'U TASSU
C'era in paese un piccolo nucleo
di cacciatori. Due erano espertissimi, gli altri un po’ meno, ma egualmente
capaci di tenere testa ai primi. Fra questi un personaggio singolare - Mico
- che spiccava per la grande passione che riversava, oltre che nel suo
abituale lavoro, nei due svaghi preferiti. Uno era, appunto, la caccia.
Dalle nostre parti (siamo nella punta dello stivale) la selvaggina non è mai
stata abbondante anzi, a onor del vero, insufficiente a soddisfare la
frenesia venatoria dei cacciatori i quali aspettavano con ansia la stagione
invernale quando c'era, tanto atteso quanto nutritissimo, il passo dei
tordi, che così pagavano un prezzo altissimo alla loro ingordigia di olive.
V'erano anche, stanziali, pochi merli spelacchiati, oggetto di chissà quante
fucilate andate a vuoto. Ed erano - poveracci - talmente terrorizzati che al
minimo rumore o stormire di fronde o al muoversi di qualche ombra sospetta,
volavano via velocissimi lasciandosi dietro il tipico sibilare degli uccelli
impauriti
Quando qualche scena come questa si presentava ai suoi occhi, Mico ne
rimaneva estasiato, quasi rapito, ma soprattutto
stimolato a ingaggiare coi volatili una sorta di gara a rimpiattino che
poteva protrarsi anche per più ore. Per lui c'era il piacere della rincorsa
alla selvaggina, il puntiglio di riuscire nell'intento e la soddisfazione di
poter rientrare in paese ritto, impettito e col fucile in spalla, con almeno
un trofeo di caccia.
Succedeva però che i merli, o per la loro complessione fisica che non gli
concedeva di più, o perché giudicavano sufficiente lo spazio che li separava
di volta in volta dall'ombra che vedevano armeggiare (è il caso di dirlo)
dietro i tronchi degli ulivi, stabilivano fra loro e Mico delle distanze che
questi giudicava, con rabbia, fuori dalla portata del suo fucile
Sembrava che i merli lo sapessero o che l'esperienza di tutte le fucilate,
partite nella loro
direzione, avessero suggerito loro il giusto intervallo spaziale da tenere
col cacciatore.
Ma Mico non era tipo da arrendersi: gli piaceva questo gioco e talvolta si
muoveva, mostrandosi di proposito ai merli, per costringerli al volo in un
certo verso, dove gli sarebbe stato più facile l'appostamento.
Tal'altra, dopo ripetuti tentativi di mira, scoperti e sventati dai merli
con balzi fulminei, si rassegnava a costringerne la direzione verso una zona
attraversata dalla strada, sperando che qualcuno vi comparisse a spaventare
i volatili, inducendoli a cambiare rotta e dirigersi verso il … fucile.
Ma questi maneggi non sortivano l'esito sperato e la gara, alla lunga,
diventava estenuante oltre che infruttuosa.
Così, puntualmente, Mico, che fino all'ultimo era stato molto attento a non
sprecare cartucce, si muoveva alla fine verso la preda con la massima
cautela, puntava il fucile e, piuttosto che rientrare a casa senza avere
sparato neppure un colpo, mirava al merlo senza la convinzione di poterlo
cogliere, sparava e assisteva deluso all'ennesimo, velocissimo volo verso un
altro irraggiungibile tratto.
Mico era - a modo suo - contento così. Trovava piacere con gli appostamenti,
il fiato trattenuto quasi a sottolineare gli alti silenzi, l'improvviso
fruscio delle ali e il volo rapido del merlo, la ripresa dell'avvicinamento
alla preda con cauti balzi da un albero all'altro col fucile pronto allo
sparo, le lunghe attese perché l'uccello commettesse qualche improbabile
errore di calcolo. Gli bastavano - insomma - tutte queste e altre piccole
cose per considerarsi soddisfatto delle lunghe scorribande per campi e
tratturi.
"La prossima volta" - diceva alla preda che non poteva ascoltarlo - "non mi
scapperai" e così si rassegnava, giulivo, alla "prossima volta", che chissà
quando sarebbe arrivata. L'altra passione era per un altro tipo di svago, di
quelli di lungo periodo, anzi annuale.
In paese era l'unico che lo praticasse e, quando lo metteva in atto,
suscitava comprensibile curiosità, cosa del resto legittima in un paesino
come il nostro dove tutti si conoscono e si …. spiano.
Avrebbe anche stimolato la partecipazione di chissà quanti se ne avesse
rivelato la data di attuazione.. Ma su questo punto era impenetrabile. Il
giorno in cui avrebbe dato il via alla sua impresa annuale lo comunicava
soltanto a pochissimi amici fidati, senza i quali del resto non avrebbe
potuto mandarla ad effetto. Il segreto, dunque, era d'obbligo fino
all'ultimo giorno, senza deroghe. Non solo, ma badava anche a non dare
nell'occhio con qualche comportamento diverso dai soliti ai quali la gente
era ormai abituata.
L'unico spostamento di Mico, nei giorni che precedevano l'evento, consisteva
nel recarsi fuori paese per acquistare la … materia prima fondamentale per
mandare a segno l'impresa. Ma lo faceva con circospezione e riservatezza per
non farsi notare, per giunta col sacco di canapa colmo del necessario.
Il nostro paese, dal tempo dei tempi, è attraversato nella sua parte bassa
da una meravigliosa vena d'acqua, fresca di sorgente, che alimenta le cinque
fontane principali..
Finito questo percorso, l'acqua s'infila sotto terra fino a una chiesetta
diroccata, dove riemerge per brevissimo tratto per poi reinfilarsi sotto e
ricomparire più in basso poco prima dell'ingresso in un frantoio, da dove
riprende il percorso per confluire, in fondo alla vallata, in un torrente
più grosso.
Il tratto d'interesse di Mico era limitato a quello fra la chiesetta (a
monte) e il punto di riemersione dell'acqua (a valle) poco prima del
frantoio. Si trattava all'incirca di non più di trecento metri di percorso,
sufficienti però a dare ospitalità alla specie di cui egli era ghiottissimo.
Erano le anguille. Esse vivevano e si moltiplicavano in questa estensione
percorsa dalle acque fresche e pulite di sorgente. Mico sapeva perfettamente
che nessuno le aveva disturbate durante tutto l'anno e dunque era convinto
di poter riempire il carniere e consolarsi delle non infrequenti delusioni
della caccia.
Di buon mattino si collocava a spalla il sacco contenente le zolle di calce
(che egli assimilava alle cartucce) e, in compagnia dei suoi due amici
fidati, partiva alla volta della chiesetta.
Naturalmente non poteva evitare gli sguardi curiosi o i saluti di quanti,
con la sola inflessione della voce, chiedevano di saperne
di
più. Ma egli tirava dritto per la sua strada, rispondendo di malavoglia,
anzi incurante se non addirittura infastidito..
Giunto sul posto, depositava il sacco, comunicava gli ultimi avvertimenti
all'amico che sarebbe rimasto con il compito di lasciar cadere le zolle di
calce (toppe) nell'acqua (jettàri 'u tassu).
"Mi raccomando" - gli diceva - "dapprima due o tre contemporaneamente e poi
- a distanza di circa un minuto - una alla volta. Comincia dopo cinque
minuti che saremo partiti per darci il tempo di essere pronti all'uscita
dall’altra parte con gli attrezzi".
I quali attrezzi altro non erano che dei forchettoni di metallo o di legno
con i quali le anguille venivano inforcate, premute contro il fondo, prese e
collocate nei secchi o nei sacchetti.
Ora Mico era nella medesima condizione d'animo di quando, avvistato un
volatile, si appostava, dirigeva il fucile verso la preda e, nel massimo
silenzio, scrutava le fronde degli alberi se gli riusciva di scorgere la
sagoma del merlo o del tordo o della beccaccia che fosse..
Percorreva gli ultimi metri saltellando col forchettone in mano e incitava
l'altro amico a collocarsi, come lui, a cavalcioni del rigagnolo e a non
farsi sfuggire le anguille che fra poco sarebbero arrivate in buon numero.
Entrambi divaricavano dunque le gambe fra un bordo e l'altro di questo
rigagnolo e tenevano pronti i forchettoni nella stessa posa dei marinari in
procinto di fiocinare il pesce..
Quando l'acqua cominciava a sbiancare per lo scioglimento della calce, Mico
si lasciava
andare in un grido di battaglia: "attenzione, arrivano!".
E difatti l'acqua, scossa ora dai guizzi delle anguille impazzite per il
pizzicore della calce, ribolliva come fosse sopra il fuoco.
Mico sprizzava felicità da tutti i pori, seguitava a inforcare anguille,
riporle nel secchio e incitare l'amico a non lasciarsele scappare.
L'intera operazione durava fino a quando le acque non tornavano limpide come
prima: segno evidente che la calce era finita, come del resto confermava
anche l'arrivo dell'amico lasciato a monte per 'jettari 'u tassu'.
Mico era raggiante. Mostrava all'amico le anguille guizzanti nel secchio e
lo invitava a prenderne una buona porzione.
Divideva poi la rimanenza con l'altro amico e rientrava a casa con il …
carniere pieno, come mai, o quasi, gli accadeva con la caccia.
Il saluto agli amici era di quelli benauguranti e rituali: " L' annu chi
veni ndi vidimu ccà". (L'anno venturo ci vedremo qui).
Lorenzo Milanesi 2010 |