L'ORDINAMENTO
PREVIDENZIALE
Brevi nozioni generali
L’ordinamento previdenziale
è il complesso delie norme giuridiche con le
quali lo Stato, attraverso enti predisposti, dà
attuazione agli artt. 36 e 38 della Costituzione.
L’ordinamento
previdenziale, a sua volta, si suddivide in
sistemi, tanti quanti sono le categorie dei
lavoratori, per i quali si deve approntare la
disciplina previdenziale (e anche
assistenziale), ciascuna delle quali ha sue
proprie regole, dovute alla peculiarità
dell’attività lavorativa/professionale.
L’opinione, abbastanza
diffusa, di creare un sistema unico per tutti
non è stata mai condivisa dalla Corte
Costituzionale (si omette la citazione delie
sentenze per la notorietà delle medesime).
I sistemi previdenziali
sono disciplinati da diverse regole
assicurative, le principali delle quali sono, da
una parte, quella mutualistica-assicurativa e,
dall’altra, quella solidaristica.
La prima consiste,
sostanzialmente, nella ripartizione del rischio
tra gli assicurati, con l'accumulo dei
contributi versati nel conto di ognuno di essi e
con la restituzione della somma accantonata,
attraverso la sua trasformazione in rendita
(leggasi pensione).
In alcuni casi, era stato
persino previsto (v. avvocati) che la somma
accantonata potesse essere, addirittura,
restituita, a semplice richiesta dell’iscritto.
La seconda prevede che non
tutti i contributi versati vengano utilizzati
per la sola pensione dell’iscritto, in quanto
una parte degli stessi viene utilizzata per
l’elargizione della pensione agli altri iscritti
della categoria professionale.
La caratteristica di questo
secondo sistema è che i contributi vengono
annotati in un conto unico e globale e, alla
fine, contribuiscono a formare il patrimonio
dell’ente erogatore della pensione.
I contributi versati, di
norma con cadenza annuale, vengono ripartiti tra
tutti gli assicurati, utilizzandoli per il
pagamento dei trattamenti pensionistici in
essere.
Naturalmente, per evitare
che, quando sarà il turno dell’iscritto, non ci
siano le disponibilità finanziare per pagare le
loro pensioni, sono previsti, per i singoli
enti, accantonamenti obbligatori e intangibili,
che costituiscono la c.d. riserva legale.
In aggiunta, per i liberi
professionisti, è stata imposta la salvaguardia
dell’equilibrio tecnico-finanziario, ora, per
cinquantanni.
Naturalmente, queste tutele
non sono imposte all’INPS per la semplice
considerazione che, per le eventuali deficienze
di cassa, deve intervenire lo Stato, nei modi e
nei termini che di seguito verrà opportunamente
precisato.
Lo Stato, com’è notorio, è
intervenuto, con una legislazione davvero
imponente, risalente, orientativamente,
all’inizio del secolo scorso, che non è qui il
caso di menzionare, a disciplinare l’ordinamento
previdenziale, tenendo presenti le esigenze
delle singole categorie da tutelare.
Si è sempre posto il
problema dell’opportunità di rendere omogeneo,
per le categorie degli iscritti, l’ordinamento
previdenziale per così dire generale dell’INPS,
al fine, anche, di consentire, nel bilancio
dello Stato, una contabilizzazione unica per
rendere evidente la quantificazione della spesa
previdenziale, in modo da approntare, attraverso
il generale pagamento dei tributi (art.53 della
Costituzione), la provvista necessaria per il
pagamento delle pensioni, in ottemperanza della
norma immediatamente precettiva dell'articolo 38
della Costituzione. Questa aspirazione, della
quale vi è continua traccia nelle varie leggi
previdenziali, non ha avuto, sino a questo
momento, concreta attuazione e, con tutta
probabilità, difficilmente lo potrà avere perché
le peculiarità dei singoli iscritti non possono
consentire una uniformità, che finirebbe per
ledere l’articolo 3 della Costituzione.
Naturalmente, l’intervento
dello Stato nell’ordinamento previdenziale ha
ubbidito, anche, a scelte politiche, finalizzate
a conservare il consenso elettorale.
Per questo, gli interventi
effettuati sono stati, con l’apporto
professionale degli esperti in materia
finanziaria-previdenziale, oggetti di continua
modifica.
I
due sistemi computistici che, nel
tempo, si sono fronteggiati e tuttora sono
oggetto di discussione, sono due: quello c.d.
retributivo (reddituale per i lavoratori
autonomi) e quello contributivo.
II
primo consiste nel calcolare la
pensione in base ai redditi, originariamente
degli ultimi tre anni, dell’iscritto, per la
parte (33%, riforma Dini) necessaria per
costituire la riserva matematica, che viene
rivalutata anno per anno al fine di costituire
il montante contributivo sul quale, per la parte
pensionabile, liquidare la pensione.
Il secondo, invece, prevede
che la liquidazione della pensione avviene in
base ai contributi versati, che, sommati,
determinano il montante contributivo, che viene
trasformato in rendita con il c.d. coefficiente
di trasformazione, determinato dagli organi
istituzionali competenti.
In entrambi i casi, il
calcolo della pensione soggiace a regole della
matematica finanziaria, per la costituzione
della prevista riserva, sulle quali non è il
caso di soffermarsi.
Il principio
dell’ordinamento previdenziale è che, in tanto
si può avere il riconoscimento della pensione,
in quanto si siano versati i contributi
previsti.
Questa regola, però, per
diverse esigenze equitative o per la particolare
tutela di una specifica categoria di cittadini,
viene derogata, per cui la pensione viene
liquidata anche in assenza del pagamento dei
contribuiti, che vengono accreditati solo
figurativamente, al fine di incrementare
l’anzianità contributiva (v., per tutti,
provvidenza per i lavoratori esposti alle
polveri di amianto), in modo che, con il
conseguimento dell’età anagrafica, si possa
anticipare la liquidazione del trattamento
previdenziale.
La c.d. pensione sociale,
poi, prescinde da ogni regola previdenziale,
perché si tratta dell’elargizione di un sussidio
a chi, non avendo potuto svolgere una attività
lavorativa, non ha potuto versare contributi
previdenziali.
In questo caso, la predetta
elargizione è mera ottemperanza dell’articolo 38
della Costituzione, sovvenzionata con la c.d.
fiscalità generale.
Occorre fare menzione,
inoltre, di altre tre regole generali, derivanti
dall’orientamento della Corte Costituzionale, di
comune e diffusa conoscenza:
la prima,
secondo la quale la pensione, una volte
liquidata, non può essere modificata in peius
(c.d. diritto quesito), salvo che ricorrano
eccezionali e documentate esigenze
dell’equilibrio del bilancio dello Stato;
la seconda,
per la quale l’osservanza della precedente
regola impone che sia evitata la diminuzione
della pensione per la svalutazione della moneta
o per l’andamento negativo della situazione
economica del paese, perequandola
automaticamente secondo gli indici elaborati,
ogni anno, dall’ISTAT;
la terza,
in conseguenza della quale l’integrazione al
minimo pensionistico, istituito con la L.
463/1983, determinato ogni anno, fatta eccezione
per le pensioni liquidate con il sistema
contributivo (arti, comma 16 L. 335/1995), ha
una rilevanza costituzionale e, quindi, pur
nell’ambito della discrezionalità della sua
quantificazione, e sempreché il pensionato non
percepisca redditi in grado di assicurare le
normali esigenze della vita, non può essere
negata all'avente diritto.
Per valutare la legittimità costituzionale
dell’intervento sulle pensioni di cui al D.L. in
questione, si dovrà, necessariamente, verificare
se lo stesso non configga con i principi, sopra
sommariamente indicati, che verranno,
ovviamente, opportunamente e adeguatamente,
esposti.
Quale ultima annotazione generale, si sottolinea
che il predetto esame dovrà avere per oggetto
solo e pensioni erogate dall’INPS, anche per gli
istituti previdenziali nello stesso confluiti,
anche se il Governo ha voluto, inopportunamente,
intervenire sulla determinazione del
coefficiente di trasformazione del montante
contributivo (art.5), che ha una valenza
generale, in quanto si applica a tutti gli enti
gestori della previdenza, che, per il calcolo
della pensione, utilizzano il sistema
contributivo.
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Vittorio e
Matelda Lo Fiego