Piazza Scala

 

 

“L’andare verso una stella, soltanto questo”

Questa frase, tanto oscura quanto dissonante con il rigore e la chiarezza del linguaggio del mondo della scienza e della tecnologia, è di Martin Heidegger, contenuta in un suo famoso scritto del 1947 (L’esperienza del pensare).
Frase oscura, ma non indecifrabile per una possibile attribuzione di senso: puntare verso la stella, per tornare sulla terra, quale obiettivo finale di una meditazione filosofica sulla storia dell’essere, del “Dasein”, della storia dell’essere dell’uomo, un ente che vive, agisce e pensa sulla terra, “astro errante”. A questa stella fa difetto una svolta consapevole che riporti indietro dalla lontananza dello spazio cosmico, svolta che compete solo all’uomo, unica vera e autentica figura nautica, e che oggi ispira la “gente del cosmo” come nei secoli passati ha ispirato la “gente di mare” dando da pensare ai filosofi.
Prendendo spunto da alcune considerazioni di natura nautico-filosofica avanzate in un recente lavoro da un filosofo tedesco contemporaneo (Peter Sloterdijk) di chiara impostazione heideggeriana, incentrate sul significato epocale per le vicende della civiltà occidentale di quella “spericolata manovra nautica”, la cosiddetta volta do mar che nel XV secolo i marinheiros portoghesi condussero lungo le rotte ignote dell’oceano Atlantico alla scoperta delle Americhe, si può tentare di azzardare se è oggi possibile una analoga “svolta” nello spazio cosmico, così altrettanto carica di significato etico ed esistenziale per gli abitanti di questo pianeta che, tra crisi economiche, conflitti e potenziali catastrofi ambientali, sembrano avere smarrito il senso della comune identità: l’identità dell’essere uomo.
Per chi come noi pensa che l’umanità e il corso del mondo valgano ben una svolta, l’avventura cosmica, con il suo poderoso sforzo e dispendio di energie ed intelligenza collettiva, può essere il “contromovimento che [potrebbe] trarre dalla deriva stessa del presente l’impulso che annienta la deriva dell’uomo”.
Ora per i moderni navigatori degli spazi cosmici, come allora per i navigatori portoghesi del XV secolo, guadagnare la sicura via del ritorno è ed era il cruciale problema di ogni spirito di intrapresa. Il moto dei venti circolanti che si avviluppavano sull’Atlantico del nord fu per i marinheiros portoghesi l’occasione fornita dalla natura stessa per sperimentare l’intuizione della spericolata manovra nautica per gettarsi nel vortice del gorgo e sfruttarne la spinta per il ritorno. Questa audace manovra, che nella storia nautica è passata con il nome di volta do mar, rimane il pensiero più sconvolgente dell’epoca moderna, senza la quale l’America non sarebbe mai stata scoperta dagli europei. Anche i moderni navigatori dello spazio, in virtù del potenziale pratico della scienza e della tecnologia, ma soprattutto delle intelligenze collettive, stanno tentando di rinvenire “la svolta che guadagna la via del ritorno”. Per ora l’idea straordinaria della “fionda gravitazionale”, sviluppata ad opera di un matematico (Michael Minovoitch), permette ai satelliti artificiali di raggiungere i pianeti più esterni: essa utilizza la gravità di un pianeta per alterare il percorso e la velocità di un veicolo spaziale ed è comunemente usata per raggiungere i pianeti più lontani (Venere, Marte ..), che altrimenti sarebbero proibitivi, se non impossibili, da raggiungere con le tecnologie attuali, essenzialmente per un motivo di costi, di energia, di tempi. Domani, grazie allo sviluppo delle tecnologie spaziali e alla potenza dell’intelletto, si troverà certamente la via del ritorno che permetterà all’uomo di viaggiare nello spazio interplanetario e poi … di far ritorno sulla terra.
L’ “andare verso una stella, soltanto questo” porta con sé il senso del challenge, la sfida che l’uomo, unica vera e autentica figura nautica, deve raccogliere per affrontare la “svolta”.
Così come la volta do mar dei navigatori portoghesi fu la manovra salvifica che nel cuore del pericolo assicurò la via del ritorno, così una auspicabile Kehre dei futuri navigatori dello spazio profondo, la si può heideggerianamente leggere come il katekon che la vicinanza dell’essere oppone alla caduta nella lontananza del Dasein: l’esserci dell’uomo. Una lontananza che è la lontananza spaesante dello spazio cosmico e degli ultramondi, un viaggio nell’aperto che non garantisce la possibilità dell’andata e del ritorno e che non può che aumentare l’angoscia del “gettamento e dell’essere gettati”. E’ forse questo il senso più recondito che Martin Heidegger ha inteso affidare con la sua parola codice “… andare verso una stella … ritornare alla terra” alla interpretazione dei navigatori partiti dall’astro errante.
La possibilità della svolta che riporta indietro sulla terra è in fondo la possibilità data al pensiero di sottrarsi alla deiezione delle circostanze obbliganti del Gestell (l’imposizione). In altre parole, la chance data all’uomo per una “radicale presa di possesso di sé”. Ora, se nel lungo processo di ominazione dall’homo sapiens all’homo technologicus, la terra da Unwelt, da ambiente inospitale, è divenuta mondo (Welt), come possibilità per l’uomo della Lichtung e delle sue possibilità più proprie, l’esistere, per l’uomo, si contempla anche nella possibilità dell’ulteriore (lo spazio cosmico profondo), che pure è mondo: “l’aldilà della domesticità garantita dal permanere abitativo sul globo terracqueo”. D’altra parte del Dasein, dell’esser-ci dell’uomo fa pare anche il mondo dell’esodo, della conquista e della evacuazione e della rotta che dirige verso scopi più lontani.
Tutto questo lo si può esprimere con la parola Erfahrung (esperienza). Lungo questa linea l’uomo si apre a nuovi orizzonti, a nuovi mondi, a nuove inusitate familiarità in ridotti ambienti artificiali (le colonie dello spazio extraterrestre).
L’uomo, ossia quell’ente meta-animale contrassegnato fin dall’inizio per una vocazione alla cultura e alla tecnica, è un essere che sente l’attivazione dell’ulteriore e con ciò ha un mondo ed è un creatore di mondo.
Heidegger non volle vedere nulla di destinale nella tecnica, vista come il cattivo Ge-stell che distoglie dalla presenza dell’essere. L’avventura del trasferimento nello spazio senza confini per mezzo delle navi dei marinheiros portoghesi e delle navi spaziali della moderna tecnica, è un falso uscire dominato dalla dinamica della dispersione.
Se per Heidegger il soggiornare sulla terra nel permanere presso di sé è qualcosa di già così profondo dal valer bene la rinuncia ad ogni intrapresa, Hölderlin per contro ha colto nell’altezza della poesia l’essenza dell’uomo come quella “dello spirito che ama la colonia”, unito al “desiderio che sempre va verso ciò che è senza legame”.

II – La colonia spaziale: abitabilità e nuova ominazione
L’insipienza di una umanità. che su questo nostro ristretto globo non ha saputo o voluto gestire una crescita economica e demografica razionale ed equilibrata, e che ormai da troppo tempo è dipendente da una minoranza legata a interessi patrimoniali ciechi ed irrispettosi dei diritti, ha come ultima chance per la propria autoconservazione la possibilità di una nuova svolta. Una nuova svolta, che alla luce delle immense potenzialità della tecnica si presenta ormai nella mente dei molti come opportunità di un viaggio di andata senza ritorno.
Ci è stato detto con originale trasfigurazione descrittiva (Sloterdijk) che “oggi è di nuovo tra noi una intelligenza neoportoghese che si immagina in altri mari, che secondo ogni apparenza, sono impossibili da navigare”. La svolta che ci si prospetta da attuarsi nella dimensione dello spazio cosmico è in realtà – per dirla con Heidegger – più che una svolta, un superamento (Verwindung), imposto dalla incapacità di modificare su questa nostra terra strutture economiche e sociali irrigidite e distorte.
L’esperienza e lo stato attuale di scienza e tecnica ci dicono che compiti difficili si presentano quando già sono a portata di mano le soluzioni. Se per i marineros l’oceano divenne un problema solo quando ci fu la soluzione per i vascelli d’alto mare, per i futuri navigatori dello spazio profondo il cosmo è un problema solo attraverso la sua soluzione: le navi spaziali e le colonie abitative extra-planetarie.
Ora, la vera questione immanente alla nuova Kehre che l’uomo si accinge a compiere, non sta tanto nella operabilità tecnica del raggiungimento e della abitabilità permanente nei contesti ostili quali quelli dell’ambiente extraterrestre, quanto la imprevedibile mutazione antropogenetica dell’essere uomo, imposta da un esodo irreversibile. E’ del tutto evidente che il trasferimento verso una dimensione più ampia che la storia impone come destino, può provocare una crisi nella essenza dell’uomo con tutte le incognite connesse ad una rinnovata ominazione, imposta dal percorso di acclimatazione in un ambiente-serra artificiale.

L’incapsulamento e la iperinsulazione, che il futuro abitatore dello spazio si troverà a dover vivere in un ambiente-serra per proteggersi da condizioni naturali permanentemente ostili, comporteranno una tensione fisica ed emotiva imposta dalla situazione di emergenza. Il grado di affinamento protettivo all’interno della colonia spaziale creerà un significativo differenziale con l’ambiente esterno, tale da determinare sugli abitanti uno stress fatale per la morfogenesi e forse anche per le imprevedibili modificazioni neo-corticali. Sul lungo periodo la protezione coatta all’interno della colonia rischia di implodere per l’irruzione di imprevedibili eventi esterni.
Tutte le fragilità umane più o meno verranno prepotentemente al redde rationem e alla mente riaffioreranno con nostalgia le condizioni naturali e integre presenti sulla terra. Si faranno avanti così su questo sfondo non rassicurante – nella migliore delle ipotesi – le immunologie simboliche di una nuova religione riparatrice. Ma, allora, in conformità a questo non improbabile scenario, diverrà inevitabile la nostalgia per la perdita della Lichtung, la ricerca della verità nel suo più proprio nascondimento e disvelamento che fa dell’uomo un ente che solo tra gli altri enti ha un mondo ed è creatore di mondo.
E’ forse per questo motivo che Peter Sloterdijk (1) ci rammenta: “molti sistemi religiosi conoscono il concetto e la prassi simbolica della rinascita. Grazie ad essa si può inscenare nel modo più conveniente e convincente il ricongiungimento della vita ferita alla integrità di ciò che non è mai nato”.

 

Adolfo Sergio Spadoni

 

(1) Università degli Studi di Milano

 

 

 

“L’andare verso una stella, soltanto questo” di Adolfo Sergio Spadoni*
Ritengo opportuno proporre ai lettori della rivista il recente articolo del Prof. Adolfo Sergio Spadoni, che è stato mio collega all’Università degli studi di Mlano, che esamina molti attuali problemi della conquista dello spazio.
Adolfo Sergio Spadoni è stato professore di discipline filosofico-giuridiche nell’Università degli Studi di Milano, è stato inoltre docente di Diritto aerospaziale nell’Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze Diplomatiche e Internazionali, Sede di Gorizia. Ha, inoltre, insegnato “Diritto dell’Unione europea" presso il corso di laurea in Biotecnologie, Università degli Studi di Milano ed è stato docente di "Profili di Diritto Internazionale ed Europeo" nel "Master in Diritto e Comunicazioni", organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano. Il prof. Spadoni fa parte della Commissione UNESCO per l’Etica delle Scienze e delle Tecnologie; è membro dell’ECLS (European Commettee for Space Law) dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea); è nell’elenco degli esperti del Global Ethics Observatory, Osservatorio dell’UNESCO per la bioetica.
Attualmente è Of Counsel dello Studio Legale Corabi Catucci & Partners.
E’ vicepresidente di OdisseoSpace, Osservatorio per la Diffusione l’ Informazione e l’ Educazione delle Scienze dello Spazio Extra-atmosfericO, associazione no-profit di Milano, per la quale ha promosso con la Compagnia Generale dello Spazio, Thales Alenia Space, Politecnico di Milano e altre società del comparto percorsi di formazione creando una rete territoriale tra scuola,università,impresa.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Del problema dell’interpretazione (Sassari, 1986); Il mondo politico e giuridico di Karl Kraus (Milano, 1994); Nomos e Tecnica (Napoli, 2005); Stato e Sovranità (Napoli, 2012), Cani di ghiaccio, Napoli 2012). E’ autore di saggi su riviste specialistiche di filosofia del diritto e della politica e su riviste internazionali di diritto aerospaziale e delle telecomunicazioni.
Nel suo recente articolo “L’andare verso una stella,soltanto questo” l’autore esamina alcuni attuali problemi e situazioni della conquista spaziale adottando diverse prospettive giuridiche, antropologiche e filosofiche sulla base anche delle considerazioni derivate dalla esperienza e dello stato attuale della scienza e tecnica. La sua analisi multidisciplinare del settore dello spazio, contenuta nell’articolo seguente, mi pare interessante e stimolante

G.Bardone
 

 

 

 

 

 

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Piazza Scala - luglio 2014