Le mani irrequiete di Anna Santinello
 

At leisure is the Soul

That gets a Staggering Blow -

The Width ofLife - before it spreads

Without a thing to do-

It begsyou give it Work -

But just the placing Pins -

Or humblest Patchwork - Chìldren do -

To stili it’s nosy Hands -

Inerte è l’Anima

Che riceve un Colpo feroce;

L’ampiezza della Vita le si stende davanti

Senza nulla da fare -

Vi prega di darle un lavoro -

Anche solo appuntare Spilli

0  il più umile rammendo - roba da bambini

Per placare le sue Mani irrequiete.

Emily Dickinson J618(i862)/F683 (1863)
 

Tra i versi di Emily Dickinson e la poetica di Anna Santinello corrono sottili assonanze e consonanze, legami sotterranei che si colgono quando ci si abbandona a al l’ascoltare e al vedere, trasportati solo dall’onda lunga delle emozioni, dalle orecchie e dagli occhi dell’anima. Non importa se le corrispondenze appaiono disarticolate: tale è la forza dell’arte. Nella poesia si parla di un colpo feroce all’anima. Dolore dunque, sofferenza, vuoto. Assenze che possono essere riempite solo dal processo creativo che racconta, palesa, urla il silenzio delle solitudini. I versi della poesia raggiungono ancora più in profondità, fino quasi a confondersi, il mondo interno della scultrice, attraverso la metafora della creatività come lavoro di un artifex che appunta Spilli, unisce, cuce, rammenda. Anna Santinello è una instancabile tessitrice di strutture, forme, raffigurazioni coraggiose e sicure dell’inconscio, archetipi o sagome della contemporaneità. Le sue mani si muovono con un’agilità che sorprende in un incessante, caparbio, poderoso lavoro di intreccio, nella inesausta e inesauribile necessità e fatica del creare. E nelle sue opere si coglie l’intensità del tormento creativo che nella figura, prefigurazione e rappresentazione della realtà, si placa.

Noisy, irrequiete, le mani costrette all’inerzia, correlativo oggettivo della stessa esistenza. Attraverso il gesto da artigiano e la mente dell’artista, materiali vili, a volte perfino di recupero e di scarto, riacquistano vita, vigore e l’immortalità.

Non è certo casuale che uno tra i soggetti ricorrenti nell’opera dell’artista sia proprio la mano. Attorno a essa c’è solo maestà, affermava Rilke, e Lou Salomè aggiungeva: perché solo così è la mano, che può essere tutto.

Le mani che la scultrice crea da un semplice filo che attorciglia, intreccia, sovrappone, plasma, piega e costringe in forma e figura, si fanno simbolo della creatività stessa che è lavoro, tenacia e sforzo, ma sono metafora soprattutto dell’uomo faber. La mano sente, comunica, parla un proprio linguaggio, attraverso movimento, tatto, gesto, posizione, colore.

Le mani che Anna crea e modella, sono sempre vigorose, anche quando le dimensioni sono ridotte, maschili nella forza che esprimono le dita spesso arcuate, femminili nel gesto sempre raccolto e quasi timido di contenimento.

Istintivo pensare che esse raffigurino le stesse mani da cui scaturiscono le opere scuItoree, in cui la forza e la delicatezza, la caparbietà e il dolore, la lotta e la ineluttabilità della sofferenza, coesistono in un continuo dualismo. Nel suo lavoro Anna tesse una tela fitta in cui trama e ordito si intrecciano seguendo solo l’impulso della mente e delle emozioni che guidano l’artista. Le stesse mani d’acciaio della scultura Come il vento, che tengono stretto e saldo il volante, riportano alla fatica dell’invenzione. Alla metafora della velocità e del vento impetuoso, si sostituisce quella dell’artista artefice che si lancia nell’avventura creativa, ancorato saldamente alla guida e alla raffica vitale della propria ispirazione. Il filo piegato costruisce i labirinti dell’esistere, la

scultrice lo asseconda fino a che per un suggerimento interiore, lo spezza. Il filo si è fatto forma morbida, plastica, compatta e insieme lieve, e nel suo sfrangiarsi alla base dell’opera indica la impossibilità di raggiungere la verità assoluta, suggerisce punti di sospensione, interrogativi, aperture verso infinite interpretazioni emotive. Si abbandonano allora le strade del noto, del già detto, visto e letto per avventurarsi nei meandri della sensibilità e sui sentieri della mente libera da condizionamenti razionali. La scultura di Anna Santinello segue un processo creativo simile a quello del la scrittura narrativa che cela il proprio ordito lasciando intravedere i fili della trama disordinati e sovrapposti. E trama è, come meglio la definisce il francese, intreccio, intrigo. 0, come lo stesso titolo della mostra, è the Crossing: incrocio, ma anche luogo dell’incontro, contrasto o intersezione. Se l’ordito di una tela è la vita stessa, la necessità che la conduce, trama è lo svilupparsi cieco e irrazionale che non ha direzione preordinata, ma sviluppo orizzontale infinito.

E le opere della Santi nel lo, anche per la impressione dell’incompiuto, lasciano aperto
il discorso al passaggio di infinite interpretazioni o alla impossibilità di definire un significato. Per questa sua apertura, tutta l’opera di Anna, è particolarmente interessante e avvincente. Le sue figure non finite, i fili spezzati, favoriscono lo scambio empatico tra artista e fruitore, quasi che attraverso gli squarci, le aperture tra i fili e le maglie aperte, possa avvenire un passaggio di emozioni tra chi crea e chi ri-crea e recupera altre differenti e personali emozioni.
I  ventri aperti, i busti spaccati, diventano grembi accoglienti di altri dolori e altri pensieri. E lo scambio tra artista e pubblico si fa stretto, commosso, intenso. Numerose e individuali le letture che si possono fare di un’opera.
C’è una quiete nelle tre donne costruite con il filo dell’arte che è filo della vita e che evocano le Moire, le tre divinità cui i Greci assegnavano il compito di filare, tessere, recidere il filo della vita degli uomini. Esse non possono essere viste separatamente: insieme condensano unione, molteplicità, identità, contemporaneità e successione. Ancora una metafora potente dell’esistenza, dal suo inizio alla sua conclusione.
E sorge spontanea un’altra breve riflessione sulla polivalenza delle opere di Anna Santi nel lo. In ognuna elementi contrastanti coesistono e si armonizzano, i contrari si fondono. La figura crocefissa è ambivalente, è insieme un’ immagine di Cristo e una donna sofferente, inchiodata al proprio dolore, rassegnata e dignitosa.
II  culmine dell’emozione giunge di fronte al ventre aperto e accogliente o al busto appeso squarciato e in croce, al grembo stuprato, che rappresentano il maschile e il femminile insieme, il dramma della violenza, la forza dell’angoscia, e quella dell’accoglienza, la titanica accettazione del dolore e insieme l’offerta di una ferita che può essere riempita. Di fantasie, suggestioni, sogni.


Gabriella Baldissera
Gabriella Baldissera, docente di lettere classiche, studiosa del rapporto tra arte e psicoanalisi, scrittrice e autrice di numerosi saggi.

 

 

 

Piazza Scala - aprile 2013