il tossicodipendente ed altri soggetti emarginati, che altri e più importanti sono gli strumenti da adottare per sperare di riuscire ad avere qualche successo in questo campo.
Ed allora non resta che ricorrere , per quanto è ancora possibile , alla famiglia ed alla scuola oltre che sperare che altre agenzie educanti, - parrocchie,associazioni sportive, centri culturali ecc - possano uscire dalla crisi che da tempo le costringe ad un ruolo decisamente non più incisivo nell’ambito educativo e sociale in attesa che la Politica possa armonizzare in maniera più efficiente interventi meglio strutturati ed efficienti.
Ma questo è un altro discorso.

Dott. Nicola Aguanno

 

 

 

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Piazza Scala - dicembre 2011